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L’assegno divorzile, nell’ordinamento italiano, trova la sua disciplina principale nell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), che stabilisce presupposti e criteri per il suo riconoscimento, quantificazione e revisione. Alla luce dell’orientamento più recente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 18287/2018), la funzione dell’assegno divorzile non è più limitata alla mera conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma si caratterizza per la sua duplice valenza: assistenziale e, soprattutto, perequativo-compensativa.

Il giudice, nella valutazione della spettanza e nella definizione dell’ammontare dell’assegno, è chiamato ad accertare se sussista uno squilibrio economico rilevante tra gli ex coniugi, squilibrio che deve essere l’effetto diretto delle scelte e dei ruoli assunti durante la vita matrimoniale, e non di semplici differenze reddituali contingenti. Tale accertamento presuppone una valutazione concreta e comparativa delle condizioni economico-patrimoniali e personali, delle potenzialità lavorative residue, delle eventuali rinunce professionali, della durata del matrimonio e del contributo fornito da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e personale (art. 5, comma 6, L. 898/1970; Cass. Sez. Un. 18287/2018; Cass. 5603/2020; Cass. 32198/2021).

Il giudice, acquisita la prova delle condizioni economiche degli ex coniugi, dovrà dunque valutare:

  • le condizioni economiche e personali di ciascuno (redditi, patrimonio, età, stato di salute, capacità lavorativa residua);
  • le ragioni della decisione di divorzio;
  • il contributo fornito da ciascun coniuge alla vita familiare e alla formazione del patrimonio;
  • la durata del matrimonio.

Tutti questi elementi sono espressamente richiamati dall’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio (L. n. 898/1970) e devono essere oggetto di un’indagine concreta che tenga conto delle dinamiche familiari e delle scelte condivise, senza limitarsi a una mera comparazione di redditi e patrimoni (Cass. 5603/2020; Cass. 1882/2019).

In particolare, ai fini della valutazione, assumono rilievo non solo i redditi da lavoro o da pensione, ma anche tutte le altre entrate stabili (ad esempio affitti, proventi finanziari), nonché il patrimonio effettivo, anche se improduttivo di reddito. Sono valutabili pure le attribuzioni derivanti dallo scioglimento della comunione, le prestazioni assistenziali di rilevanza economica, e – secondo l’orientamento più recente – anche il supporto economico proveniente dalla famiglia d’origine (Cass. 42145/2021).

La prova delle condizioni economiche può essere fornita anche per presunzioni, purché gravi, precise e concordanti (art. 2729 c.c.; Cass. 24111/2024), consentendo così al giudice una ricostruzione attendibile della situazione patrimoniale complessiva anche in presenza di lacune documentali.

È importante distinguere tra assegno di separazione e assegno di divorzio. Nel primo caso, il parametro resta il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio come previsto dall’art. 156 c.c. e costantemente affermato dalla giurisprudenza (Cass. 11490/1990; Cass. 11177/2006); nel divorzio, invece, il criterio guida è la funzione perequativo-compensativa, con esclusione della mera ricostruzione del tenore di vita pregresso.

La revisione dell’assegno trova fondamento nell’art. 9 della L. 898/1970 e nell’art. 473-bis.29 c.p.c. Il giudice può modificarlo solo in presenza di circostanze sopravvenute che alterino in modo significativo l’equilibrio economico tra gli ex coniugi, senza rimettere in discussione i presupposti originari già accertati (Cass. 32198/2021).

Sono tipici esempi di sopravvenienze rilevanti: la variazione dei redditi di uno o di entrambi, l’acquisizione di un nuovo lavoro, il sopraggiungere di una nuova convivenza more uxorio (che incide sulla sola componente assistenziale), la maturazione di TFR, il pensionamento, la nascita di nuovi figli.

Nel determinare l’importo aggiornato dell’assegno, il giudice terrà conto anche della svalutazione monetaria, per garantire che la prestazione mantenga il suo valore reale (Cass. 12317/2007).

Erminia Acri-Avvocato

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