Posted on

 

 Due termini apparentemente antitetici che stanno ad identificare, contestualmente, il recupero di quanto è stato già fatto (come patrimonio di valori) e l’adattamento, in funzione dell’evoluzione e dei cambiamenti personali, individuali e sociali. Secondo questa filosofia, potrete, di tanto in tanto, riapprezzare alcuni “incontri” che, altrimenti, correrebbero il rischio di perdersi all’interno del ricchissimo archivio de “La Strad@”. I lavori originali (dal titolo: “Come metabolizzare le tossine del vivere quotidiano”, “vite di coppia”, “lavoro e disturbi della personalità” e “Vacanze… e dintorni”) sono stati pubblicati, rispettivamente il 12 settembre 2002, il 21 febbraio 2004, il 12 maggio 2008 e il 13 agosto 2010. Il tutto, ora, viene proposto rimodulato, ristrutturato e con diversi e consistenti arricchimenti che lo hanno trasformato, di fatto, in un articolo nuovo e “calzante”, all’interno di un immaginario dialogo col lettore.

 

Buona lettura

 

Si sta facendo notte….

 

Staccate la corrente, un po’ di pace qui! Fermiamoci un istante, voglio stringerti così.. È bello ritrovarsi Abbandonarsi e già… Costretti in questa fabbrica alienante chiamata città! Non sentono ragioni… I sentimenti no! almeno per un po’ … mi apparterrai, ti apparterrò. Inutili rumori, non è felicità, Vorrebbero convincerci che il Paradiso è qua: è un mondo virtuale. Padrone, chiunque sei, smetti di spiarci, di sfruttarci: esistiamo anche noi! In fondo a questa vita, talmente breve che non è un delitto se … Se la offro a te. Di travagliati giorni, fantastiche tournée, io contro il mondo e tu a fianco a me … quel coraggio dov’è? Si sta facendo notte, è il nostro cantiere che riparte più efficiente che mai. Guai se così non fosse, siamo ancora pieni di risorse, aspetta e vedrai …La voglia di cantare è figlia dei miei guai. Salvare quel sogno è tutto ciò che vorrei … mi aiuterai … Si sta facendo notte, c’è gente che non dorme ma riflette sul tempo che va. Non è un problema l’età, aprite quelle porte e fate entrare amore in ogni cuore, finché ce ne sta. Non fosse stata musica a guarire i silenzi miei, non starei qui a difenderla. Non ti chiederei
di credere in lei … lo sai. Si sta facendo notte, Se questa nostra stella non decolla avrò sbagliato e anche tu… che ti aspettavi di più? Son giochi disonesti, per tanti irresistibili idealisti assoluzione non c’è! Diamoci dentro affinché … Non si faccia notte! Alziamoci fin lassù, mattone su mattone. Seguiamo questa pallida illusione: qualcosa succederà! Si sta facendo notte! (Renato Zero)

 


Come si fa a metabolizzare, quotidianamente, le tossine che assorbiamo con i fatti della vita? Quali accortezze è opportuno mettere in atto, tutti i giorni, per “digerire” i fastidi accumulati?

 

Per attuare ciò, bisogna mettersi in condizione di utilizzare prevalentemente l’aspetto razionale della propria mente, quello che Giovanni Russo chiamava “neutrergico”; in questo modo si riesce meglio a valutare l’entità del fastidio prodotto dagli ostacoli che incontriamo, o contro i quali prevediamo di impattare.

Spesso mi capita di ascoltare lamentele di individui che dicono di sentirsi insoddisfatti, irrealizzati perché, durante i periodi di ferie, non possono fare una crociera o recarsi in un villaggio turistico per mancanza di disponibilità economiche. Ecco, anche queste sono frustrazioni del vivere quotidiano ma, se costoro riflettessero, rendendosi conto anche di ciò che sono riusciti a realizzare nell’arco di un anno, anche dell’ultimo semestre e di quante cose positive possono disporre (relativa buona salute, assenza di grosse problematiche familiari, prospettive non adeguatamente considerate, etc.), riconsidererebbero la loro posizione.

Le frustrazioni, per poter essere “risolte”, vanno prima riconosciute (stabilendo qual è il motivo determinante) e accettate (senza negare di avere il problema) per potere essere assorbite e poi metabolizzate.

Perché assorbite?

Perché se, a livello inconsapevole, non accetti che un determinato evento ti abbia potuto produrre un fastidio, non puoi neanche lavorare per risolvere dentro di te, le conseguenze di questo fastidio. Nel momento in cui accetti l’idea che una cosa, anche se di poco conto ti abbia potuto produrre un disagio, allora puoi attivarti per digerirla e risolverla.

