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“La storia rifà il processo”.
Un giovane e valido avvocato, ex PM onorario, ritorna “figurativamente” nei “suoi” panni per il rifacimento storico di uno dei processi più famosi dell’Italia risorgimentale; il finale, stavolta, è a sorpresa!



Conclusioni P

SPAZIO GIUSTIZIA

 

 

“I FRATELLI BANDIERA FRA STORIA E DIRITTO”

a cura dell’ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER L’INDUSTRIA E L’ARTIGIANATOI.P.S.I.A. DI ACRI (COSENZA).

 

 

CHI AMA SOPRATTUTTO IL DIO DELLE ARMI, QUANTO PIU’ VINCERA’ CON LE ARMI, TANTO PIU’ PERDERA’ SE’ STESSO.

(R. Tagore)

 

Nell’ambito di una bellissima manifestazione svoltasi per lodevole iniziativa di una docente dell’I.P.S.I.A. di Acri, Professoressa Nuccia Giudice, coadiuvata dall’impegno del Preside e degli altri docenti, corroborata dall’entusiasmo degli studenti, mi è stata offerta la possibilità, nella veste di pubblico ministero, avendo assolto a questa funzione per tre anni, nella qualità di magistrato onorario presso l’ex pretura di Cosenza, di proporre le mie idee relativamente alla libertà ed all’indipendenza di pensiero degli esseri umani.

Si è pensato, quindi, di riscrivere, attraverso una rappresentazione dal vivo, nella suggestiva cornice di “Palazzo Falcone – Sala delle Colonne”, ad Acri, una pagina importante della storia dell’Unità Italiana, quella relativa alla cattura e, poi, dopo un sommario processo, all’uccisione dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, nel vallone di Rovito, a Cosenza.

L’intento è stato quello di rivedere, con occhi diversi, i comportamenti e le gesta degli uomini di quel tempo, in una chiave più umana, più naturale.

Alla chiusura della fase dibattimentale del processo, la parola viene data alle parti (pubblico ministero e difensori) per la formulazione delle conclusioni; dopo, dai giudici, verrà emessa la sentenza.

Avv. Maria Cipparrone

 

 

LA STORIA RIFA’ IL PROCESSO

 

Conclusioni Pubblico Ministero.

Processo a carico di Attilio ed Emilio Bandiera.

 

Italia, periodo storico compreso fra il 1830 ed il 1844: a Sud esiste il dominio dei Borboni, a Nord si assiste ad una egemonia degli Asburgo.

Attilio ed Emilio Bandiera, veneziani, figli del contrammiraglio della marina austriaca, barone Francesco Bandiera, si arruolano, nel 1831, nella stessa marina militare.

Con la cattura, da loro stessi operata, assieme al padre, di alcuni rivoluzionari romagnoli, si insinuano nelle loro menti nuove idee di libertà, di indipendenza, di un’Italia unica ed unita: tutte idee sovversive rispetto all’ordine costituito.

  • Nel 1840 iniziano attività di cospirazione contro i governi stranieri all’interno della marina austriaca.
  • Nel 1841 fondano la società segreta Esperia, che si collega all’altra società segreta Giovine Italia, entrambe ispirate ad ideali patriottici, ad ideali repubblicani.
  • Fuggiti a Corfù, perché traditi da chi militava nelle loro stesse fila, da qui organizzano una spedizione in Calabria, dove sbarcano il 24/06/1844 insieme ai compagni Domenico Moro, Nicolò Ricciotti, Domenico Lupatelli, Giacomo Rocca, Giovanni Venerucci, Francesco Berti, Anacarsi Nardi, per stimolare le genti di questa terra a ribellarsi al giogo straniero.
  • Vengono accolti come briganti dal popolo di S. Giovanni in Fiore che, atterrito dalle gesta del brigante Meluso, li scambia per uomini della sua banda.
  • Dopo una strenua battaglia vengono fatti prigionieri.

