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Scusate il ritardo, considerata dalla critica l’opera migliore di Massimo Troisi (vista l’efficacia con cui, l’autore, riesce a scavare all’interno della propria anima), deve il suo titolo sia al troppo tempo trascorso dal film precedente, sia ai diversi tempi dell’amore e alla non sincronia dei rapporti di coppia. Cari lettori, non era mai successo, dalla prima uscita “ON LINE” di questo Magazine (dal lontano 8 settembre 2000) di saltare l’aggiornamento settimanale dell’Home Page. Ciò è dovuto, essenzialmente, al maggior impegno nel sociale degli uomini e delle donne che, amorevolmente, si prendono cura del giornale. Forse (anzi, sicuramente), è aggravato dall’elevato standard di qualità (leggi “perfezionismo”) che si aspetta il sottoscritto, che porta a perdere sintonia con gli impegni dell’aggiornamento. “Il peccato prediletto del demonio è l’orgoglio che scimmiotta l’umiltà” (Samuel Taylor Coleridge). Mi sono chiesto se, per caso, questa sorta di giustificazione, non nasconda un larvato vittimismo, condito da un pizzico di velleitarismo… potrebbe anche essere! “Sente assai poco la propria passione, o lieta o triste che sia, chi sa troppo minutamente descriverla” (Ugo Foscolo). Proviamo, allora, a trasformare la frustrazione del venir meno ad un impegno, in qualcosa di costruttivo.Qualche settimana fa, due amici mi hanno inviato una mail “di riflessione”… PER LEGGERE TUTTO IL TESTO, CLICCARE SUL TITOLO.

….che mi ha coinvolto anagraficamente. Dedicato ai bambini degli anni sessanta. Da bambini, andavamo in macchina senza cinture di sicurezza, né airbags. Viaggiare sul cassone di un camioncino era uno svago. I nostri lettini erano dipinti con brillanti colori al piombo! Quando andavamo in bici, non avevamo né casco, né protezione per i gomiti o le ginocchia. Bevevamo l’acqua del rubinetto del giardino fino a che non avevamo più sete. Impiegavamo ore a costruire carretti con casse e tubi che non rispettavano le norme CE. Ci lanciavamo da un albero e rotolavamo per terra. Il pronto intervento non arrivava ad ogni caduta. Andavamo a scuola per lavorare ed apprendere e non per “sviluppare il nostro potenziale di creatività”. Quando non si lavorava, il maestro ci dava le punizioni o le bacchettate sulle dita. I nostri genitori non hanno mai denunciato nessuno. Sapevano che, se il maestro aveva deciso così, significava che l’avevamo meritato! Non avevamo i cellulari… Scrivevamo lettere e cartoline…Ci tagliavamo, ci rompevamo le ossa, perdevamo i denti, ma non c’è mai stata una denuncia… Nessuno era colpevole… tranne noi stessi. Giocavamo a guardie e ladri, giocavamo con petardi, ma non abbiamo mai dato fuoco alle macchine o buttato sassi in autostrada…Dividevamo una coca in quattro; bevevamo tutti dalla stessa bottiglia e nessuno è mai morto per questo. Non avevamo la Play Stations, MP3, Nintendo 64, XBox, Giochi Video, 999 canali di TV via satellite, videoregistratori, cineprese, suono “surround”, cellulari, computer, chat, Internet, Facebook ecc… Però… Avevamo dei veri amici. Uscivamo, prendevamo le nostre bici o camminavamo fino a casa dei nostri amici, suonavamo o… entravamo semplicemente, senza suonare e andavamo a giocare… Non inviavamo un trillo su MSN! I nostri amici si chiamavano, Piero, Gianni, Silvia e non Nausicaaa o Debbborah, o Hilllary, o peggio ancora Sam31, Labella75, etc. Alcuni non erano degli alunni molto bravi e, quando non riuscivano, dovevano semplicemente ripetere l’anno. Nessuno andava dallo psicologo per questo, né faceva ricorso in tribunale. Semplicemente, si ripeteva e si aveva una seconda possibilità. Quelli che non volevano studiare, andavano a lavorare. E questa, non era una punizione. Abbiamo fatto l’esperienza della libertà, dei successi e degli smacchi. Delle responsabilitàEd abbiamo sempre imparato a sbrogliarcela da soli.