 

Qualche considerazione sul concetto frustrazione…

Letteralmente, secondo la lingua italiana, è quello stato psichico di avvilimento e senso di impotenza, che comporta l’incapacità di fronteggiare determinate situazioni.

In sostanza, è uno stato di disagio che consegue al mancato soddisfacimento di un bisogno o di un desiderio. Ciò che determina tale stato di sofferenza o di fastidio si produce quando un ostacolo si frappone al raggiungimento di uno scopo.

Nel momento in cui noi ci poniamo un obiettivo, ci muoviamo per raggiungerlo, abbiamo programmato, ci siamo organizzati, abbiamo tentato di prevedere anche i possibili imprevisti… ed un ostacolo si pone tra noi ed il raggiungimento dell’obiettivo, quest’ostacolo non è la frustrazione, lo stato d’animo che noi generiamo di fronte all’ostacolo è la frustrazione.

Questa è una differenza non da poco, perché se la frustrazione fosse l’ostacolo, siccome, a volte, quest’ultimo non può essere rimosso, non ci sarebbe soluzione. Siccome, invece, dipende da come noi “viviamo” l’imprevisto ostacolante, possiamo metterci in condizione di migliorare la capacità elaborativa per raggiungere, comunque, l’obiettivo o per renderci conto che, arrivato ad un certo punto, il costo superava il beneficio e trovando, di conseguenza, soluzioni alternative.

Le frustrazioni possono essere affrontate e risolte modificando il sistema di risposta nei confronti delle difficoltà che il mondo esterno procura. La difficoltà principale che si incontra nella metabolizzazione di una frustrazione consiste nel rifiuto ad accettare il fastidio prodotto dalla frustrazione medesima.

Cosa significa?

Per riuscire ad affrontare un ostacolo e, soprattutto, a gestire il fastidio che ne consegue, nel migliore dei modi, diventa necessario riuscire ad adattarsi a quella situazione. Questo non significa, necessariamente “farsene una ragione” ma, piuttosto, mettersi nelle condizioni di capire il problema, acquisire le competenze necessarie, rendersi disponibili (pianificandosi nella maniera opportuna) e attivarsi per risolvere. In pratica, il “farsene una ragione” diventa una condizione di accettazione del problema senza ignorarlo perché, se non ci rendiamo conto del fatto che qualcosa va ritoccata nella strategia operativa, continueremo a sbattere la testa contro dei muri insormontabili.

 

Per tornare al discorso precedente, a volte, più che per la mancata vacanza forse, si può andare in crisi se non si riescono a trovare le condizioni per rilassarsi e per godere di momenti piacevoli.

È vero ma per godere momenti piacevoli, non è indispensabile andare “chissà dove” e a fare “chissà cosa”, perché basterebbe riuscire a godere del tempo libero, del tempo in cui non vai ad espletare un’attività lavorativa che, dopo un po’ di tempo, ti ha intossicato, anche se è stata piacevole. Basterebbe riuscire ad apprezzare i momenti da trascorrere con se stessi per essere già soddisfatti; inoltre si potrebbe impegnare questa compagnia di sé, per recarsi in un posto dove non si è mai stati, o dove non si è stati da tempo.

In fondo, chi non può permettersi di andare in montagna, anche per una giornata, e godersi gli attimi che di una simile occasione, con i panorami, con gli aromi, con i suoni, toccando l’erba, camminando a piedi scalzi sul prato, magari abbracciando gli alberi, per ricaricarsi. In definitiva, non è cosa fai a renderti felice, ma come lo fai.

Caro lettore, se ti è piaciuto questo aforisma, prova a riflettere anche sul successivo e cerca di renderti conto degli errori che commetti, ogni giorno, a danno della tua persona.

 

…E qualche altro esempio di potenziali frustrazioni, oltre alla vacanza? E poi, soprattutto, come si possono trasformare in occasioni di piacere?

Il vivere quotidiano può determinare:

 

  • frustrazioni lavorative;

 

  • frustrazioni in ambito affettivo;

 

  • frustrazioni relative alla difficoltà di impegnare correttamente il proprio tempo libero.

