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…C’è dell’Altro. Di sicuro.


La recente dipartita di una persona, a me molto cara, mi ha suscitato – al di là della comprensibile mestizia – una miriade di pensieri, riflessioni, immaginazioni, ai quali non ho saputo dare risposte concettualmente accettabili; eppure, la domanda del presente tema interessa la storia di tutta l’umanità, quantunque le più svariate religioni, le diverse filosofie, le credenze misteriosofiche, la magia, i riti antichi, tutti, hanno tentato di considerare la vita e la morte come eventi da interpretare al di fuori della loro fenomenologia naturale: tutte queste interpretazioni, però, si sono risolte in una miriade di “aporie”, cioè di proposte reciprocamente incompatibili, anche se ugualmente tutte valide.

Né intendo, col presente scritto, dare un ulteriore contributo alla soluzione del dilemma; voglio, soltanto, trasferire, ai cinque lettori di manzoniana memoria che avranno la bontà di leggermi, la mia ansia, le mie immaginazioni, ed i sentimenti che, tuttavia, non possiamo evitare di fronte al dilemma.


Se la morte è l’evento naturale certo per eccellenza, possiamo dire che anche la vita ha una sua certezza originaria? Lapalissianamente si può rispondere che la morte, in tanto subentra, in quanto è preceduta da un evento vitale;

il difficile è tentare di dare una definizione al concetto di vita e di morte.

  • L’Amleto shakespeariano, nel famoso monologo paragonava il morire al dormire,

  • mentre per il Foscolo l’uomo si crea “la pia illusione” di non varcare “il limitar di Dite” per sperare nel perdono d’Iddio;

  • Socrate, il saggio antico per antonomasia, considerava la morte sotto un duplice aspetto: o come un nulla eterno nel quale cessa ogni affanno vitale, o come un transito verso una dimensione spirituale, nella quale avrebbe continuato il suo dialogare con i grandi poeti della sua epoca, a partire da Omero.


Le religioni monoteiste – ebraismo, cristianesimo ed islamismo, in particolare – hanno valutato il vivere come un transito temporaneo, al quale succede una vita ultraterrena, priva di ogni sofferenza ed allietata da una felicità ineffabile; ciò porta a concludere che l’anima è parte temporanea di corpi che hanno la capacità di trasformarsi, crescere, divenire ed agire, mentre tutto ciò che è materia inerte, amorfa, non può essere partecipe della spiritualità;

ma, allora ci si domanda se il fuoco sia da considerare come materia inerte priva di una propria anima; eppure, la fiamma nasce, cresce, si espande e consuma elementi vitali come l’ossigeno e tutto ciò che è combustibile, per la propria sopravvivenza.

Vero è che solo l’elemento umano non accetta, né si rassegna all’idea della morte; purtroppo, per noi, quelle tre dita di materia grigia, che ci avvolgono, come una corona regale, il capo, costituiscono la suprema aureola a consacrazione di una specie vivente alla quale è dato di presagire il proprio destino finale, ineluttabile, ma, non per questo, preclusivo di ogni visione ultraterrena.

Sarà pur vero che la fauna terrestre ha cominciato a popolare la terra appena un miliardo di anni or sono, dopo essere stata per altri 4 miliardi di anni precedenti come immersa in un’immensa incubatrice marina; forse i nostri progenitori sono state delle scimmie, e che l’universo, nell’infinita immensità della sua curvatura, ha avuto un’origine ed avrà una fine;

ma mi rimane e ci rimane l’eterno insoluto dilemma del perché pianeti, stelle, galassie continuino a girare – quasi danzando il tema musicale di Strauss, che il grande regista Kubrick ha posto come “leit-motiv” al suo impagabile film “2001, Odissea nello spazio”, – senza mai scontrarsi, ma, soprattutto, continuo a domandarmi perché i cani abbaino alla luna da milioni di anni, e le scimmie continuino ad oscillare, con andatura quadrumane, tra i frondosi rami delle foreste o fra i consunti e maleodoranti trespoli dei vari giardini zoologici.

Chiamatelo come vi pare, Jhavè, Allah, Dio, ma non ditemi che la divinità è un’invenzione umana perché la nostra limitata visione della realtà, la nostra corruttibilità, il nostro necessario divenire, non poteva , da solo, guardare oltre l’ultimo orizzonte.

Giuseppe Chiaia ( preside )