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Di sicuro… non “come viene, viene!”


Approfondimenti tecnici

Una delle tecniche principali utilizzate in musicoterapia è l’improvvisazione sonoro-musicale.

Il termine improvvisazione deriva dal latino “improvisus” e significa “imprevisto”, mentre nel linguaggio comune viene generalmente adoperato per indicare attività creative, inventate oppure organizzate in maniera estemporanea. Tali attività possono avere luogo nella vita di tutti i giorni, nelle arti sceniche (musica, danza, teatro) e nelle rispettive applicazioni terapeutiche.

Da un punto di vista musicale improvvisare vuol dire comporre musica per immediata ispirazione, nel momento stesso in cui si suona. L’improvvisazione consiste certamente in un atto di fantasia, ma non si fonda sulla casualità, e non è sinonimo di insufficiente preparazione: come è noto ai cultori del Jazz essa si basa su schemi armonici, strutture ritmiche, impasti timbrici e dinamici in gran parte predeterminati. Nel corso dell’esecuzione si sceglieranno le soluzioni da adottare tra le varie opzioni consentite all’interno di un sistema di riferimento organizzato e stabilito in precedenza. In musicoterapia accade qualcosa di simile: il terapista sceglie in maniera estemporanea tra le varie possibilità comprese in un sistema di riferimento, in questo caso costituito dal setting e dalla relazione. Il musicoterapista non agisce senza studio o senza preparazione, ma, al contrario utilizza la sua preparazione per elaborare creativamente il materiale sonoro e relazionale in suo possesso, e per fornire un mezzo di comunicazione diretto ed immediato. Attraverso l’utilizzo della voce, del corpo e degli strumenti musicali vengono veicolate delle informazioni, poiché la maggior parte degli esseri umani tende a riconoscere nei suoni le proprie emozioni, le proprie sensazioni e i propri pensieri.

“Si tratta di informazioni di senso, non di significato, informazioni vaghe, aspecifiche, ambigue simultaneamente multiple, cioè pluristratificate, informazioni che potremmo definire di natura connotativa”(Gaita, 1991).

Nel dialogo sonoro che si instaura nell’ambito di una improvvisazione il suono è vissuto anche come evento fisico, prodotto da vibrazioni di corpi elastici che si propagano nell’aria per mezzo di onde periodiche di condensazione e rarefazione molecolare. Nella propagazione sonora avviene una trasmissione di energia, la quale interagisce con l’ambiente circostante.

Una particolare forma di interazione tra suono e ambiente è costituita dal fenomeno della risonanza (detto anche fenomeno dell’oscillazione simpatica), la quale viene così definita dalla fisica acustica: “un sistema atto a vibrare mette in movimento un altro sistema atto a vibrare”(Righini). “Mette in vibrazione” un altro corpo significa che lo fa risuonare e che il suono è ricevuto a vari livelli, non soltanto a livello dell’apparato uditivo, ma anche a livello corporeo. A ciò si aggiunge che la risonanza che si genera all’interno di un’improvvisazione musicale evoca esperienze acquisite in epoca prenatale, poiché già durante i mesi della gestazione il feto percepisce i suoni. Il mondo intrauterino rappresenta una sorta di bagno di suoni, costituito da rumori intestinali e respiratori, voci esterne e rumori ambientali filtrati dal liquido amniotico e scanditi dalle pulsazioni cardiache.

La musica nel contesto della musicoterapia non è sempre “un’arte” e non sempre ha come risultato la “musica” fine a se stessa. In alcuni casi si tratta di un processo che ha come risultato “forme sonore” molto semplici. Il vocabolo”musica” in musicoterapia viene usato nella sua accezione più ampia di “universo sonoro“, sottolineando che i materiali musicali utilizzabili non sono soltanto quelli dotati di un’organizzazione formale complessa o di qualità estetiche di particolare rilevanza, ma anche eventi acustici comuni (sonorità corporee, di oggetti, dell’ambiente ecc..) purché abbiano un valore comunicativo nell’ambito della relazione. L’improvvisazione in questo caso è una produzione sonora libera da vincoli: è la produzione sonora spontanea del paziente a contatto con il setting musicoterapico. Il paziente “compone” la musica mentre suona o canta, e il terapeuta ha il compito valorizzare, di accompagnare e di guidare la sua improvvisazione offrendogli un mezzo sicuro per sperimentare nuovi comportamenti, nuovi ruoli e per sviluppare la capacità di compiere delle scelte entro limiti stabiliti