 

Andiamo ad analizzare il mondo del lavoro

 

E’ innegabile che lo svolgimento di un’attività lavorativa che risponde a criteri di gratificazione individuale giovi al benessere del singolo e, di conseguenza, dell’intera collettività. Quando questa condizione viene frustrata, la persona genera una situazione di disagio esistenziale. Dal primo gennaio 2011, la legge italiana prevede l’obbligo, per tutti i datori di lavoro, di “misurare” lo stress dei propri dipendenti, provvedendo a rendere la loro vita più a misura corretta. Se la tensione è eccessiva, l’equilibrio psicofisico, si altera in maniera non più tollerabile. E questo accade in ufficio come in fabbrica, al manager come all’operaio.

 

Oltre il Prodotto Interno Lordo…

Alla ricerca di nuove misure della ricchezza e del benessere.

 

Finora, per misurare lo stato di “salute” intrinseco di un contesto sociale, ci si è basati su una misura alquanto fuorviante: Il Prodotto Interno Lordo (inventata da Simon Kuznets, nel 1934, negli USA). In pratica, l’indice di produzione e di spesa. In questo modo, non si è riusciti a distinguere fra una crescita sana e una “gonfiata” da spinte inflazionistiche e si è giunti al paradosso di inserire nel paniere anche la spesa sanitaria utilizzata per curare i danni dell’eccessiva industrializzazione e quelli causati dal non rispetto delle leggi in materia ambientale.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha incaricato una commissione di premi Nobel di proporre un’alternativa al PIL per misurare il benessere dei cittadini. Le indicazioni risultate dagli studi di questi esperti, sono state “tradotte” in un indice pragmatico da un gruppo di lavoro (composto da economisti, sociologi, oncologi, etc.) promosso dal Barilla Center for Food & Nutrition che ha elaborato il BCFN Index.

Tale nuova unità di misura, valuta non più solo il reddito ma sette aspetti fondamentali del benessere, aggregati in tre macrogruppi (“Stili di vita”, “Ricchezza e sostenibilità”, “Sociale e interpersonale”):

 

  • psicofisico;

 

  • comportamentale;

 

  • materiale;

 

  • ambientale;

 

  • educativo;

 

  • sociale;

 

  • politico.

 

Partendo da tali acquisizioni, proviamo ad analizzare tre differenti ambiti che permettono di valutare il rapporto tra lavoro ed eventuali disturbi della personalità:

 

  • Fase di disoccupazione – Come è noto, la disoccupazione genera gravi conseguenze sul piano economico e sociale ma molti sottovalutano i gravi effetti sulla salute psicofisica dell’essere umano che si manifestano attraverso vari sintomi di diversa intensità quali ad esempio ansia, disturbi del tono dell’umore, disturbi psicotici (come tentativo di fuga dalla realtà) e disturbi psicosomatici;

 

  • Fase di attività lavorativa – L’occupato non soddisfatto del proprio lavoro può manifestare un livello di stress particolarmente significativo e dannoso tanto da comportare assenteismo, demotivazione e minore produttività. Anche qui i disturbi sono, tra gli altri: stato di ansia generalizzata, sindrome ansioso depressiva reattiva, disturbi del tono dell’umore, psicosomatosi (ulcere, gastriti, colite, dolori al torace, sensazione di soffocamento, quadri isterici, etc);

 

  • Fase di licenziamento – In caso di perdita del lavoro, la persona potrebbe presentare: sindrome depressiva, senso di inadeguatezza nel sociale, forme aggressive nei confronti di se stessa o degli altri, ansia e intensi traumi psicologici.

Cosa viene frustrato in termini di ambizioni e legittime aspirazioni?

Ognuno di noi, può inquadrare la propria esistenza, come una sorta di incarico “naturale” che offre delle opportunità con “mandato a termine”, all’interno di uno spazio temporale variabile e indefinito. A queste condizioni, è giocoforza concludere che, qualunque sia l’indirizzo verso cui decliniamo il nostro sguardo, sarà opportuno impegnarsi al meglio possibile, per evitare rimpianti.

Ecco perché si tende ad ottenere il successo in ciò che decidiamo di realizzare, a prescindere dall’ambito delle competenze in cui ci si trova ad operare. Il problema, però, nasce dal fatto che, a seconda dell’ambiente in cui si cresce (e che costituisce il modello di riferimento inconsapevolmente responsabile della formazione del carattere di ogni individuo) si cerca di ottenere dei risultati apprezzabili mediante due strade, una corretta e l’altra no:

 

  • La legittima aspirazione di realizzarsi in qualcosa;

 

  • La deleteria ambizione di acquisire “potere contrattuale”, blandendo chi sta intorno e carpendo la sua fiducia.

