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Come si “diventa” femmine o maschi?


 

Sessualità ed erotismo – 2

“Identità” e “ruolo” di genere

La sintesi, più o meno armonica, di componenti biologiche e ambientali contribuisce a delineare il concetto, abbastanza articolato, di identità sessuale. Intorno a questo elemento indicatore ruotano altri due aspetti fondamentali della moderna sessuologia:

  • l’identità di genere (da intendere come ciò che si percepisce in relazione alla coscienza di sé in merito al rapporto col “sentirsi” maschile o femminile, in merito al modo di “pensarsi” e “comportarsi”)
  • Il ruolo di genere (che, invece, è l’espressione esteriore dell’identità di genere, l’elemento di coerenza che l’individuo, maschile o femminile che sia, invia al mondo che lo circonda, manifestando, così, il grado, l’entità e l’armonia della sua sessualità.

L’identità di genere diventa pertanto la percezione introspettiva, tutta personale, del ruolo di genere.

Caratteri sessuali primari, secondari e terziari

Senza dubbio, specialmente se osservati dal punto di vista rigorosamente biologico, i concetti di identità e di ruolo di genere viaggiano su binari ben precisi e, per molti versi, rassicuranti, ma appena li caliamo nella realtà clinica, così varia e articolata, manifestano tutto il loro polimorfismo e la loro vulnerabilità, esposti come sono a pressanti e inderogabili verifiche da cui si ritorna, a seconda dei risultati, potenziati o spinti a rimettere tutto in discussione. La percezione della propria identità di genere diventa così, in un certo senso e paradossalmente, come un vestito in cui, alcuni si riconoscono e altri, invece, no.

Per semplificare il discorso, si potrebbe parlare di caratteri sessuali primari (organi genitali e riproduttivi), caratteri sessuali secondari (organi e apparati non riproduttivi, ma che presentano caratteristiche differenti tra maschio e femmina a partire dalla pubertà; è il caso della distribuzione delle masse muscolari, del tessuto adiposo, della peluria, della laringe fonatoria, delle mammelle, etc.) e caratteri sessuali terziari (relativi agli aspetti psicologici e alla personalità in genere, che influenzano decisamente lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari in maniera più o meno coerente a quelli primari, mediante coinvolgimento ipotalamico)

Dall’esito positivo o meno di queste verifiche scaturisce la precisa percezione del concetto di salute sessuale da intendere come “l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere umano, realizzata secondo lo sviluppo di modalità che valorizzano la persona, la comunicazione e l’amore” (definizione dell’Organizzazione Mondiale della sanità – 1972). L’individuo, biologicamente determinato come maschio o come femmina, dopo la nascita inizia un lento sviluppo che porterà, attraverso varie tappe successive, in funzione di quanto riuscirà a centrare obiettivi di realizzazione (sul lavoro, negli affetti e nel rapporto con se stesso, integrandosi nel contesto geografico e storico, mediante una corretta autostima e autoaffermazione) a raggiungere una piena identità di sé e cioè, nella fattispecie:

  • adeguato rispetto di sé;
  • fiducia nelle proprie capacità;
  • sviluppo ottimale delle capacità logiche e razionali;
  • certezza e sicurezza;
  • saper donare ricevere amore;
  • autoaffermazione globale (riuscire a dare un senso alle proprie occupazioni in termini di gratificazione non egocentrica ma, al contrario, in un’ottica di condivisione);
  • etc.

Le componenti principali dell’identità sessuale sono, rispettivamente:

  • il Genere;

  • il Ruolo;

  • la Meta.

L’identità di genere


Corrisponde alla somma di percezioni, sensazioni, convincimenti e altro che fanno sì che l’individuo si senta appartenere ad un sesso. In particolare, consente una certa uniformità e persistenza dell’individualità di una persona, quale maschio o femmina, specie come autoconsapevolezza sperimentata mediante un certo comportamento, soprattutto in un’età compresa fra i 2 e i 4-5 anni.



