Posted on

Si possono trasformare i fastidi in occasioni per diventare migliori? Forse si.


 

 

A spasso verso un futuro migliore



Ti ho guardata e per il momento non esistono due occhi come i tuoi cosi’ neri, cosi’ soli che se mi guardi ancora e non li muovi diventan belli anche i miei e si capisce da come ridi che
fai finta e che non capisci, non vuoi guai ma ti giuro che per quella bocca, che se ti guardo diventa rossa morirei. Ma chissà se lo sai? Ma chissà se lo sai? Forse tu non lo sai no, tu non lo sai.
poi parliamo delle distanze, del cielo, e di dove va a dormire la luna quando esce il sole e di come era la terra prima che ci fosse l’amore e sotto quale stella, tra mille anni, se ci sarà una stella ci si potrà abbracciare? E poi la notte col suo silenzio regolare, quel silenzio che a volte sembra la morte… ma mi da il coraggio di parlare e di dirti tranquillamente, di dirtelo finalmente che ti amo e che di amarti non smetterò mai. Cosi’ adesso lo sai… (Ron)

Cos’è una frustrazione?

Letteralmente, secondo la lingua italiana, è quello stato psichico di avvilimento e senso di impotenza, che comporta l’incapacità di fronteggiare determinate situazioni.


In sostanza, è uno stato di disagio che consegue al mancato soddisfacimento di un bisogno o di un desiderio. Ciò che determina tale stato di sofferenza o di fastidio si produce quando un ostacolo si frappone al raggiungimento di uno scopo.

Nel momento in cui noi ci poniamo un obiettivo, ci muoviamo per raggiungerlo, abbiamo programmato, ci siamo organizzati, abbiamo tentato di prevedere anche i possibili imprevisti… ed un ostacolo si pone tra noi ed il raggiungimento dell’obiettivo, quest’ostacolo non è la frustrazione, lo stato d’animo che noi generiamo di fronte all’ostacolo è la frustrazione.

Questa è una differenza non da poco, perché se la frustrazione fosse l’ostacolo, siccome a volte, quest’ultimo non può essere rimosso, non ci sarebbe soluzione. Siccome, invece, dipende da come noi “viviamo” l’imprevisto ostacolante, possiamo metterci in condizione di migliorare la capacità elaborativa per raggiungere, comunque, l’obiettivo o per renderci conto che, arrivato ad un certo punto, il costo superava il beneficio e trovando, di conseguenza, soluzioni alternative.

Anche in questo modo si diventa migliori.

infatti, il sistema testé espresso, costituisce un mezzo di allenamento attraverso cui il complesso psiconeurologico, dovendo trovare soluzione ai problemi, va alla ricerca della costruzione di stati di benessere (passando per momenti di disequlibrio) costruendo piani di appoggio via via più elevati. Un po’ quello che accade quando si edifica un palazzo, assemblando (per gettate di cemento successive) i vari solai.



Il miglio verde è un film del 1999 diretto da Frank Darabont, tratto dal romanzo omonimo di Stephen King. Paul Edgecombe, un anziano di 108 anni che vive da alcuni anni presso una casa per anziani, è tormentato da incubi ricorrenti. Un giorno, durante la visione di una pellicola in bianco e nero non può trattenere la propria commozione e, accompagnato da una sua amica (Elaine) in una stanza, inizia a raccontarle la sua storia, l’anno in cui conobbe John Coffey. È il 1935, Paul lavora nel Braccio E del carcere di Cold Mountain, il miglio verde, così chiamato per il colore del pavimento che separa lo spazio tra le celle e la stanza delle esecuzioni capitali. Tutto cambia incredibilmente quando John Coffey, un enorme uomo di colore ingiustamente condannato per un omicidio che non ha commesso…

E a proposito del fatto che le frustrazioni possano rendere migliori, nella sequenza di seguito riportata, si vede come un violentatore omicida, Eduard Delacroix riesca a diventare un mansueto e mite personaggio che, con rassegnazione e dignità, attende la sua fine, “stringendo” amicizia con un topolino ribattezzato Mister Gingles


 

Qual è il modo migliore di porsi di fronte alle frustrazioni?