Ostacoli sul cammino…

Uno dei problemi più angosciosi che ciascuno avverte, fin da piccolo, consiste nella paura di non essere accettato dall’ambiente in cui si trova ad operare. In genere, si combatte una simile situazione con l’instaurarsi (inconsapevole) di condizioni caratteriali compensatorie, che spaziano da meccanismi aggressivi (arroganza, boria, snobismo, etc.) a tentativi di “fuga” (timidezza, senso di inadeguatezza, etc.) culminando, a volte, nell’accettazione di ruoli passivi e gregarizzanti, in cui si è disponibili a tutto, pur di “sentirsi” parte di un gruppo e non farsi estromettere. Raramente, si affronta il problema “prendendo il toro per le corna”, cioè individuando in che modo gli altri possano interessarsi a noi e a quali condizioni di utilità corretta, siamo disponibili ad intersecare l’integrità e la dignità del nostro modo di essere con i gusti e le aspettative dell’ambiente di riferimento.

Integrazione nell’adattamento.

Alla base di qualunque obiettivo che consenta l’appagamento di bisogni e desideri, esiste la necessità di instaurare relazioni interpersonali in grado di consentire l’inserimento nell’ambito operativo, fatto di scambi continui. Inoltre, è bene ricordare, preliminarmente, che ogni essere umano ha necessità di comunicare con gli altri (e con alcuni in particolare) perché, in tal modo, dà sfogo alle emozioni generate dalle riflessioni più o meno consapevoli. Si tratta quindi di proporre argomentazioni che si trovino sulla stessa lunghezza d’onda dell’ascolto altrui, per diventare appetibili all’interesse del mondo esterno.

Cosa significa dialogare?

Conversare (parlare e ascoltare nel rispetto reciproco) su argomenti che attirano la nostra attenzione e nei confronti dei quali (possibilmente), avere un minimo di preparazione, con persone che valutiamo essere di una qualche utilità o da cui non è possibile accomiatarsi in tempi brevi. Quando ci si scambia impressioni frutto di considerazioni ponderate, si realizza ciò che va sotto il nome di ragionamento.

Elementi da considerare

Il termine “successo”, viene dal latino sub cedere e contiene l’idea fondamentale di “muoversi, andare”. Nei dizionari della lingua italiana, identifica l’effetto ultimo in un susseguirsi di fatti, in un’attività dall’esito favorevole.

In genere, per ottenere dei buoni risultati è necessario determinare gli obiettivi che ci interessa raggiungere (lavoro, relazioni sociali, legami affettivi, etc.) e individuare, successivamente, la migliore strategia applicativa. Inoltre, il metodo che consente una buona realizzazione, non può non tener conto dell’analisi del contesto ambientale in cui ci si troverà ad operare, in maniera da prevedere margini produttivi e aspetti di difficoltà. Il modo migliore di procedere, a questo punto, consiste nel sintonizzarsi con le esigenze degli altri, mostrando credibilità, coerenza, correttezza.

E ora occupiamoci dell’amore, con le sue gioie e i suoi dolori!

 

Guardami…

 

Che cosa vuoi da me che lui non ti sa dare? Che cosa vuoi da me che non si può comprare? Che cosa cerchi te, a parte “quell’amore”? Da cosa tenti di fuggire ? Che cosa vuoi da me, ti piace ricordare ? Ma il tempo scorre poi, tu non lo puoi fermare! Che cosa cerchi se sai già cosa trovare? Che cosa cerchi di capire ? Guardami, quel sole non c’è più, non può tornare… Guardati, tu non ci credi più. E non è uguale, Lasciati andare, allora, qui. Non sarà amore…ma credimi, è forte anche di più. E non parlare… Tu adesso qui con me, non é proprio normale. O forse invece sì, se viene naturale. Non chiedere perchè, se si potrà rifare. Ma se ne hai voglia puoi restare. Guarda li, c’è un sole ancora su. È un buon calore. Guarda che, se non ci credi più, non può far male. Lasciati andare, allora, qui. Non sarà amore.. ma, credimi, è forte anche di più. E vale anche di più! (Stadio)


Spesso dimentichiamo una cosa importante: è necessario, prima di ogni altra cosa, realizzare le condizioni per provare piacere a stare con se stessi; poi, in seconda battuta, quando si frequenta il partner, si cerca di star meglio. Un compagno, quindi, deve essere visto come qualcosa che migliora una situazione già favorevole, non una condizione necessaria indispensabile per star bene.

Sì, però occorre un’omogeneità di visione delle cose e di interessi. Ed è qua che casca l’asino!

