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Di Pier Paolo Pasolini


  

L’indicazione cinematografica per la Pasqua appena trascorsa, ci induce alla visione di un’opera fra le più amate e discusse sulla vita di Gesù: “Il vangelo secondo Matteo”, diretto da Pier Paolo Pasolini. Il film fu presentato il 4 settembre del 1964 alla XXV Mostra di Venezia, che gli decretò il Premio Speciale della Giuria. Dopo il restauro della pellicola del 2004, lo si può reperire in videoteca. Questo film e’ stato in larga parte girato in Basilicata, in particolare a Barile e a Matera, con qualche esterna anche a Potenza, in Puglia, in Calabria e nella Valle dell’Etna.

La fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli ne esalta i contenuti, con la sua immagine di povertà, non meno dei costumi curati da Danilo Donati, e delle musiche originali di Luis Bacalov, oltre che del repertorio classico che tocca Bach, Mozart, Prokofiev, Webern, con incursioni nella musica etnica africana, incisiva ed intensa come lo sono i canti rivoluzionari russi. E poi il cast: Gesù è interpretato dallo studente spagnolo Enrique Irazoqui (doppiato da Enrico Maria Salerno); Margherita Caruso è Maria da giovane; la madre del regista Susanna Pasolini interpreta l’anziana Madonna; e infine la schiera di scrittori e poeti a lui cari, come Natalia Ginzburg (Maria di Betania), Alfonso Gatto (l’apostolo Andrea) Enzo Siciliano (Simone); e Ninetto Davoli (pastore); Amerigo Bevilacqua (Erode I); Francesco Leonetti (Erode II); assistente alla regia Elsa Morante. Innumerevoli i premi vinti dal Vangelo dopo aver commosso il pubblico a Venezia. Il film è una riproposizione molto fedele del Vangelo secondo Matteo. Si ripercorrono le tappe della vita di Gesù Cristo: la nascita, Erode, il battesimo di Giovanni Battista fino ad arrivare alla morte e alla resurrezione.

Pasolini lesse il Vangelo per la prima volta nel 1942, la seconda ad Assisi nel 1962 su invito della Pro Civitate Christiana presso la Cittadella. L’iniziativa venne da Lucio Caruso, un medico che operava nella Cittadella Cristiana e che aveva fondato alcuni lebbrosari in Africa. Quando abbiamo avuto la fortuna di intervistarlo, leggevamo ancora nei suoi occhi un entusiasmo giovanile per quell’esperienza unica. Pasolini – ci raccontava – lesse il Vangelo di Matteo in una sola notte e lo trovò completo per una sceneggiatura. Riteneva la versione dell’apostolo Matteo quella che più d’ogni altra risalta l’umanità del Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini.

Pasolini non era cattolico, e quella mancanza di “resistenze interne” lo convinse a terminare questo ambizioso e rischioso progetto. Il Vangelo cui Pasolini si richiama lascia emergere una figura umana, più che divina, di Cristo che, anche se ha molti tratti di dolcezza e mitezza, reagisce con rabbia all’ipocrisia e alla falsità. È un Cristo che non è venuto a “portare la pace ma la spada”, perché sia possibile accedere al regno di Dio con cuore puro “come quello dei bambini”.

È, anche, un Cristo rivoluzionario. “Nel particolare momento storico in cui Cristo operava – sosteneva il regista – dire alla gente ‘porgi al nemico l’altra guancia’ era un’affermazione di un anticonformismo da far rabbrividire, uno scandalo insostenibile. Infatti lo hanno crocifisso…”

E c’è la Basilicata da sfondo alle immagini sul Cristo di Pasolini. Esattamente le cantine di Barile, dove memorabili resteranno le immagini della “Strage degli innocenti”: bambolotti come bambini scaraventati e dilaniati dai crudeli soldati di Erode. Armati di spadino di legno e con un turbante nero, apparivano nella finzione di uccidere. E poi le donne riprese nel loro dolore, irrompono di prepotenza sullo schermo. I volti sono segnati dal sole, le madri sembrano nonne e le mamme (come la stessa Maria della Natività) sembrano bambine. Pasolini ridisegna, con percettibile coerenza, l’immagine di quel tempo, nel quale la miseria solcava il viso degli uomini, rendendoli incredibilmente identici.

Queste come altre, rimangono nel ricordo ormai sbiadito degli ultimi testimoni della presenza in Lucania dell’autore friulano, che scelse il Sud e questa regione, per rappresentare il dolore. Per il ruolo della Madonna (mirabile l’interpretazione sotto la Croce) il poeta-regista portò in scena sua madre: mai scelta si rivelò più ardita, in un rapporto filiale mutuato nelle sequenze del pianto. Quasi un preludio al pianto per la cruenta sorte del regista-poeta. E infine quel Sud carico di significato, come l’Etna (per la scena della tentazione), l’imponente castello federiciano di Lucera (quale regno di Erode), la scarna gravina di Massafra per le predicazioni e infine l’aspra Crotone: la durezza e la bellezza del messaggio di Cristo, questo l’obiettivo di Pasolini assolutamente raggiunto.

 

Armando Lostaglio