A sbrogliarcela da soli. Forse questa è la differenza fra noi di quella generazione (nipote della guerra e genitore delle contestazioni per la tutela dei diritti negati) e quelli delle generazioni successive (figlie dell’edonismo reaganiano e degli Yuppies, orfane del “tutto e subito” e vittime dell’automazione e della tecnologia spinta all’eccesso). “Non esiste il vicolo cieco, ognuno deve sempre andare avanti trovando la propria via d’uscita” (Giorgio Fornoni). A dire il vero, però, non è che tutti gli odierni cinquantenni siano in grado di condurre in porto, seguendo le procedure di sicurezza (e la condotta del “buon padre di famiglia”) la propria “imbarcazione esistenziale”. Spinti dal fuoco interiore di chi ha imparato da chi si è fatto da sé (i nonni “self made men”, per intenderci) alcuni “coetanei” sgomitano sulle scale della vita per accelerare verso l’obiettivo “successo”. Però, questo participio passato del verbo “succedere”, quando è privo di senso logico, presenta un conto da pagare che si chiama angoscia esistenziale.

Parliamo, tanto per capirci, di quello stato d’animo che si prova ogni volta che si sente che qualcosa ci impedisce di agire, ci spegne le motivazioni e, al tempo stesso ci rende inquieti e incapaci di gestire le emozioni e i comportamenti con, in più, una sorta di somatizzazione neurovegetativa. Ecco che scopriamo (anche se non era difficile intuirlo) “Star” come Vasco Rossi che riescono a stare in piedi (fisicamente parlando) grazie a cocktail di farmaci o “altro”.

Di motivi per guastarsi l’umore in senso fobico, ce ne sono molti. E tutti orientati all’assenza di prospettive per il domani. Partendo da un “oggi” confuso che rende il nostro “ieri” un ricordo illusorio (carico di speranze disattese). Bambini incoscienti e irresponsabili. Questa è la classe dirigente di un mondo alla deriva. Consideriamo, per esempio che, da tempo, il denaro che le banche centrali stampano, non è garantito più da alcuna riserva aurea. In pratica, non vale assolutamente niente! E allora, accade qualcosa del genere: la Banca Centrale Europea (la BCE), ad esempio, stampa del denaro (con valore reale “nullo” ma convenzionale, in funzione del taglio specifico) che “presta” alle banche centrali dei singoli Stati, facendo pagare degli interessi (su un valore di partenza, effettivo, pari pressoché a zero!); le banche centrali nazionali, prestano questo danaro alle varie banche private, a cui fanno pagare degli interessi maggiori di quelli che pagano loro; queste ultime, prestano denaro a finanziarie, aziende e privati cittadini… tutti pagheranno “fior” di interessi. Chi ci guadagna? Anzitutto la capofila (quindi la BCE, che presta il “nulla” guadagnandoci abbastanza) quindi, il resto della filiera (con le plusvalenze, cioè i guadagni ottenuti con le operazioni finanziarie che si muovono sul “nulla”). Chi ci perde? L’anello finale del sistema: noi cittadini. Alcune considerazioni. Una volta, ci si prestava il denaro per l’acquisto della prima (e unica) casa, per un intervento chirurgico, per l’avvio di un’attività. Oggi, invece, per acquisire la proprietà di quella montagna di oggetti sfavillanti venduti sottocosto e a rate (che concedono a chiunque dichiari di poterle pagare), che ci blandiscono (come le Sirene di omerica memoria) dagli scaffali degli ipermercati. Anche perché, se il denaro ci servisse per cose più serie, non ci sarebbe nessuno disposto a prestarcelo (se non, a tassi usurai).

Viviamo come i giocatori di poker che portano avanti una strategia basata su carte di scarso valore (che nascondono, ovviamente), basandosi sull’onore della propria parola. Il tutto finisce, quando qualcuno, al tavolo verde, si ostina a voler “vedere”, effettivamente, cosa c’è, dietro quelle promesse.

Quando uno Stato spende (per attività “produttive” o per azioni “improprie”) a meno che non sia la Cina (probabilmente unico al mondo, insieme all’India ad avere soldi da investire), utilizza risorse prestate da chi compra i sui titoli di stato, basati sulla fiducia (in base all’affidabilità e alla credibilità) e pagati con una “promessa” (soldi stampati senza copertura effettiva) che dovrà essere remunerata con gli interessi. Nel momento in cui qualche speculatore internazionale decide di massimizzare i propri rendimenti, “pilota” le crisi inducendo i vari governi a scoprire le carte. E il sistema salta. Per evitare il fallimento globale, intervengono le Banche Centrali, immettendo nel circuito nuovo denaro (basta stamparne di più, in fondo!) e prestandolo a fronte di una restituzione con interesse. Ci si rivolge, in pratica, a chi ha generato, per primo, il movimento “fatuo”.