I
l ruolo


Corrisponde alla somma di comportamenti, atteggiamenti, espressioni per cui gli altri attribuiscono un individuo ad uno dei sessi. Dipende dall’ambiente di riferimento, rappresenta l’espressione pubblica del Genere di Identità e si conferma soprattutto alla pubertà.

La meta sessuale


Corrisponde all’interesse verso l’individuo sessualmente cui si tende, nei confronti del quale si producono sentimenti e si rivolgono attenzioni che tendono a definire una relazione più o meno stabile con esso. Di solito si tratta di un individuo del sesso opposto.

Secondo L. Kohlberg (psicologo di Harvard), gli stadi di sviluppo del concetto di genere, possono essere così suddivisi:

  • IDENTITÀ DI GENERE: il bambino sa che lui o gli altri appartengono ad un sesso.
  • STABILITÀ DEL GENERE: il bambino sa che i bambini diventeranno uomini e le bambine donne.
  • CONSISTENZA DEL GENERE: il bambino sa che essere maschi o femmine si resta in ogni situazione e per tutta la vita.

Lo sviluppo psicosessuale


  • Freud sviluppa un modello, per cui, il bambino, entra nell’adolescenza attraverso un’articolata serie di significati erotici, che cercano oggetti e comportamenti appropriati.
  • Piaget ha evidenziato come stadi cruciali dello sviluppo evolvono con andamento a gradino, piuttosto che in maniera continua, come avviene per lo sviluppo del sistema nervoso motorio.
  • Erikson, vede il bambino che fa questa sua entrata con un numero di capacità, che sono rilevanti per gli incontri della adolescenza, ma non confinati ad essa, come la capacità di sviluppare l’intimità e la fiducia.
  • Walter Mischel sostiene che il comportamento è disegnato dalle sue conseguenze, incoraggiato o scoraggiato da premi o punizioni ed ogni modificazione è facilitata dal modellamento o dall’esempio di altri. Questo comportamento è uguale per gli animali e per l’essere umano.
  • Kohlberg, spiega che gli stimoli che colpiscono l’individuo e le risposte conseguenti sono cognitivamente organizzate secondo categorie con conseguenze positive (premio) o negative (punizione) secondo la categoria assegnata. L’Autore così dipinge la differenza tra apprendimento sociale e cognitivo: secondo il sociale, io sono premiato per fare cose da ragazzo, dunque, io voglio essere un ragazzo; secondo il modello cognitivo, io sono un ragazzo, dunque, voglio fare cose da ragazzo, quindi, l’opportunità di fare cose da ragazzo è premiata. Così, ogni premio dato per il comportarsi come un ragazzo, attraverso processi cognitivi, rafforzerà il concetto di essere un ragazzo, mentre scarsi premi o punizioni per questo comportamento indeboliranno tale convinzione.
  • Gagnon e Simon (sociologi), in accordo con il modello cognitivo, parlano di scripts (copione-scrittura), che orientano gli individui nelle varie situazioni e giocherebbero un ruolo nello sviluppo sessuale. Questi scripts -schemi mentali- acquisiti dal gruppo sociale, in particolare dal gruppo dei pari-età nell’adolescenza, contribuirebbero a attribuire significati agli stati interni, ad organizzare sequenze di uno specifico atto sessuale, a decodificare nuove situazioni, a porre limiti per la risposta sessuale a associare aspetti non-sessuali della vita alla esperienza sessuale.