In prigione restano un mese – ecco i capi di imputazione:


  1. Cospirazione ed attentato all’ordine pubblico, per fare cambiare governo ed eccitare i sudditi calabri alla rivolta;
  2. Sbarco furtivo a mano armata e con bandiera tricolore;
  3. Infrazioni alle leggi sanitarie;
  4. Resistenza alla forza pubblica ed uccisione dei suoi agenti in Belvedere Spinelli e parimenti attacco e resistenza in S. Giovanni in Fiore;
  5. Aver introdotto carte e libri sediziosi.

Il 24/07/1844 viene emessa la sentenza

Questi i fatti.

<< Sig. Presidente, Signori Giudici, innanzitutto dobbiamo chiederci chi o cosa stiamo processando: gli odierni imputati (per i fatti ascrittigli) o i loro ideali?


E’ bene chiarire tale aspetto, perché solo così si potrà arrivare sereni ad una sentenza.

Questo Pubblico Ministero, al di là dei fatti di causa e dei capi d’imputazione formulati, ritiene che, oggi, in quest’aula di giustizia e sottolinea di giustizia, i veri imputati siano gli ideali di questi giovani, ciò in cui loro hanno creduto (a torto o a ragione), ed a cui sono stati fedeli, convinti di agire nel rispetto della libertà, dell’indipendenza dal potere assoluto, dell’unità.

Tutto ciò, in nome di un’unica Italia, non più schiava dello straniero, non più assoggettata al potere monarchico, ma nuova e repubblicana.

Sotto questa ottica, questo Pubblico Ministero si chiede, ritenendo di non venire meno al suo ruolo, cosa vi sia di illegale e di illegittimo in tutto ciò.

Compito di chi amministra la giustizia è quello di fare luce, di accertare con serenità ed equilibrio i fatti, non di perseguire o perseguitare anche quando non vi sono elementi.

Si possono condannare degli esseri umani perché aspirano ad essere liberi, senza il dominio da parte di altri?

E’ lecito auspicare la libertà per sé stessi e per le proprie idee?

Questo è un processo che fa riflettere, deve far riflettere!

A distanza di 150 anni e più, si parla ancora di esseri umani che hanno creduto in qualcosa, in idee, le loro, che si costruiscono anche con le azioni, con i modelli, quelli personali.

Al di là di tante considerazioni che si potrebbero fare su questa pagina di storia (ed alcune di esse per poter essere reali richiederebbero da parte di chi le fa, un calarsi effettivo nella realtà di quei tempi) ce n’è, però, qualcuna che, secondo questo P.M., non teme smentite.

Ve le propongo sig. Presidente, signori Giudici.

Le idee degli Esseri Umani non si incatenano, né si possono sopprimere come si potrebbe fare con coloro che le hanno prodotte: questa è l’unica vera libertà incontestata dell’uomo! Pertanto, esse possono continuare a circolare e ad essere create da altri.

Degli uomini può fermarsi la mano, non la mente!

Nessuno può, perciò, essere condannato per le sue idee, neanche Attilio ed Emilio Bandiera e tutti i loro compagni, che, ingenuamente (e secondo i costumi e gli apprendimenti del loro tempo) hanno creduto di poter riconsegnare l’Italia a chi apparteneva, cioè agli Italiani.

Questo P.M., quindi, conclude ritenendo che, né dagli atti del processo, né dall’escussione dei testi, né dall’esame degli stessi imputati siano emersi elementi di colpevolezza a loro carico.

Pertanto, chiede, ex art. 530 1° comma c.p.p., e tale richiesta merita pieno accoglimento, per i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro, Niccolò Ricciotti, Domenico Lupatelli, Giacomo Rocca, Giovanni Venerucci, Francesco Berti, Anacarsi Nardi, l’assoluzione per tutti i reati ad essi ascritti in rubrica perché il fatto non sussiste.

Avv. Maria Cipparrone