Ma non è necessario pensarla allo stesso modo su tutto. La compenetrazione dei pensieri, l’omogeneizzazione delle aspirazioni e dei sentimenti si crea nel tempo, se il rapporto funziona e… man mano che i problemi personali di integrazione sociale e realizzazione lavorativa, tendono a risolversi.

Nei primi tempi, c’è un’enorme diversità… e questo è naturale e positivo, perché consente di rivedere le proprie posizioni e certi modi di vedere le cose. Pian piano, ognuno dei due cambierà qualcosa del proprio modo di essere e di rapportarsi con l’altro, “avvicinandosi” al partner. Questo rende diversi e migliori.

Ma che tipo di difficoltà si incontra? Non l’ho ancora capito!

Partiamo dal fatto che, di solito, quando si è piccoli (anagraficamente parlando), si devono condividere e subire, spazi e prepotenze degli altri componenti della famiglia di appartenenza (fratelli, genitori). Di conseguenza, appena ci si emancipa (andando, magari, a vivere da soli) si cerca di affermare le proprie istanze su quelle degli altri. A queste condizioni, l’idea di condividere, sacrificandosi nuovamente, qualcosa con un altro, arride solo fino a quando non termina l’effetto “novità”.

È proprio quello che provo!

È una cosa normale. Con una battuta, possiamo illustrare lo stato d’animo che connota i vari momenti della vita di relazione di un essere umano, partendo dall’adolescenza: “Purtroppo loro ( i familiari, soprattutto fratelli o sorelle), finalmente IO (per la libertà conquistata), in un certo qual modo… noi (l’ambivalenza che “tira la giacchetta”, nello stare col partner).

Ma ci sono persone che escono dalla famiglia d’origine solo quando si sposano o vanno a convivere. Saltano il periodo di libertà?

Effettivamente saranno prive di questa utile esperienza e, questo, potrà comportare delle perturbazioni nel rapporto.

È grave?

Dipende dalla voglia di migliorare se stessi, sul piano dell’autoaffermazione. Si potrebbe, addirittura, essere indotti a costruirsi, piuttosto velocemente, degli spazi di autonomia durante la vita “more uxorio”.

Caro lettore, prova a riflettere su quello che mi ha detto una persona (molto fuori dal comune) che cerca, ogni giorno, di capire e conoscersi, sempre meglio:

Vorrei un uomo…

“Vorrei un uomo che mi accolga per come sono e non per come vorrebbe che fossi… Che comprenda le mie paure senza dover necessariamente darmi sicurezza, ma solo contento di sentirle. Che sappia farsi posto nel mio letto senza farmi sentire braccata, che voglia dormire con me d’estate con la finestra aperta per vedere solo le stelle. Che mi prenda per mano per strada… anche quando mi prende l’ansia. Che mi sappia aspettare. Che apprezzi il mio desiderio di trasmettere tutto l’amore che porto dentro. Che sia divertito dai miei cambiamenti di umore, che si faccia dare una mano quando tentenna. Che rispetti il mio silenzio, che mi dia la possibilità di saper rispettare il suo silenzio. Che riesca a dare una voce diversa ad uno stato d’animo mio, suo… che diventi nostro. Che mi dica, senza aver paura di condizionarmi, che sto facendo la cosa giusta. Che le mie insicurezze non è necessario nasconderle o scriverle fra le righe. Che si invecchia e che si deve accettare la paura di invecchiare. Che voglia condividere con me una cuffietta del mio I-pod. Che sia contento di quanto sono orgogliosa di lui. Che mi sappia insegnare a piangere di nuovo”.

Io come donna…

“Arriverei con le braccia aperte, per lasciare esprimere il mio senso di accoglienza. Potrei essere un rifugio nelle notti di tempesta, un raggio di sole fra le nuvole minacciose, una leggera folata di vento nella calura dell’estate. Lascerei che si affacciasse dalla mia finestra preferita e vedesse quello che vedo io con i miei occhi. Ecco, gli donerei il mio sguardo quando la luce accecante del sole lo abbaglia impedendogli di vedere. Lo ascolterei anche se fossi stanca, lo spronerei quando sente di cadere, rimarrei dietro la cabina della doccia quando si prepara, forse perchè sotto la doccia gli vengono le migliori idee e io sarei lì ad ascoltare. Vorrei godere del suo piacere e vorrei che sentisse come esplode il mio piacere insieme a lui. Farei l’amore con lui senza che abbia il timore di dovermi dimostrare qualcosa. Gli darei il buonumore. Gli starei accanto, sforzandomi di capire quando sfugge. Cercherei di non metterlo con le spalle al muro. Cucinerei i miei piatti migliori e accetterei le critiche, anche se un pò ci rimarrei male. Comprerei dei vestiti per lui. Lo farei sentire libero. Ma con la voglia di tornare“.


