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Il patrimonio artistico dei tuoi film e le tue interpretazioni indimenticabili resteranno sempre vive e indelebili nella memoria collettiva.

E’ scomparso uno dei più grandi attori in senso assoluto, uno dei personaggi più amati del novecento, ma il patrimonio artistico dei suoi film e le sue interpretazioni indimenticabili resteranno sempre vive e indelebili nella memoria collettiva.

Inizia la sua carriera girando per i cinema – teatri di varietà, si iscrive a Milano all’Accademia dei Filodrammatici, ma viene cacciato via a causa dell’intonazione romanesca. Eppure viene scelto dalla MGM per dare la voce ad Oliver Hardy, doppia film come La scala a chiocciola (diretto da Robert Siodmak – 1946) e presta la voce perfino al giovane Marcello Mastroianni.

Nel ’38 entra nel teatro di rivista, nel ’43 entra nello storico gruppo satirico Za-Bum di Mattoli e poi in Soffia so’, con cui continua a lavorare nel difficile periodo bellico. Nel ’45 approda a Milano al teatro Olimpia.

Il primo vero successo arriva grazie alla radio, dove Sordi presenta i personaggi di Mario Pio, il signor Dice, il conte Claro e Compagnuccio della parrocchietta, satireggiando, come farà nel suo primo, sfortunato film Mamma mia, che impressione! l’italietta democristiana di allora.

Nel 1952 Fellini lo propone come divo dei fotoromanzi dello Sceicco bianco, e poi come uno dei Vitelloni.

E’ il 1953 quando Sordi gira per la regia di Steno Un giorno in pretura, film ad episodi, il migliore dei quali ha al centro un giovanotto romano arrestato per atti osceni, al pretore spiega come, mentre faceva nudo il bagno in una marrana (pozza d’acqua), un vigile che voleva fargli una multa gli aveva portato via i vestiti. Quel personaggio di bullo logorroico ed esibizionista, maniaco dell’America imparata al cinema che si esprime in un inglese immaginario, fece la fortuna del film.

E così Nando Moriconi- detto “Santi Byron, il Gene Kelly italiano”, dotato di jeans col risvolto e maglietta di filo bianco sopra l’immancabile canottiera, diventa il protagonista di Un americano a Roma ancora con la regia di Steno. La sceneggiatura è firmata da Alessandro Continenza, Lucio Fulci, Ettore Scola, Steno e Sordi.

“Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo, adesso…io me te magno”.

Il film ha due caratteristiche principali: la struttura da farsa più che da commedia, cioè il predominio del meccanismo comico sull’analisi dei caratteri; la preminenza assoluta del protagonista al quale gli altri interpreti si limitano a far da spalla.

Nando è fanatico di tutto ciò che è americano: la lingua che storpia a modo suo, il cibo – sebbene sia pronto a rinnegarlo per un piatto di maccheroni – e il cinema hollywoodiano.

Un americano a Roma è una tappa importante nell’itinerario di Sordi perché fu il suo vero trampolino di lancio.

Nel ’54 escono 13 film con Sordi che si sposta esausto da un set all’altro, 8 nel ’55, tra cui il grande Il segno di Venere con cui inizia la felice collaborazione con Dino Risi.

Nel ’60 è il trionfo con La grande guerra di Monicelli, in tandem con Vittorio Gassman. Il film presentato alla Mostra di Venezia otterrà il Leone d’oro e sarà il primo grande riconoscimento ottenuto da una “commedia all’italiana”. Con il personaggio di Oreste Jacovacci il “romano”, Sordi “l’antieroe” per definizione si precisa; si precisa il personaggio già sapientemente costruito nel corso del passato decennio e che nel corso di questa e delle successive stagioni darà tutto il meglio di sé, del proprio irrefrenabile istrionismo, all’ “italiano medio” (qui interpreta ancora un ruolo “popolare” ma poi andrà progressivamente imborghesendosi) incarnandone l’opportunismo, l’egoismo, la mediocrità. Che però, a sorpresa, è capace anche di riscattarsi con un improvviso colpo di reni, di rispetto per la propria dignità, l’esplosione dell’istrionismo sordiano è travolgente, e straziante.

Seguono altri due titoli, Una vita difficile e Tutti a casa di Comencini, soggetto e sceneggiatura di Age e Scarpelli.

“Signor Colonnello, sono il tenente Innocenzi. Accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani”.

La costruzione del personaggio del sottotenente Innocenzi in Tutti a casa rappresenta per gli autori il desiderio di dare vita ad un personaggio nuovo nella tradizione della “commedia” : un borghese, che non è un eroe ma neanche un vigliacco, un uomo qualunque. E questa costituisce per Sordi la prima occasione di smettere i panni farseschi, caricaturali, grotteschi della maschera, per indossare, quelli di un vero e proprio personaggio, un tipo comune , nel quale “ci si possa riconoscere”, ovvero, quello che diventerà il paradigmatico “italiano medio” di Alberto Sordi.

Il mito di Alberto Sordi consiste nel fare del cinema la favola grottesca degli Italiani, un interminabile carnevale della vita e dei rapporti sociali, dove la maschera non assorbe l’attore ma, al contrario, lo rivela, in un carosello di ingrandimenti e allucinazioni dell’identità.

Quando Sordi costruisce la maschera come amplificazione “inaccettabile” del personaggio, come esagerazione del “tipo medio”, assistiamo allo straniamento del travestimento che esalta e annulla nello stesso istante il rapporto fra maschera e attore. Il ghigno, allora, prende il posto del sorriso, la mobilità oculare rivela l’ansia insopprimibile del travestimento per sgusciare fuori dalla trappola della realtà, l’intonazione di gola fa risuonare il disaccordo fra il personaggio e la sua maschera sociale, sottolineato dalla smorfia dell’attore che sembra deridere la maschera alle sue spalle.

L’industriale diventa un sognatore, il vigile un impostore, il marito un tessitore di trame contro la moglie, il viaggiatore di commercio un dongiovanni ridicolo, il prete un imboscato della vita.

Sordi toglie ogni sostegno al personaggio, negandogli finanche il piacere del travestimento. Dall’eroe involontario de La grande guerra all’avvoltoio impietoso de Il giudizio universale; dal marito impossibilmente “morale” de Una vita difficile al marito patetico de Il boom e via via attraverso la catena dei piccoli eroi di tanti film.

In sessant’anni di carriera e in più di centocinquanta film Alberto Sordi ha donato al cinema italiano una galleria di personaggi unici e indimenticabili, “l’uomo qualunque” che ci ha fatto sorridere, ridere, piangere e riflettere nessuno lo potrà mai dimenticare.

GRAZIE ALBERTO!