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…corri Peppino corri!


 

Il cinema italiano con Baarìa ha inaugurato la 66 edizione del Festival di Venezia ed è uno dei 5 film italiani in corsa per la candidatura all’Oscar insieme a “Il grande sogno” di Michele Placido, “Fortapasc” di Marco Risi e “Vincere” di Marco Bellocchio.

Tornatore, a dire il vero, sembra avere tutte le carte in regola per aggiudicarsi quanto meno una nomination e sarebbe la quarta.

Nel 2007 il regista siciliano se l’aggiudicò per “La sconosciuta”, nel 1996 per “L’uomo delle stelle” e nel 1990 con “Nuovo Cinema Paradiso” portò a casa l’Oscar.

Ora ci riprova con una megaproduzione italo-francese . Costo del film circa 25 milioni di euro. Se poi si considera che la Bagheria di Tornatore è stata ricostruita a 20 km da Tunisi con un set 3 volte più grande di quello che Scorsese utilizzò per girare “The gangs of New York”, si può avere quanto meno un’idea del fatto che “Baarìa” sia stato più volte definito un kolossal nostalgico.

Gli elementi del kolossal ci sono tutti, dal numero degli attori professionisti (63) al numero delle comparse (più di ventimila) all’utilizzo nelle riprese di dolly e carrelli tipicamente hollywoodiani, alla durata del film (150 minuti).

Quanto all’elemento nostalgico , seppur presente – Tornatore ripercorre cinquant’anni di vita densi di cambiamenti, dal fascismo agli anni settanta – non sembra essere questo l’elemento dominante del film.

Lo sfondo storico fornisce a Tornatore soprattutto materiale plastico, elementi scenografici e musicali e per quanto accurata la documentazione e la ricostruzione, che è alla base della scrittura del film, l’aspetto storico non ne costituisce la centralità.

La raffinatezza delle immagini accompagnate dalla, sempre emozionante, musica di Ennio Morricone, la fotografia di Enrico Lucidi e la magnifica scenografia di Maurizio Sabatini fanno di Baarìa un film tecnicamente perfetto.

E nella ricerca minuziosa dei particolari Tornatore, stilisticamente parlando, sembra rifarsi al sofisticato Luchino Visconti di “Il Gattopardo” .

Anche se la Sicilia raccontata da Tomasi di Lampedusa è così lontana, da un punto di vista temporale, dalla Bagheria di Tornatore, in entrambi i casi, lo specchio della realtà siciliana viene tracciato in un affresco corale per poi concentrarsi sulle vicende del protagonista.

 

Certo il comunista Peppino Torrenuova non è l’aristocratico principe di Salina.

Ma Tornatore sembra essersi ispirato a Visconti, per raccontarci la sua Sicilia, nella scelta stilistica e nel voler privilegiare i dati comportamentali dei personaggi, dove il ruolo determinante che ha il rapporto tra il personaggio e l’ambiente, ed ogni aspetto del contesto (sociale, storico, ambientale) viene trasformato in scenografia;. in una metaforica combinazione di movimento musicale e movimento di macchina.

Ma se nella raffinatezza di Visconti prevalevano le ragioni del metteur en scène, Tornatore non resiste alla mise en abyme, termine che nell’arte occidentale indica una tecnica nella quale un’immagine contiene una piccola copia di se stessa.

E così in Baarìa le autocitazioni implicite ed esplicite si sprecano. L’elemento metacinematografico percorre tutto il film, dal cinema che cambia nome (da Littorio a Vittoria) al ragazzo che colleziona i fotogrammi di pellicola (che non può non riportarci a Nuovo Cinema Paradiso) alla Bellucci agghindata come “Malena”, ai manifesti cinematografici che vengono inquadrati più volte (Peppino porterà il figlio la prima volta al cinema e la macchina da presa indugia sul manifesto di “Uno sguardo dal ponte”).

E a Bagheria c’è anche Villa Palagonia con le sue sculture mostruose, che Lattuada nel 1964 scelse come location per girare il film “Mafioso” con Alberto Sordi. Tornatore ci fa sentire la voce dell’indimendicato attore e ci ripropone anche il set cinematografico.

Insomma Baarìa è ricca di elementi, forse anche troppi.

Ma Tornatore, già dalla prima scena, con lo sguardo aereo del bambino che sorvola Bagheria, mette subito in chiaro le cose, è come se volesse dire, non è una ricostruzione puramente storica ma è il “mio” modo di vedere Bagheria.

 

E da quella Sicilia da cui partì, per diventare regista Peppino Tornatore , partì anche il giovane Totò di “Nuovo Cinema Paradiso” e partirà anche il figlio di Peppino Torrenuova, anch’egli con la passione per il cinema e la valigia piena di sogni.

Peppino, deluso e stanco, dopo anni di vane lotte politiche, accompagnandolo al treno affettuosamente gli dirà “va’ a buscarti il pane”.

In un finale irreale, all’interno di una struttura circolare, attraverso una virtuale staffetta tra padre e figlio, ecco che il regista ci riporta indietro alla scena iniziale del film.

 A questo punto la Bagheria di Giuseppe Tornatore si ricongiunge alla Palermo gattopardiana del Principe Tancredi dove: “Qualcosa deve pur cambiare perché tutto rimanga uguale“.