A questo punto, osserviamo le posizioni di due ricercatori italiani, Giovanni e Sara Russo ideatori di un nuovo modello psicodinamico avanzato, i quali approfondiscono il discorso considerando la necessità di osservare nel dettaglio, lo sviluppo di ogni elemento della personalità, in funzione dell’utilizzo delle proprie capacità consapevolizzate e allenate. Questi studiosi ricercatori, sostengono, tra l’altro, che lo sviluppo e la consistenza dell’identità sessuale, si evolvono attraverso una dinamica, che vede in primis, la relazione tra l’individuo e l’ambiente, rappresentato nei primi periodi di sviluppo, dalla figura materna (a seconda di come si pone nei confronti dell’altro sesso e di come esplica le sue peculiarità femminili in termini di accudimento e protezione) e, successivamente, dalla figura paterna (in base alle sue capacità di costituire un modello autorevole in cui riconoscere solidità e disponibilità)

Si riportano, testualmente, stralci di articoli della Prof. Sara Russo, direttrice della Scuola di Specializzazione ad Indirizzo Dinamico, di Roma (SFPID),con l’intento di fornire utilissime informazioni sul corretto modello educativo da offrire ad un figlio, con l’obiettivo di consentire una crescita sana e fisiologica anche e, soprattutto, sul piano dell’identità sessuale.

Il ruolo genitoriale viene affrontato, nella maggior parte dei casi, cercando di applicare il buon senso, i consigli dei parenti e degli amici e ciò che si è appreso nel rapporto con i propri genitori. Questa situazione di “improvvisazione” ha creato quadri sbilanciati come, ad esempio, quelli di genitori:

  • troppo emotivi e/o toppo protettivi: che vivono nella continua paura che possa succedere qualcosa di negativo al figlio e gli impediscono, il più delle volte, la possibilità di fare nuove esperienze;
  • troppo narcisisti: che rimangono, sostanzialmente, infantili. La proiezione del narcisismo li spinge ad attribuire ai figli qualità che, in realtà, non hanno;
  • morbosamente attaccati ai figli: che vogliono vivere assieme a loro ogni emozione;
  • troppo distaccati, o poco inclini alla comunicazione: in questo caso, i figli sentono profondamente l’abbandono fisico e psichico da parte dei genitori;
  • perfezionisti: hanno sempre da ridire;
  • dediti al consumo di alcool, droghe, al gioco d’azzardo, etc. : sopraffatti da problemi personali cercano conforto nei “vizi” ed ignorano la presenza dei figli;
  • troppo occupati nel lavoro;
  • separati o divorziati: dopo aver “nutrito” i figli con tanti litigi, si servono di loro come “armi” per colpirsi a vicenda.

Queste ed altre situazioni di difficoltà generano nei figli, blocchi in diversi settori della personalità. In tali circostanze, i figli crescono fisicamente ma non emotivamente e, ovviamente, non maturano psicologicamente.

Il figlio, quasi sempre:


a) introietta i comportamenti dei genitori;


b) acquisisce un insieme di messaggi corretti, scorretti, confusi e disturbanti;


c) inconsapevolmente li fa propri;


d) li esprime imitandoli.

Molte volte, in queste condizioni, il figlio si accorge dei vantaggi della produzione (consapevole o inconsapevole) di sintomi come, per esempio: paure, ansie, rifiuto del cibo (o, al contrario, eccessivo attaccamento ad esso), pianto immotivato, crampi addominali, cefalea, malori di varia natura.

Quali caratteristiche dovrebbe acquisire un genitore “maturo”?


  • Fornire stimolazioni costruttive all’insegna dell’accettazione.
  • Cercare di migliorarsi costantemente, riconoscendo la necessità di mettersi in discussione.
  • Mostrare duttilità e conciliazione.
  • Riflettere sul proprio operato, prima di credere (ed affermare) di avere sempre ragione.
  • Cercare di fornire esempi corretti di vita.
  • Mostrare coerenza.
  • Prendere decisione in accordo con il partner.
  • Discutere dimostrando comprensione, affettività e disponibilità.
  • Evitare decisioni “irrevocabili”, in quanto segno tangibile di rigidità infantile.

In fin dei conti, non è poi così difficile aiutare i propri figli a costruire autostima, autoaffermazione, autorealizzazione.

Partendo dal presupposto che il primo nucleo organizzato di aggregazione sociale, è quello composto da genitori e figli, possiamo concludere che:

la famiglia rappresenta il pilastro fondamentale su cui poggia l’intera organizzazione umana.