Sorprendimi…

 

Sorprendimi, con baci che non conosco ogni notte, stupiscimi. E se alle volte poi cado, ti prego, sorreggimi, aiutami a capire le cose del mondo e parlami di più di te. Io mi do a te completamente; adesso andiamo nel vento e riapriamo le ali; c’è un volo molto speciale…non torna domani! Respiro nel tuo respiro e ti tengo le mani: qui non ci vede nessuno, siam troppo vicini, troppo veri. Sorprendimi e, con carezze proibite, dolcissime, amami. E se alle volte mi chiudo, ti prego, capiscimi: altro non c’è che la voglia di crescere insieme. Ascoltami, io mi do a te e penso a te, continuamente. Adesso andiamo nel vento e riapriamo le ali, c’è un volo molto speciale: non torna domani. Respiro nel tuo respiro e ti tengo le mani. Qui non ci prende nessuno, siam troppo vicini e troppo veri dai che torniamo nel vento e riapriamo le ali… sorprendimi! (Stadio)

Ottimo suggerimento! Torniamo alle difficoltà che si incontrano durante la vita in comune.


Sostanzialmente, sono quelle che governano, in genere, i legami interpersonali. Tutte le difficoltà che emergono nel rapporto con un’altra persona, le si può osservare all’interno di una dinamica di coppia. Infatti, è richiesto di sviluppare una capacità di adattamento, una riduzione della quota egocentrica, per venirsi incontro reciprocamente: insomma, si verifica una riduzione della libertà personale.

Ma in virtù di cosa, si devono fare queste rinunce?

In funzione di una quota affettiva che l’altro ti dà, e che da solo non puoi alimentare, di un’intimità e di un dialogo costruttivo, di una vita sessuale appagante. Sono argomenti più che sufficienti.

E ma io, nonostante tutto, trovo difficoltà a vederne i vantaggi!

Proviamo ad immaginare di avere un rapporto con una persona amica, veramente amica: questo, porta vantaggi o no?

Sì, però il rapporto con un amico non è esclusivo, è possibile avere più amici e la frequentazione è più dilazionata. Con un amico è più facile potersi incontrare solo su alcune cose, ma con un partner non mi sembra…come fai a dirgli, ad esempio che hai bisogno di restare un po’ da solo e preferisci non vederlo, magari, per una settimana?

E’ chiaro che, vivendo da soli, si finisce con l’apprezzare l’assenza di chi potrebbe “rompere le scatole”… però, si dovrebbe trascorrere, insieme, solo il tempo utile e costruttivo, per il resto ognuno continua le proprie attività. Si può anche arrivare a coabitare, a convivere, ma non necessariamente a trascorrere 24 ore al giorno insieme! Si metterebbe da parte la propria identità.

Come si calcolano i tempi da stare con un partner?

Non certamente con carta e penna! Dipenderà dal piacere che proverà ed aumenterà nel tempo.

E quando si crea una famiglia, sono molte le frustrazioni a carico affettivo?

In una famiglia bisogna distribuire energie, tempo e vita più che in un rapporto di coppia, per via della presenza dei figli. Di conseguenza è importante che, almeno, il partner sappia rispettarti, capirti e comprenderti e che tu sappia fare altrettanto, riuscendo a mettere, pian piano, a punto un ingranaggio molto positivo. in una famiglia composta da persone immature le difficoltà sono all’ordine del minuto, non del giorno, perché ci possono essere tanti motivi per scaricare i propri malcontenti.

Ma è molto laborioso riuscire ad arrivare ad un livello in cui ci si capisce e comprende o dipende da situazioni soggettive?

Dipende sempre dal grado di sviluppo dei singoli componenti e da quanto si è disponibili ad impegnarsi per realizzare questo progetto. Costruire una famiglia è gravoso, educare dei figli costringe a faticare tantissimo, star bene è il risultato di un corretto lavoro con se stessi. Se si capisce questo, si vive da “professionisti”, cioè al meglio… e non come viene viene.

Però due che si incontrano sono sempre due persone diverse che non si conoscono e costruire la coppia, creare degli interessi comuni, capire ognuno le esigenze dell’altro, non prevede un processo in cui possono esserci degli scontri?

Si…ed è normale, perché si confrontano idee differenti..

Ma di per sé, questo processo, comporta una sofferenza o no?