Per la seduta di musicoterapia può essere utilizzata un’ampia gamma di strumenti musicali: essi vengono considerati come oggetti intermediari e hanno il compito di favorire il passaggio delle energie corporeo-sonoro-musicali allo scopo di stabilire una comunicazione. Può essere adoperato qualsiasi oggetto in grado di funzionare come strumento di comunicazione, e generalmente si preferiscono strumenti di facile e immediata utilizzazione che non richiedono competenze tecniche e musicali. In altre parole l’oggetto intermediario svolge un ruolo di trasmettitore, permette cioè la comunicazione sostituendosi al legame fisico e mantenendo la  distanza tra i partners (R. Benenzon). Per stabilire tale scambio comunicativo è necessario individuare l’Iso (l’identità sonora) delle persone che partecipano all’improvvisazione. Con il termine Iso R. Benenzon si riferisce all’insieme delle energie sonore, acustiche e di movimento che appartengono ad un individuo e che lo caratterizzano. Questo flusso interno di energie è formato dall’eredità sonora: dalle esperienze intrauterine del periodo gestazionale, e dalle esperienze sonore fatte a partire dalla nascita fino al presente.

È possibile distingere in:

Iso universale: include nell’inconscio le energie sonore di base ereditate da millenni, e che caratterizzano tutto il genere umano( anche se con alcune in varianti dipendenti dalle aree geografica e all’ epoca storica di riferimento):


Iso gestaltico: include nell’inconscio le energie sonore che si producono partire dal concepimento di ciascun individuo;

Iso complementare: è l’insieme di piccole modifiche momentanee della propria identità sonora sotto l’effetto di circostanze specifiche;


Iso gruppale: è costituito dalle energie sonore e musicali prodotte nella fase di interazione nell’ambito di un gruppo, ed è connesso agli schemi sociali appartenenti all’ambiente nel quale l’individuo evolve;


Iso culturale: è l’insieme delle energie sonoro-musicali che si formano a partire dalla nascita e dal momento in cui si inizia a ricevere stimoli sonori dall’ambiente circostante. Rappresenta l’identità sonora propria di una comunità, e si riferisce alla cultura musicale condivisa dagli individui che ne fanno parte.

L’utilizzo dei parametri musicali (altezza, intensità, timbro, ritmo e durata) consente di riattivare modalità di relazione intersoggettive arcaiche attraverso un lavoro di sintonizzazioni (concetto derivato dalle teorie di Daniel Stern) che si realizzano nell’ambito di una produzione musicale condivisa così come in qualunque relazione umana fondata sugli affetti.

Esse possono essere considerate come risposte date in risonanza alla stato affettivo di base, e si distinguono in:


sintonizzazioni esatte: da intendersi come imitazioni assolutamente identiche del comportamento (rispecchiamento sonoro o imitazioni esatte che corrispondono alla ripetizione del materiale sonoro proposto dal paziente;


sintonizzazioni inesatte: intese come leggere variazioni o sfasature temporali e formali rispetto allo stimolo presentato al paziente, mantenendo però un certo grado di riconoscibilità, creando così da un lato una base rassicurante, e dall’altro i presupposti per un cambiamento. In tal modo viene facilitato un lavoro di integrazione interna nel cogliere somiglianze e differenze (tema con variazioni) e si favorisce la trasformazione di un processo stereotipato in un processo più comunicativo;


sintonizzazioni di tipo sinestesico: ossia traduzioni transmodali che colgono la sostanza del comportamento. Ciò si ricollega al concetto di percezione amodale, che consiste nel ricevere un’informazione con un canale sensoriale e tradurla in qualche modo in un’altra modalità sensoriale. Ad esempio, il musicoterapista utilizzando gli strumenti può tradurre in ritmo e in suono la frequenza, l’intensita ed il grado di partecipazione emotiva che può trapelare da un movimento o da un’emissione vocale del paziente.