Infatti, una famiglia composta da genitori maturi, è in grado di offrire opportunità liberanti e coraggio nell’affrontare situazioni difficili, per evitare l’instaurarsi di comportamenti caratterizzati da dipendenza psicologica negativa.

Per capire la psicologia di genitori e figli, è necessario “collocarli” nel tempo storico e nell’ambiente sociale in cui si trovano a vivere.

Il ruolo del genitore è in relazione ad uno stato giuridico, la sua competenza consiste nel saper assolvere, in maniera corretta, il ruolo ricoperto.

Molti genitori hanno difficoltà a trasmettere adeguatamente il contenuto delle proprie emozioni affettive, con parole o gesti, ai propri figli.

Questa situazione risente del vecchio concetto di famiglia in cui, il rapporto fra genitori e figli era rappresentato dallo “scontro” fra due monologhi: uno, fatto di rimproveri col dito puntato (ricatti, punizioni, divieti esagerati, etc.); l’altro, costituito da bugie e difese pseudoprotettive. Il seguente ordine costituito, esprimeva il fallimento del genitore “educatore”.

Nella Società contemporanea, diventa sempre più evidente la necessità di imparare a far fronte, in maniera autorevole, alle esigenze pressanti dei propri figli, in termini di solidità interiore.

Questo implica la necessità di modificare i modelli genitoriali.

La famiglia, oramai, tende ad avviarsi verso un processo di evoluzione che è pari alla modificazione maturativa dei singoli componenti. Il raggiungimento dello sviluppo dell’identità del figlio, è in diretto rapporto allo sviluppo dell’identità dei genitori.

La famiglia è una rete comunicativa, fatta di relazioni ed interazioni.

Il comportamento umano si apprende e si sviluppa nel contesto familiare perché, come ci insegna la cibernetica, “ogni essere umano è compreso in sistema che lo comprende”.

All’analisi di quest’ottica “circolare”, l’ambiente può determinare i cambiamenti nella famiglia.

La famiglia, in quanto unità organizzata, si migliora in maniera direttamente proporzionale all’evoluzione dei suoi componenti ed in funzione di quanto si abbandonano le distorte strategie utilizzate per la soluzione dei problemi.

A queste condizioni, il “gruppo famiglia” può crescere e funzionare in modo nuovo, con la creazione di proficue sinergie operative, evitando disfunzioni determinate dal perpetrare comportamenti umilianti, incoerenti e contrastanti.

Fin da quando nasciamo, abbiamo necessità di instaurare un processo di attaccamento, come lo chiama la psicologia, o di relazione (es. rapporto tra due persone a breve distanza) come è definito dalla metodologia ad Indirizzo Dinamico (con gli avanzamenti di G. Russo) e di interazione ( rapporto unico di coppia con distanza zero).

Perché ogni essere umano va incontro al processo di attaccamento?

Tutto questo nasce dal bisogno. L’attaccamento è un legame che si può avere con una persona, un animale o una pianta che unisce nel tempo e nello spazio.

Nello spazio perché crescendo l’essere umano occupa uno spazio vitale sempre maggiore; all’inizio, lo spazio del neonato è il confine del suo corpo, poi si allarga comprendendo la persona che si occupa di lui.

Una madre, se vuole interagire col proprio figlio deve porsi alla distanza massima di 20 cm. altrimenti il bimbo non è in grado di mettere a fuoco l’immagine.

Quindi l’attaccamento è quel legame che parte dal contatto fisico e dalla comunicazione a distanza (es. telefonare per ascoltare la voce del figlio e attraverso le parole trasmettere sentimenti).

Quando arriva questo nutrimento affettivo, il bambino sente calore e piacere.

Lo sviluppo dell’affettività deve cominciare bene fin dalla tenera età. All’inizio della vita i comportamenti di attaccamento inducono alla vicinanza ed al contatto infatti il bambino vuole continuamente la vicinanza col genitore e ne cerca il contatto fisico.