Può comportare dei disagi, legati alle abitudini che, per forza di cose devono cambiare; allora, se tu sei una persona estremamente rigida e poco incline alle novità, ti diventerà una sofferenza, altrimenti ti darà l’opportunità di apprezzare il vantaggio di vivere meglio attraverso l’evoluzione delle cose.

Quindi non è una cosa collegata al fatto di doversi, comunque, conoscere ed adattare uno all’altro.

Una famiglia non è una prescrizione naturale, può essere una condizione sociale, ma i tanti divorzi e separazioni testimoniano che non è sufficiente l’imposizione morale per tenerla insieme. Per legge di natura è importante la prosecuzione della specie, quindi avere figli potrebbe essere l’obiettivo massimo raggiungibile… e poi ognuno se ne andrebbe per la sua strada. Se, invece, la costruisci bene, avrai la possibilità di apprezzarne i vantaggi, di conseguenza non ti peserà viverci. Sarà certamente necessario impegnarti, sarà certamente necessario lavorare per avere dei risultati, ma ne varrà la pena per ciò che otterrai.

Quindi sono i vantaggi che rendono conveniente affrontare le frustrazioni a cui si va incontro!

Certo, i vantaggi che derivano dal vivere in un ambiente migliore, ma soprattutto i vantaggi che derivano dall’essere diventato tu, migliore, per essere riuscito ad affrontare le difficoltà! quindi ci sono vantaggi nella tua identità, vantaggi nel rapporto di individualità col partner e vantaggi nel rapporto di collettività familiare.

Potremmo concludere questo discorso, modificando un po’ un vecchio aforisma di A. de Saint-Exupéry

 

E ora, occupiamoci un po’ di come trascorre il tempo libero senza troppi fastidi… Cosa possiamo intendere, realisticamente, per “vacanza”?

Partendo dal principio che “vacanza” e “divertimento” stanno in rapporto relativo (perché ci si può divertire anche lavorando, per esempio), i dizionari della lingua italiana parlano di vuoto, assenza di qualcosa

Di cosa?

Della routine che porti avanti durante i mesi in cui non sei in vacanza ma, se quando trascorri gran parte del tuo tempo applicato al lavoro, dedicandoti alla famiglia, in un dialogo con te stesso, tu riesci a star bene al punto tale da divertirti, ecco che non hai nemmeno bisogno di fuggire o di sfuggire te stesso o gli altri, ricercando l’impossibile perché, tra l’altro, non lo troverai, dal momento che neanche tu sai, con certezza, quello che vuoi: sai quello che non vuoi ma non sai quello che ti servirà per star bene.

In che modo ci si diverte?

Per divertirsi dobbiamo riuscire a realizzare queste tre condizioni:

 

  • applicarsi in qualcosa che ci faccia dimenticare i problemi che ci portiamo dietro tutti i giorni;

 

  • evitare la noia;

 

  • ricercare esperienze nuove e costruttive con una forma mentis simile a quella dei bambini cioè, con il piacere della scoperta.

Ecco, su questi tre elementi gira tutto quello che ha a che fare con la nostra vita, non soltanto per il periodo delle vacanze.

Applicarsi in qualcosa che faccia dimenticare i problemi. Ma perché? Perché un problema di solito è qualcosa che genera frustrazioni dalle quali temiamo di non saper uscire. Noi sappiamo che una frustrazione è un fastidio che proviamo quando fra noi e un obiettivo si frappone un ostacolo; però c’è un particolare: il nostro cervello è stato creato per risolvere i problemi, altrimenti si annoia e si sente inutile alla stregua di un consulente che tu chiami e a cui non fai fare il lavoro per cui è stato preparato.

E allora?

Qualcosa che ci faccia dimenticare i problemi già nasconde il vero problema: noi abbiamo paura di non saperli risolvere, i problemi, oppure, per presunzione, esageriamo nel metterceli di fronte.

Molto spesso, il tentativo di vacanza si trasforma soltanto in una fuga dagli elementi opprimenti e allora, accade che ci si stressa durante l’anno, ci si stressa quando si è in vacanza e si arriva stressati alla fine di questo percorso.

Perché?

In verità, per riuscire a godersi un periodo di vacanza divertente, bisognerebbe avere altri due periodi di una lunghezza equivalente: un periodo di disintossicazione da tutto quello che si è fatto, un periodo di divertimento, un periodo di preparazione a tutto quello che ci attenderà. Però è difficile riuscire a costruire un vacanza in tal senso perché bisognerebbe opportunamente dosare, quasi come un alchimista, i giorni, le energie e le ore a nostra disposizione.

