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Già, amici per… “i neuroni”!


News neuroscienze – P.N.E.I.

Secondo una recente teoria, lo sbadiglio è contagioso perché serve a socializzare con il prossimo. Iniziamo a sbadigliare già nel ventre materno e lo facciamo fino alla tarda vecchiaia, ma i meccanismi fisiologici e lo scopo restano misteriosi. Le teorie in proposito non mancano, di recente se n’è occupata anche la rivista Neuroscience & Biobehavioral Reviews, ma mancano le prove sperimentali del fatto che siano corrette.

Pare che lo sbadiglio contribuisca a migliorare i livelli di ossigenazione nel sangue e a diminuire quelli di biossido di carbonio, ma se esponiamo dei soggetti a esalazioni contenenti alti livelli di biossido di carbonio non si ottiene affatto un aumento nella frequenza degli sbadigli. Si sbadiglia più frequentemente prima e dopo il sonno quindi, forse, sbadigliare ci serve a rimanere svegli, ma l’EGG non ha dimostrato che lo sbadiglio produca un maggiore senso di vigilanza nel cervello o nel sistema nervoso centrale.

I bambini di età inferiore ai cinque anni non sono soggetti allo sbadiglio contagioso, mentre gli esseri umani adulti, gli scimpanzé, le scimmie e i cani lo sono. A quanto pare, prima che lo sbadiglio diventi contagioso si rende necessaria una comprensione dello stato mentale altrui. Questa idea è avallata da osservazioni dirette effettuate con risonanza magnetica negli uomini: osservare gli altri che sbadigliano attiva alcune aree cerebrali deputate all’imitazione, all’empatia e al comportamento sociale.

Conclusioni e Riflessioni

Avete presente il tic nervoso? Quando “ti prende” non puoi evitare di manifestarlo. È un atteggiamento ossessivo compulsivo mediante cui si scarica il di più delle tensioni accumulate e represse. E lo sbadiglio? Anch’esso, non si può evitare di attuarlo, quando se ne sente il bisogno. E anch’esso serve a scaricare un disagio che crea disequilibrio fisico e psicologico. Noia, stanchezza, fame, sonno, risveglio incompleto: sono motivazioni sufficienti alla necessità, attraverso lo sbadiglio, di riattivare quella zona della formazione reticolare mesencefalica deputata al mantenimento dell’attenzione. Perché è contagioso? Perché, grazie ai neuroni specchio, riusciamo a “sentire” la frequenza elettromagnetica determinata dagli stati d’animo altrui. Questo fenomeno si chiama “empatia”.

Tutto qui.

Fonti

  • www.edott.it


 Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta – docente di Psicologia fisiologica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – ROMA