 


Le frustrazioni possono essere affrontate e risolte modificando il sistema di risposta nei confronti delle difficoltà che il mondo esterno procura. La difficoltà principale che si incontra nella metabolizzazione di una frustrazione consiste nel rifiuto ad accettare il fastidio prodotto dalla frustrazione medesima.

Cosa significa?

Per riuscire ad affrontare un ostacolo e, soprattutto, a gestire il fastidio che ne consegue, nel migliore dei modi, diventa necessario riuscire ad adattarsi a quella situazione. Questo non significa, necessariamente “farsene una ragione” ma, piuttosto, mettersi nelle condizioni di capire il problema, acquisire le competenze necessarie, rendersi disponibili [pianificandosi nella maniera opportuna-> https://www.lastradaweb.it/article.php3?id_article=1020&action=print
]

e attivarsi per risolvere. In pratica, il “farsene una ragione” diventa una condizione di accettazione del problema senza ignorarlo perché, se non ci rendiamo conto del fatto che qualcosa va ritoccata nella strategia operativa, continueremo a sbattere la testa contro dei muri insormontabili. Senza riuscire a capire il perché e il “per come”, a volte si riesce ad arrivare lo stesso alla fine…

ma a che prezzo?

Un simile “andare”, comporta una serie di cicatrici sull’armatura che ognuno è costretto ad indossare. Si sarebbe potuto usare il termine ‘ammaccature’, invece è preferibile utilizzare un termine propriamente umano: “cicatrice”.

L’armatura, infatti, diventa parte di noi e ci protegge, ma, allo stesso tempo, ci ingabbia e ci limita nella possibilità di diventare flessibili ed adattabili. I cavalieri medievali erano protetti dalle armature, però erano condizionati nei movimenti tanto che, una volta caduti da cavallo, diventavano facile preda dei nemici.

Perché è difficile sapersi adattare? Cosa significa sapersi adattare?

Forse è utile fare un passo indietro. Di fronte ad una necessità che porta a cambiare strategia operativa, noi abbiamo due possibilità: adeguarci o meno. Ci sono delle persone che rifiutano di prendere in considerazione l’idea di dover affrontare il problema e si allontano, addirittura, dalla Società. Questi, solitamente, si definiscono disadattati quando, invece, bisognerebbe definirli “disadeguati”.

Adeguarsi deriva dal termine latino “ad equare” che significa riuscire ad ottenere qualcosa cercando di realizzarla anche se il risultato non è ottimale: l’importante è condurre in porto quella situazione, quella trattativa, quel risultato. Adeguarsi è possibile attraverso due canali:

  • l’adattamento, da una parte;
  • il subire, dall’altra.

Se dovessimo domandare, statisticamente, ad un campione di persone come affrontano la giornata, come affrontano la propria esistenza, molti di loro risponderebbero che la vita è sofferenza. Abbiamo visto che, in fondo, non è un gran danno perché la sofferenza ci evita la noia e ci costringe a trovare soluzioni migliorative. Ma a certe condizioni però, altrimenti ci fossilizza e ci fa venir voglia di arrenderci…

Ehi, regista, sono stanco, fammi uscire dalla storia! (V. Androuss)

Molti ci riescono invecchiando riescono anzitempo, invecchiando prima di quando dovrebbe, in realtà, accadere. Subire significa non riuscire a trovare niente di meglio che tapparsi il naso, mettersi le mani davanti agli occhi, turarsi le orecchie, ed evitare di parlare per ribellarsi… e continuare ad andare avanti con la sola forza di volontà autocoercitiva. E’ un po’ quello che facciamo in tanti, in determinati momenti della nostra vita. Ebbene una simile situazione ci corrode, a meno che non utilizziamo quest’esperienza per cercare di trovare una soluzione alternativa, utilizzando quello di cui disponiamo: la capacità di riflettere, ristudiare la situazione, valutare se quell’implementazione di costi comunque rientra all’interno di uno schema per cui avremo dei vantaggi e, a quel punto, decidere se continuare o meno.