La verità è che anche andare in vacanza è un impegno, e questo non lo dico per scoraggiare coloro i quali già o sono in vacanza o si accingono ad andare, è un impegno perché non ci regala niente nessuno e noi siamo stati programmati per sviluppare le nostre capacità e trarne piacere.

Perché, molte volte, al rientro dalle vacanze ci si sente più spossati?

Dipende da come si è vissuto il periodo di vacanza. “Lavorare è meno noioso che divertirsi” (Charles Baudelaire).

Questo non identifica, ovviamente, il lavoro come muli da soma ma, semmai, lavoro come applicazione in qualcosa che ci dia delle soddisfazioni.

E questo è uno degli altri perni importanti di cui tener conto perché altrimenti tutta la vita gira intorno a un qualcosa che ci porta a doverci impegnare per non pensare e allora, ecco che poi diventa necessario una vacanza che ci porti lontano dai problemi… e tutto questo è una contraddizione in termini perché il cervello è stato progettato per risolvere problemi, pensando.

 

Siamo proprio sicuri che quando usciamo, dai nostri sonni, dai nostri sogni e, quindi cominciamo a vivere o dovremmo cominciare a vivere dal mattino fino al tramonto (e, per chi lavora di notte, fino al mattino dopo), noi siamo diversi, nelle nostre possibilità, per come madre natura avrebbe voluto? Siamo proprio sicuri che le nostre abitudini non ci accompagnano anche quando sarebbe opportuno lasciarle a casa? Ogni abitudine, anche quella più costruttiva, rappresenta comunque una limitazione; e allora cosa esistono a fare le abitudini?

Qualcuno che sa che, spesso, viaggio di notte trasformando il lavoro in momenti di pace e intimità da trascorrere in mia “preziosa” compagnia, mi ha chiesto:

“Com’era l’alba, nel tuo ultimo viaggio, che io non l’ho mai vista? C’erano forse le striature rossastre, gli stralci di celeste fra le nuvole minacciose, il rumore del silenzio nella strada? E la notte al tramonto era un po’ triste nel doversene andare oppure contenta nel passare la mano al colore del giorno? E tu hai fatto attenzione a tutto questo mentre arrivavi a destinazione? I monti alle spalle accarezzati di bianco sei riuscito a guardarli e ti sei emozionato, oppure eri troppo stanco e non hai fatto in tempo ad apprezzarli? E quelli che ti si sono presentati davanti, sicuramente carichi di nero di nuvole, ti hanno accolto comunque magari facendoti l’occhietto?”


Mentalmente, ho risposto…


“L’alba ha un suo fascino che apprezzi soprattutto quando le vai incontro con tanti buoni motivi per scrutarne tutti i contorni, soddisfatto di aver fatto tutto quello che potevi. E dovevi. E volevi”.

 

Caro lettore, se questo “incontro” ti ha coinvolto per come mi aspettavo, non potrai non apprezzare una vecchia canzone di Rosalino Cellamare (Ron). Nonostante tutto, vorrai “continuare” per altri cent’anni. E, magari, non da solo!

 

“Vorrei incontrarti fra cent’anni. Tu pensa al mondo, fra cent’anni! Ritroverò i tuoi occhi neri, tra milioni di occhi neri… Saran belli più di ieri. Vorrei incontrarti fra cent’anni, rosa rossa tra le mie mani, dolce profumo nelle notti, abbracciata al mio cuscino. Starò sveglio per guardarti, nella luce del mattino. Oh, questo amore, più ci consuma, più ci avvicina! Oh, questo amore, è un faro che brilla… Vorrei incontrarti fra cent’anni, combatterò dalla tua parte, perché, tale è il mio amore che, per il tuo bene, sopporterei ogni male. Vorrei incontrarti fra cent’anni, come un gabbiano volerò. Sarò felice in mezzo al vento, perché amo e sono amato da te che non puoi cancellarmi. E cancellarti non posso. Io voglio amarti, voglio averti, dirti quel che sento, abbandonare la mia anima chiusa dentro nel tuo petto. Chiudi gli occhi dolcemente e non ti preoccupare. Entra nel mio cuore, lasciati andare. Oh, questo amore, più ci consuma più ci avvicina. Oh, questo amore, è un faro che brilla in mezzo alla tempesta, senza aver paura mai… Vorrei incontrarti fra cent’anni. Tu pensa al mondo fra cent’anni. Ritroverò i tuoi occhi neri Tra milioni di occhi neri. Saran belli più di ieri.”

 

 

G. M. – Medico Psicoterapeuta