All’inizio della vita l’essere umano che non sa parlare invia dei messaggi dei segnali per attivare l’attenzione del mondo esterno: il sorriso, il pianto, il richiamo buttando un oggetto per terra, la lallazione che a seconda dell’energia che trasmette può segnalare piacere, sorpresa, ecc. i genitori se si prenderanno cura del figlio, saranno in grado di decifrarne la lallazione perché avranno un interesse particolare.

Quando l’essere umano cresce continua a mandare questi segnali in forma diversa, ma spesso il genitore non ascolta e l’adulto spesso vede questi segnali solo quando diventano eclatanti cioè diventano sintomi, manifestazioni fisiche: non mangia, non dorme, cade spesso ecc. è il nutrimento affettivo che aiuta il bambino a crescere bene.

Noi esperti riteniamo che l’essere umano per necessità impara ad associare con gradualità la presenza di chi si cura di lui con l’attenuarsi dello stimolo spiacevole: es. la fame.

L’attaccamento anzitutto perché la persona che ci avvicina, ci consente la soddisfazione di un bisogno.

È il bisogno che ci induce ad uscire da noi per andare verso un’altra persona.

Nel caso di un bambino piccolo è la madre che soddisfa il bisogno di cibo, di coccole, di calore, di affettività, di dati che stimolino lo sviluppo mentale, etc.

Lo stesso capita agli adulti che, quando hanno fame di affettività, si rivolgono al proprio partner per essere nutriti dal punto di vista psicologico.

Ognuno di noi, piccolo o adulto, sente il bisogno di sentirsi dire che è amato.

Anche nelle coppie che decidono di lasciarsi la sofferenza rimane finché non si rompe definitivamente il legame e non viene meno quell’investimento umano globale.

Inoltre, all’inizio si soffre anche perché si sente fame di quella affettività che il proprio partner offriva e che lasciandosi è venuta a mancare.

È necessario che passi un po’ di tempo per poter smettere di soffrire.

Freud diceva che l’amore nasce dal bisogno che viene soddisfatto dal cibo, Satter ed Emerson dicevano che il legame è determinato da intensità e prontezza.

I comportamenti di attaccamento sono alla nascita i richiami del neonato per la madre; crescendo si passa ai comportamenti di accostamento che sono:

  • aggrapparsi al vestito della madre;
  • seguirla o cercarla quando non c’è.

Tutto questo accade perché è avvenuta una maturazione dal punto di vista neurologico, si è sviluppata la memoria, il bambino ne ha introiettato tutti i tratti, ricorda la voce della madre che lo tranquillizza anche da un’altra stanza.

Concludendo l’attaccamento è l’evento che segue ad un bisogno e nasce dalla necessità di attaccarci a qualcuno perché da questa persona deve venire la soddisfazione del nostro bisogno.

Ogni essere umano, fin da quando viene al mondo, ha “l’obbligo naturale” di appagare delle esigenze che, partendo da criteri di indispensabilità (bere, mangiare, dormire, etc.), coinvolgono settori necessari alla realizzazione personale (autostima, autoaffermazione, etc.).

Rendersi conto che si deve appagare una serie di necessità per poter crescere in maniera corretta, aiuta a capire le motivazioni dei comportamenti adolescenziali che, spesso, sono caratterizzati da dipendenza psicologica negativa.

Molti problemi odierni, infatti, sono determinati da una mancata crescita maturativa e dalla confusione che si fa, fra bisogni e desideri.

L’adolescente cerca di colmare la propria insicurezza (fisiologica, data l’età) e l’incapacità di autoaffermarsi, con sostituti esterni tipo: fumo (di ogni genere), “vestiti divisa”, droghe, alcool, comportamenti di protesta sociale, etc.

Qualunque essere umano al mondo, nasce dotato di potenzialità da coltivare, sviluppare e valorizzare. A seconda dell’interazione con l’ambiente circostante (famiglia, scuola, gruppi di appartenenza), sviluppa in maniera più o meno matura.