Da quel momento in poi, ci saremo adattati.

Questo termine deriva dal latino “adaptare”, cioè rendere possibile qualcosa, unire due elementi non più approssimativa, ma nella migliore delle condizioni possibili, quindi creando nuovi equilibri, che ci fanno evolvere, col principio del problem solving che diviene, di fatto, un “solving implement” che segue il seguente assioma:


problema –> ricerca dati per chiarire la posizione di partenza –> valutazioni circa la destinazione da raggiungere –> attuazione del modello –> sviluppo dei potenziali cognitivi per allenamento specifico.

Questo percorso, ci trasforma da relativamente immaturi, in adeguatamente maturi tendenti alla saggezza.

C’è differenza fra maturità e saggezza?

La parola “Maturo” ha una derivazione etimologica complessa ed è riferito a ciò “che è giunto a compimento, nel tempo giusto ed aspetta di essere utilizzato”. La “Saggezza”, invece, si evidenzia in quelle persone che hanno sviluppato la capacità di gustare il vero sapore della vite e, di conseguenza, la sanno apprezzare, valutandola nel suo complesso.

L’individuo maturo ha consapevolezza delle sue capacità sviluppate e vorrebbe utilizzarle perché glielo impone la dinamica della stessa energia. Si infastidisce molto quando impatta con le limitazioni degli altri ed è costretto a rallentare o a deviare dai suoi intendimenti ritenuti, a ragione, corretti. Il saggio, invece, sa ciò che lo attende in una Società controversa e conflittuale come la nostra e, di conseguenza, calibra nella giusta misura l’impegno da profondere nel raggiungimento dei suoi obiettivi, valutando la possibilità di eventuali ritardi nell’attuazione, non dipendenti dalla propria volontà.

In fondo, sia la persona matura che quella saggia ricercano il senso dell’esistenza, si danno da fare per migliorare lo standard qualitativo e si domandano come distinguere il reale dai falsi miti: in parole povere, tendono ad esprimere pienamente se stessi (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (di partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.). Il saggio, però, riesce, in virtù della maggiore esperienza di vita (in termini qualitativi, oltre che quantitativi), a manifestare una sorta di plusvalenza nella capacità di integrazione e adattamento.

 

Quanti tipi di frustrazione esistono?


Sostanzialmente due:

  • Positive
  • Negative


Afferiscono alle positive, le difficoltà e i fastidi personali da cui si è capaci di estrapolare insegnamenti di vita, qualunque ostacolo che altri ci procurano fornendoci però una serie di spiegazioni. Sono quelle circostanze che ci mettono in condizione di doverci misurare con noi stessi per diventare migliori.

Pensa se non ci avessi provato!

Facciamo un esempio pratico. Ogni volta che ritenevamo di non essere capaci di affrontare una situazione difficile e poi, alla fine ce l’abbiamo fatta, ne siamo sempre usciti, magari stanchi e “provati” (sul piano emozionale) ma, sicuramente corroborati sul fronte dell’autostima.

D’altronde, il sistema educativo che in ogni famiglia dovrebbe essere previsto come piano di intesa per produrre risultati apprezzabili, dovrebbe essere impostato sulle frustrazioni positive.

“Ma, ad un figlio bisogna dire sempre di sì, oppure sempre di no?”

Ma perché usare il termine “sempre”? Quando è opportuno si diventa disponibili, le altre volte si dice “no” e si spiegano i motivi della indisponibilità con l’aggiunta, alla fine, di una proposta alternativa che risulti essere gratificante. Non sempre si può essere accondiscendenti perché, altrimenti, non si aiuta il figlio a diventare autonomo. La distanza che passa tra un “no” perentorio, ed un “non sono disponibile, ma ne possiamo parlare” fa la differenza fra una frustrazione negativa ed una frustrazione positiva. La frustrazione resta come sofferenza perché non si riesce a raggiungere un obiettivo, però se ti dico che non sono disponibile spiegandotene le motivazioni, e poi ti gratifico, riconoscendoti il merito di essere stato, a tua volta, disponibile ad ascoltare il mio discorso, a venirmi incontro, ed aver contribuito insieme a me a trovare una soluzione: allora meriti il riconoscimento che ti spetta, cioè quello di aver mosso un passo in avanti nel cammino della maturità, che diventerà saggezza man mano che crescerai anche sul piano anagrafico.