I metodi d’improvvisazione si rivolgono principalmente a quelle persone che hanno bisogno di sviluppare spontaneità, creatività, libertà d’espressione, senso d’identità e capacità interpersonali e può essere usata con individui a vari livelli di sviluppo e funzionamento. Tuttavia ci sono alcuni prerequisiti di base che devono essere presi in considerazione, poichè ogni modello ha i propri prerequisiti per la partecipazione a seconda dell’ambiente clinico e della popolazione per il quale è progettato. I prerequisiti per un modello dipendono da ciò che al paziente verrà chiesto di fare. Se il modello comporta il cantare o il suonare uno strumento, il paziente dovrà avere le abilità motorie richieste. Se il modello comporta la discussione dell’improvvisazione, il paziente dovrà avere le abilità di linguaggio necessarie. Quindi, quando si adatta un modello all’utilizzo con una popolazione diversa bisogna considerare i prerequisiti per la partecipazione del paziente.

Il modello della musicoterapia creativa è un approccio alla terapia individuale e di gruppo sviluppato da Paul Nordoff un compositore americano) e Clive Robbins (un insegnante di sostegno inglese) intorno al 1960. Questo metodo di lavoro si rivolge prevalentemente a bambini affetti da handicap diversi, ma recentemente si è dimostrato efficace anche per gli adulti. Nordoff e Robbins definirono il loro approccio creativo ponendo l’accento sulla espressività e sulla creatività piuttosto che sulla ricettività. Durante le sedute Nordoff che improvvisava al pianoforte e Robbins lavorava direttamente col bambino.

Nello stesso periodo la violoncellista inglese Juliette Alvin sviluppò un proprio metodo di lavoro denominato terapia della libera improvvisazione. L’approccio è libero perché il terapista concede al paziente la libertà totale di improvvisare senza regole, strutture o temi. Juliette Alvin è nota per il suo lavoro con i bambini autistici, ma il suo metodo è stato ampiamente utilizzato con bambini con altre diagnosi e con adulti.

Il primo metodo ad esplorare l’uso dell’improvvisazione in psicoterapia con adulti in grado di utilizzare il linguaggio verbale è quello della musicoterapia analitica, modello elaborato da Mary Priestley in Inghilterra negli anni 60′. La musicoterapia analitica oltre all’uso di vari strumenti musicali prevede la discussione verbale, e l’improvvisazione si basa su temi introdotti dal paziente nella seduta: tali temi consistono in descrizioni sonore di sentimenti, eventi, persone e relazioni significative. Questo tipo di improvvisazione viene definita “programmatica” o “referenziale“, poiché la musica esprime o simbolizza fenomeni esterni alla musica stessa. Al contrario, l’improvvisazione “non referenziale” è indipendente da idee, pensieri o emozioni estranei all’ambito musicale: il suo significato riguarda esclusivamente eventi o processi estetici specifici governati unicamente da leggi musicali.

A prescindere dal modello di riferimento, in genere, gli incontri di musicoterapia improvvisativa vengono suddivisi in tre fasi principali: la prima consiste nello stabilire un contatto con l’incontro precedente; la seconda è lo spazio dedicato all’improvvisazione, e la terza è la conclusione dell’incontro. Nella prima parte, nei casi in cui è possibile, vi è un recupero verbale dei momenti più significativi della seduta precedente, oppure si utilizza qualche frammento sonoro (ritmico o melodico) utilizzato nell’ultimo incontro. Nella terza fase può esserci uno spazio dedicato alla discussione verbale, riguardo alla improvvisazione sonora appena conclusa. Quando il paziente non è in grado di verbalizzare sarà compito del terapista trovare dei codici in grado di segnalare l’approssimarsi del termine dell’incontro.

Bibliografia

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