Come risultato di uno sviluppo corretto avremo una serie di comportamenti adeguati, che ci dimostrano che l’Essere Umano ha introiettato corretti modelli d’identificazione buone regole di convivenza ed idee coerenti con il rispetto di se stesso e degli altri.

La dipendenza psicologica negativa nei giovani produce immancabilmente comportamenti di opposizione con i familiari, con i professori, con le regole sociali.

Le differenze individuali fra i giovani sono legate a vari fattori: l’età, il sesso, la classe sociale di appartenenza, il grado d’istruzione, le amicizie, etc.

In genere l’imitazione di falsi modelli spinge il giovane a curare più l’apparenza, per essere meglio accettato, che la costruzione di un solido sviluppo psichico.

I primi messaggi di riferimento identificativo si acquisiscono in famiglia

Pertanto è utile ribadire che i primi messaggi familiari penetrano lentamente, prima a livello inconsapevole e poi a livello consapevole, e che nel primo periodo di sviluppo ogni essere umano è narcisista (proteso, esclusivamente, alla “cura” di sé).

Ovviamente, In un momento successivo, si deve insegnare al ragazzo il concetto di egoismo positivo (scambio corretto con il prossimo) da applicare nella comunicazione con il mondo esterno. A queste condizioni, ogni adolescente, man mano, sviluppa le proprie capacità mentali: comincia ad avere uno sviluppo dell’apprendimento, dell’intelligenza, della volontà, mette in pratica un corretto uso del pensiero e deve imparare ad appagare da solo i propri bisogni, senza strumentalizzare gli altri.

Invece, se il ragazzo, crescendo, continuerà a pretendere tutto da chi lo circonda, e imparerà a strumentalizzare gli altri per soddisfare i propri bisogni, non svilupperà egoismo positivo ma egoismo negativo (prendere dagli altri, senza dare niente in cambio) e se continuerà su questa strada, passerà all’egocentrismo (mettere se stessi al centro del mondo, restando fermamente convinti di avere ragione).

Un essere umano siffatto una volta diventato adulto, metterà in atto , nel mondo del lavoro e nella società in cui vive, una relazione dispotica, dittatoriale, tendente all’assolutismo.


Prima dell’adolescenza il bambino ha avuto un rapporto privilegiato con la madre e ciò ha determinato un vincolo profondo che segna l’essere umano “figlio” per tutta l’esistenza.

Tra la prima e la tarda adolescenza, si riscontrano problemi diversi

Nella prima adolescenza, ad esempio, i temi centrali da affrontare riguardano la rielaborazione della propria immagine corporea, il distacco dai genitori, l’accesso ad un elaborato di pensiero che consenta adeguate riflessioni.


Durante la tarda adolescenza e nei momenti successivi, diviene importante acquisire una maggiore responsabilità, raggiungere la capacità di sapersi gestire l’amministrazione economica, conquistare l’autonomia e costruire una coppia.

I cambiamenti somatici della fase puberale sono evidenti, mentre i cambiamenti psichici sono molto più lenti e meno evidenti. La ricerca delle relazioni sociali con i coetanei, l’amicizia, l’innamoramento hanno una notevole importanza.

Si porta l’attenzione sul proprio corpo, sull’apparenza esterna, sull’impressione che si fa agli altri.

Si sente un forte bisogno di autonomia ed i conflitti con i genitori si fanno sempre più evidenti, come pure le crisi, le preoccupazioni, le insicurezze, i dubbi sulla propria identità.

Una delle difficoltà del processo di emancipazione non è il raggiungimento della rottura dei rapporti con la famiglia, ma la trasformazione degli stessi, che tuttavia conservano gli aspetti positivi, come: fiducia, affetto, appoggio etc.

L’adolescente ha bisogno della famiglia come fonte di sicurezza, il bisogno di vedersi emancipato, ma ha paura di perdere l’affetto dei genitori.

Per rendere efficace e funzionale un rapporto educativo dobbiamo conoscere i veri bisogni di un essere umano.