“Il danaro c’è ma non si vede; non si fa e non si perde. Semplicemente, si trasferisce, da un’intuizione ad un’altra creando illusioni. E più fai in modo che l’illusione diventi realtà, più, accanitamente, la vogliono. Il più ricco 1% del Paese possiede metà della ricchezza globale. Di questo, un terzo viene dal duro lavoro, il resto viene dai beni ereditati e dagli interessi sugli interessi accumulati o pagati da vedove e figli idioti: cioè dal mio lavoro, che è la speculazione mobiliare e immobiliare. È la gente come me che regola il prezzo di ogni cosa. Il libero mercato è tale, perché i più scaltri lo cavalchino. Non crederai mica di vivere in una democrazia? È tutta una questione di soldi, ragazzo, il resto è conversazione!” (Gordon Gekko – Wall Street)

A queste condizioni, due sono le strade che consentono di dare stabilità e concretezza reale a quella carta che chiamiamo denaro: la produzione redditizia di uno Stato (il cosiddetto Prodotto Interno Lordo) e il valore dei singoli soggetti che compongono uno Stato (dalle Istituzioni ai cittadini).

Cari lettori, noi siamo del parere che percorrere la via del valore intrinseco (generato da pensieri e azioni meritevoli), sia quella più logica, più sostenibile e più remunerativa. Ha un costo e una premessa fondamentale: l’impegno e la preparazione.

“I matti e i bambini dicono sempre la verità: purtroppo, i primi li rinchiudono e i secondi li educano” (Giorgio Fornoni)

Cari lettori, non posso sapere a quale generazione voi apparteniate. Nel caso siate più giovani del sottoscritto, vi invito a non cadere nei pregiudizi relativi ai foschi presagi su presente e futuro. Esisterà sempre un ambiente in cui si incontreranno una domanda e un’offerta: basterà intercettare la richiesta e rispondere nella maniera più idonea e appropriata. Se, invece, vi trovate ad avere, sulle spalle, qualche primavera in più (sempre del sottoscritto) beh, allora ricordatevi la lezione di vita e di saggezza dei senatori dell’antica (e gloriosa) Roma. Voler mantenere la barra del timone, a dispetto dell’età e a danno di chi dovrebbe, invece, prendere il largo da solo, porterebbe a somigliare abbastanza ai personaggi di questa gustosa canzone di Davide van de Sfross, che vi ripotro, tradotta dal dialetto bergamasco.

Sale scende la marea e riporta la sua spazzatura un secchio e una ciabatta, una lattina di Red Bull Sandokan con il mohito il biglietto con l’invito Sandokan che ha imparato a pilotare le infradito… e la gente che va al mare solo per dire che c’è stata… che, col gettone della sala giochi, il cavallo muove un filo il culo. Odore di frittura di pesce e di pizza d’asporto Kamammuri è da sessant’anni che sta sul dondolo della pensione… Yanez di Gomera ti ricordi com’era? Adesso bicicletta e vuvuzela e anche Tremal Naik ha il Suzuki… Yanez di Gomera, ti ricordi di James Brook? Gioca a carte giù al Bagno Riviera e hanno detto che è sempre ciuco. Stuzzichini, moscardini e una bibita di quattro colori. Abbronzati, tatuati sono i pirati venuti da Varese: la pantera, gonna nera, canottiera, cameriera muove il culo anche senza i gettoni ma è soltanto per cambiarti il bicchiere. Sandokan sulla spiaggia col costume della Billabong, ha l’artrite e ha il riporto, parte per Mompracem col pedalò e i Dayki, con appresso la Gazzetta
non hanno tempo per tagliarti la testa, lasciano la spada sotto l’ombrellone e fanno più danni con l’Iphone! Yanez di Gomera, l’hai veduta l’altra sera? Più che la Perla di Labuan, Marianna ora sembra un sasso… Yanez di Gomera raccontaci ancora com’era… Ho visto che si è rifatta le tette, ma non ha potuto rifarsi il cuore. La sirena è incazzata perché non può giocare a calcio. Polenta e cuba libre per i granchi in processione, comincia l’happy hour: la tigre di malesia finisce all’osteria col riso in bianco e la magnesia; ustionati, pirati senza protezione, barracudas con i ray ban che giocano a ping pong, Sandokan che urla dentro in pizzeria… urla e canta Romagna Mia… Yanez di Gomera ti ricordi com’era? Adesso bicicletta e vuvuzela e anche Tremal Naik ha il Suzuki… Yanez di Gomera ti ricordi del colonnello Fitzgerald? L’ho visto sulla corriera che andava a Rimini per vedere i delfini. (Davide van de Sfros)

Perciò, cari lettori, scusate il ritardo. Ma, credo, ne sia valsa la pena!

Giorgio Marchese (Medico Psicoterapeuta) – Direttore “La Strad@”

Si ringraziano Eugenio Filice e Mariella Cipparrone per la collaborazione nella stesura del dattiloscritto