Invece, le frustrazioni negative, quali sono?

Quelle che condizionano negativamente la crescita interiore: rimproveri, accuse mal poste, sensi di colpa, rimorsi, rimpianti, scorrettezze estreme subite da altri, etc. Sono primarie quando manca l’oggetto necessario a soddisfare il bisogno, secondarie quando è possibile affrontare e risolvere la sofferenza prodotta da ostacoli e difficoltà. Esempio di frustrazione negativa primaria: siamo nel deserto, abbiamo sete e non c’è acqua. E’ primaria perché manca proprio l’elemento fondamentale, però, se abbiamo visto un film western o se abbiamo studiato come comportarci, sapremo che quando individuiamo un cactus, da lì possiamo tratte tutta l’acqua che ci serve, quindi da primaria la trasformiamo in secondaria, cioè ci mettiamo in condizioni di riuscire, comunque, a trovare una soluzione.

A certe condizioni, soprattutto quando la sensibilità ci porta ad impattare ad elevato contenuto demotivante, ci si può rinchiudere in se stessi e desiderare che la vita finisca prima possibile.

 

Come è meglio porsi di fronte alle frustrazioni? Come reagiscono i bambini? Come reagiscono gli adulti?

Dal momento che, con il termine frustrazione, definiamo il disagio prodotto rispetto ad un ostacolo incontrato durante il cammino di vita, possiamo concludere che l’intensità dell’evento frustrante risulta essere direttamente proporzionale alla risposta elaborata dal proprio mondo interno.

Si è parlato spesso, in diversi lavori specifici, della possibilità di “costruire” ed “attivare” delle griglie di protezione mentale in grado di attenuare l’impatto dei cimenti esterni e dei negativismi “endogeni” (conflitti interiori “maceranti”). Non guasta riproporre i concetti fondamentali.

 

Queste griglie attivano tre livelli di protezione.

  1. In Entrata: riducono considerevolmente l’ingresso di dati negativi dal mondo esterno, vedono coinvolti, prevalentemente, apprendimento, percezione e logica, diminuiscono il turbamento dell’umore.
  2. In Elaborazione: impediscono la produzione di idee in conflitto, si attivano principalmente corretti elaborati di pensiero con verifica di logica, consentono di mantenere uno stato d’animo sufficientemente stabile.
  3. In Uscita: aiutano ad evitare la comunicazione di contenuti negativi, coinvolgono il meglio del proprio comportamento, ed evitano di danneggiare chi sta intorno mantenendo un comportamento “adeguato” anche in circostanze “difficili”.

La costruzione di tali meccanismi protettivi si realizza attraverso lo sviluppo delle proprie capacità interiori, mediante il raggiungimento di una condizione di equilibrio interiore, conseguente a maturità e saggezza e risulta essere tanto più efficace quanto più ci si avvicina all’assetto esposto di seguito:



  • Identità equilibrata (per riuscire a volersi bene);
  • Ambiente esterno a basso tenore di frustrazioni (per non “appesantirsi”);
  • Elasticità mentale (per non irritare la propria suscettibilità);
  • Visione “aperta” della realtà della vita (per non turbarsi, anche di fronte agli eventi “più strani”);
  • Efficace smaltimento dei fastidi prodotti (per non accumulare tossine mentali).

Prima di entrare nello specifico delle varie situazioni da affrontare, cerchiamo di capire come, in maniera oggettiva, si reagisce alle frustrazioni, in genere.

Come reagiscono i bambini?