Crescendo, per un periodo transitorio della propria vita, il ragazzo ha bisogno di identificarsi in qualcuno (un genitore, un docente, una qualunque figura autorevole). Può accadere che questa fase non venga superata, per cui l’essere umano rimane gregario, dipendente da altre persone.

Un’altra condizione tipica di questo periodo transitorio, è quella della competizione con gli altri che viene spesso stimolata dalla famiglia e dalla scuola. Così facendo la propria energia è impegnata a competere con gli altri e non con se stessi.

Un fattore cruciale, che incide profondamente nella personalità, riguarda il rapporto con la propria sessualità. Si passa dalla masturbazione, al rapporto con un partner, cercando di costruire, gradualmente, anche un rapporto d’amore.

Quali sono le condizioni da appagare, che consentono un corretto sviluppo dell’essere umano?


  1. La costruzione dell’Autostima: è una forma di protezione nei nostri confronti; se ci amiamo dobbiamo autoproteggerci, dobbiamo fare in modo che la nostra salute psicofisica rimanga integra.
  2. Rispetto del proprio spazio vitale e di quello altrui, che deve realizzarsi senza differenze gerarchiche o di età.
  3. Autoaffermazione: ogni giorno dobbiamo godere mediante i 5 sensi e migliorarci attraverso una sana competizione con se stessi.
  4. Sviluppo dell’individualità: individualità riguarda il rapporto che ciascuno ha con un’altra persona. Il rapporto con un gruppo è detto collettività.
  5. Accettazione: sentirsi accettato favorisce il confronto delle proprie idee con un genitore o con un insegnante.
  6. Affetto: l’affettività è un nutrimento psichico che deve essere elargito dai genitori non solo per gratificare il figlio se ha prodotto qualcosa di buono, ma per il semplice fatto che esiste.
  7. Disponibilità del genitore: è indispensabile per creare un rapporto positivo con i figli.
  8. Sicurezza: è la famiglia che deve offrire appoggio e sicurezza al ragazzo per aiutarlo a superare gli scorretti allettamenti di conoscenze sbagliate. Questa condizione si verifica quando i genitori sono disponibili a fornire spiegazioni autorevoli, stimolazioni idonee per la crescita psicofisica dei figli.

 


Bibliografia


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  • G. Russo – Una psicoterapia ad Indirizzo Dinamico: un modo nelle tue mani – EUR Ed.
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  • S. Russo – Genitori… oggi – Web Magazine La Strad@ (www.lastradaweb.it)
  • S. Russo – I rapporto fra genitori e figli, all’alba di una nuova era – Web Magazine La Strad@
  • S. Russo – Dall’egocentrismo al processo maturativo – Web Magazine La Strad@
  • S. Russo – I meccanismi dell’attaccamento – Web Magazine La Strad@
  • G. Groddek- Il libro dell’ES – Newton Compton Ed.
  • G. C. Reda – Trattato di psichiatria – Ed. UTET
  • G. Rossi – Manuale di psichiatria – Piccin e Vallardi Ed.
  • Hopkins – Neurologia Clinica – Poletto Ed.
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  • DSM IV – Criteri diagnostici – Masson Ed.
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  • FREUD S., Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Opere, trad. it., vol. IV, Torino, Boringhieri 1970.
  • FREUD S., La morale sessuale ”civile” e il nervosismo moderno (1908), Opere, trad. it., vol. IV, Torino, Boringhieri 1970.
  • FREUD S., Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (1908), Opere, trad. it., vol. IV, Torino, Boringhieri 1970.
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  • FREUD S., Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910), Opere, trad. it., vol. VI, Torino, Boringhieri 1974.
  • FREUD S., Introduzione al narcisismo (1914), Opere, trad. it., vol. VII, Torino, Boringhieri 1975.
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  • FREUD S., L’Io e l’Es (1922), Opere, trad. it., vol. IX, Torino, Boringhieri 1977.
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…CONTINUA


G. M. – Medico Psicoterapeuta