Quando non vengono soffocati da un modello educativo estremamente rigido, attuano (inconsapevolmente) uno scarico di tensioni, rispondendo a stimoli fastidiosi mediante grida, pianti o altro. Nel caso in cui, invece, ci si trova di fronte a difficoltà di “canalizzazione” dell’energia (magari per qualche “errore” educativo), la situazione può cambiare considerevolmente. Ad esempio, un bambino dalla sensibilità molto sviluppata e con qualche “blocco” emotivo, potrà esprimersi:

  • in modo abnorme rispetto all’entità dello stimolo;
  • comprimendo le proprie risposte emotive e producendo disturbi psicosomatici.

Come reagiscono gli adulti?

La situazione, in questo caso, è un po’ più complessa: in genere (almeno finché non si raggiunge il colmo della misura) la persona adulta valuta la situazione frustrante e la provenienza del fastidio attuando, a volte, un meccanismo di repressione delle proprie reazioni aggressive. Prima di analizzare il sistema migliore di approccio con le frustrazioni, cerchiamo d osservare cosa accade quando si reprimono le proprie emozioni. Tutto quello che reprimiamo (bloccando ed impedendo la manifestazione dei propri sentimenti) rappresenta energia “imbrigliata” ma pronta ad esplodere violentemente ed in maniera sproporzionata, di fronte a sollecitazioni che possono anche non essere collegate con l’evento che abbiamo represso.


Come si può agire per evitare di reprimere ?


Cosa si reprime? Un sentimento, in base agli eventi! Quindi, per prima cosa, e’ necessario analizzare gli eventi e fare una serie di riflessioni:

  • se, analizzando gli eventi, si scopre di avere torto, non ha senso ribellarsi all’altro e poi reprimere la ribellione !
  • quando i fatti mostrano che non dipende da responsabilità personali l’evento a seguito del quale si reprime ma che è soltanto una motivazione di aggressività da parte dell’altro, bisogna fare delle valutazioni in merito a chi ci ha dato fastidio; se la persona ci interessa si può, temporaneamente, sospendere il fastidio (non reprimerlo !) per analizzare (in un secondo momento), insieme, l’evento frustrante; se la persona non ci interessa, si può decidere di non prendere proprio in considerazione la “provocazione” oppure di reagire anche violentemente, a seconda della capacità di metabolizzazione energetica di quel preciso momento e della eventuale pericolosità del personaggio che ci si trova di fronte.

il sistema migliore di affrontare le frustrazioni, prevede due momenti consequenziali:


  • Assorbimento della frustrazione (accettare il problema e affrontandolo, senza tentare di sfuggirgli);
  • Smaltimento della frustrazione (“digerire” la sofferenza attivando sistemi di risoluzione).

In altri articoli, si è già parlato del fatto che le frustrazioni, possono essere distinte in:

  • PRIMARIE – quando manca l’oggetto necessario a soddisfare il bisogno; ad esempio, non riuscire a soddisfare la sete per mancanza di acqua in zone desertiche „³ sono frustrazioni che lasciano un segno indelebile nella mente dell’essere umano: ad esempio, chi ha patito la fame, in tempo di guerra, prova un bisogno quasi irrefrenabile di accaparrarsi scorte alimentari anche in tempi in cui tale necessità risulta essere irrazionale.
  • SECONDARIE – quando è possibile affrontare e risolvere la sofferenza prodotta da ostacoli e difficoltà.

A sua volta, l’ostacolo può essere:


  • INTERNO (all’essere umano) o ESTERNO (riguardante l’ambiente che interagisce con l’essere umano);
  • ATTIVO (se, per la risoluzione del problema, si prevede il coinvolgimento della volontà del soggetto i questione) o PASSIVO (se la difficoltà non può essere superata con La semplice attivazione della volontà).

Di conseguenza, le frustrazioni secondarie, potranno essere classificate in:

  • ATTIVE INTERNE
  • ATTIVE ESTERNE
  • PASSIVE INTERNE
  • PASSIVE ESTERNE

Ora analizzeremo come si possono assorbire e metabolizzare i diversi tipi di frustrazioni.


  1. Esempio di Frustrazione Passiva Esterna: Perdita di un affetto (abbandono – decesso):

  2. a) bisogna ridistribuire le attenzioni e l’impegno precedentemente convogliato nel rapporto con la persona in questione, attraverso la creazione e/o il miglioramento di altri rapporti umani;

    b) è necessario operare delle riflessioni in termini di realtà umana (concetto di vita e di morte, valutazione “globale” della persona venuta a mancare, per stabilire “razionalmente” quanto ci è stata utile e quanti fastidi ci ha procurato) ricordandosi che, nonostante tutto, la tutela della propria identità “deve” prevalere, in base a precise Leggi di Natura. Questo tipo di frustrazione se non risolta, può produrre conflitti, per eventuali sensi di colpa.


  3. Esempio di Frustrazione Passiva Interna: Complessi di inferiorità (per anomalie fisiche, etc.):

  4. è necessario imparare ad accettare se stessi, “puntando” su quelli che sono i veri parametri di valutazione umana, superando il concetto “limitante” della competizione con l’atro: molti esseri umani non propriamente bellissimi, hanno raggiunto il successo lavorativo e familiare; inoltre, per godere di una vita piena di gratificazioni (affettive, etc.) non necessitano patrimoni economici. Questo tipo di frustrazione, se non risolta, produce conflitti fra la norma naturale ed il senso di inadeguatezza sociale.


  5. Esempio di Frustrazione Attiva Esterna: Decisioni da prendere, in merito a scelte di vita, con assunzione di possibili rischi:

  6. è indispensabile, per ridurre al minimo gli errori, operare delle scelte il più possibile logiche e razionali, per stabilire

    a) se si di appagare bisogni fondamentali, necessità non indispensabili, desideri effimeri;

    b) costi e benefici.

    Questo tipo di frustrazione, se non risolta, produce conflitti che inceppano le capacità decisionali.

  7. Esempio di Frustrazione Attiva Interna: Decisioni da prendere, in merito a scelte di vita (lavoro, affetti, ricerca di autonomia evolutiva, etc.) condizionate da apprendimenti morali, legami affettivi, etc.:


l’unica possibilità di uscirne, consiste nell’imparare ad utilizzare la logica, per riuscire a stabilire la correttezza delle proprie motivazioni, a dispetto di ciò che pensano gi altri e dei “ricatti” morali o affettivi. Questo tipo di frustrazione, se non risolta, produce gravi psicosomatosi, per la presenza di conflittualità perenni dovute a maceranti sensi di colpa.

In Conclusione?



Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra; Sally è una donna che non ha più voglia… di fare la guerra; Sally ha patito troppo, Sally ha già visto che cosa… ti può crollare addosso! Sally è già stata punita… per ogni sua distrazione o debolezza, per ogni candida carezza, data per non sentire… l’amarezza! Senti che fuori piove, senti che bel rumore, Sally cammina per la strada sicura senza pensare a niente! Ormai guarda la gente con aria indifferente; sono lontani quei momenti, quando uno sguardo provocava turbamenti, quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole… perché la vita è un brivido che vola via, è tutt’un equilibrio sopra la follia. Senti che fuori piove, senti che bel rumore! Ma forse, Sally, è proprio questo il senso del tuo vagare, forse davvero ci si deve sentire, alla fine un po’ male! Forse, alla fine di questa triste storia qualcuno troverà il coraggio per affrontare i sensi di colpa e cancellarli da questo viaggio, per vivere davvero ogni momento, con ogni suo turbamento! Sally cammina per la strada leggera, ormai è sera… si accendono le luci dei lampioni, tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni ed un pensiero le passa per la testa: forse la vita non è stata tutta persa, forse qualcosa si è salvato! Forse, davvero, non è stato poi tutto sbagliato! Forse era giusto così!?! Forse… ma forse… ma si! Cosa vuoi che ti dica io? Senti che bel rumore… (Vasco Rossi)

 

G. M. – Medico Psicoterapeuta

 

Si ringrazia Erminia Acri per la collaborazione offerta nella stesura del dattiloscritto