Abbiamo molte armi, molte le abbiamo date ad Israele, Bibi mi chiedeva armi di cui non avevano neanche sentito parlare. Le ha usate bene e questo ha portato alla pace. (Donald Trump)
Alla stregua di un capo dei capi che potremmo trovare all’interno delle “ndrine” di Mafia (capaci, comunque, di realizzare un anti- Stato con la compiacenza occulta, comunque, dello Stato medesimo) Il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha spiegato (o meglio, ha ricordato) al Mondo che la Pace non nasce dai buoni propositi di persone dotate di buona volontà ma dalla forza che vince ogni altra forza.
Un po’ come quando, da piccoli, si litigava fra fratelli e, a un certo punto, arrivava il capo famiglia minacciando: “Se non la smettete subito, vi riempio di botte! E adesso, quindi, abbracciatevi da buoni fratelli…”
Cari Lettori, riprendendo il pensiero del prof. Alessandro Orsini francamente possiamo rallegrarci per la tregua (con il dolore per le persone morte ingiustamente) ma restiamo sospettosi nei confronti di un soggetto che (pur governando gli Stati Uniti d’America) crede nella menzogna come “valore aggiunto”.
Altrimenti sarebbe come ringraziare gli spacciatori o gli assassini solo perché hanno deciso di non continuare a fare più del male…
Cari Lettori, ci siamo chiesti il motivo per cui sia così difficile andare d’accordo e ci sovviene la frase di Papa Giovanni Paolo Secondo, divenuta oggetto di analisi durante gli Esami di Stato del 1982: “Inutile cercare la Pace fra i popoli se, prima, non esiste il sorriso verso il vicino di casa e, soprattutto, la disponibilità al perdono nei nostri cuori”
Come dire: dall’Individuale al collettivo, per ritornare nel cuore della propria identità
E partendo proprio da questa conclusione, forse riusciamo a capire la riflessione di un amico comune, espresso un po’ di tempo fa:
Politica? No grazie. C’è chi scommette, quasi come future in borsa, sulla tenuta della salute di un avversario. Poi c’è chi, da alleato o addirittura da amico/a, trama con i poteri forti per demolire i tuoi progetti. Poi ci sono gli ex amici di cordata che si svendono al neopotere in carica come baldracche dell’Antica Roma. Meglio la solitudine. Meglio la mia squadra del cuore, la mia economia dell’innovazione e la forza di sognare. Nonostante tutto” (Prof. Geppino de Rose, Economista)
Eppure, riflettendo su questa amara considerazione postata in una piazza virtuale da un esperto delle “cose sociali” il pensiero non può non andare ai propositi legati alla possibilità di contribuire a migliorare i fatti di quel Mondo nel quale tutti, soprattutto i giovani, investono sogni e speranze.
Sovviene, a tal proposito, il concetto di Aldo Carotenuto per cui, le emozioni più violente e i conflitti più difficili da sostenere sono legati alla dimensione relazionale.
Sostanzialmente, l’altro, chi ci sta di fronte (e che ci suscita delle reazioni emotive, positive o negative) ci consegnerebbe al “dolore” per il semplice fatto che, solo attraverso di lui, saremmo indotti a rivedere (come in uno specchio) noi stessi.
Gli esperti del settore, lo chiamano meccanismo di Proiezione o di Identificazione proiettiva (quando, dopo la rabbia, compare il senso di colpa).
Potremmo concludere, quindi, che Il mistero del nostro “Io” più profondo, sarebbe stato in gran parte racchiuso nella potenzialità di un incontro dialettico.
Per me, la Psiche si sviluppa solo nelle relazioni con gli altri, i quali ci aiutano a migliorare la capacità di capirli”(Otto Kernberg).

Cari lettori, questa “curiosa” (per via di quello che abbiamo premesso a proposito di Trump e compagni) foto di gruppo, ci richiama una sorta di impietoso confronto fra le vecchie immagini dei ricordi (con, annessi, i sogni di gloria) e la propria immagine attuale (l’esame di una realtà non proprio lusinghiera), e ci conduce a osservare ciò che è rimasto della presunzione di onnipotenza adolescenziale.
E non può non tornarci alla memoria il contenuto di una amara ma formativa lettura…

Un giorno senza tempo, in un luogo senza collocazione geografica precisa, gli animali di una “Fattoria padronale” maltrattati e sfruttati dal signor Jones (il proprietario terriero), vengono a conoscenza del sogno di un vecchio e saggio maiale, in cui gli animali sono liberi dal giogo del padrone e artefici del proprio destino.
Vecchio Maggiore (il maiale in questione) spiega, chiaramente, che il loro vero nemico è l’uomo, l’unico animale che consumi senza produrre, arrivando a formulare una particolare massima di vita (“Tutto ciò che ha quattro gambe o ali è buono, tutto ciò che ha due gambe è cattivo”) e a riproporre un canto di lotta della sua gioventù, profetizzante la liberazione degli animali, in un tempo futuro.
Il signor Jones, ridotto ormai ad un alcolista, trascura sempre più la fattoria fino a quando, ormai stufi, gli animali sfondano i recinti per andare a cibarsi da soli, mentre Jones e gli altri uomini si scagliano contro di loro.
A quel punto, come se ci fosse un accordo preordinato, gli animali iniziano a combattere contro gli umani, conquistando la fattoria, che diventa di loro esclusiva proprietà, e ribattezzandola “Fattoria degli animali”.
Ben presto, tuttavia, emerge tra loro una nuova classe di sfruttatori costituita dai maiali: gli stessi che avevano incitato il “popolo” a liberarsi dall’oppressore.
Essi, con la loro astuzia, il loro egoismo e la loro cupidigia, si impongono in modo prepotente e tirannico sugli altri animali più ingenui e semplici.
In questa nuova razza padrona, il potere, all’inizio, si concentra nella mani dei due più spregiudicati: Napoleon e Palla di Neve. Ben presto, però, Napoleon si circonda di un gruppo di cani che trasforma in milizie pretoriane, al proprio servizio.
In questo modo, esautora Palla di Neve e fa “sparire” chi non si mostra d’accordo con le sue idee dittatoriali.
Con una politica particolarmente demagogica, il nuovo tiranno fa ricadere tutte le responsabilità repressive sull’antagonista (in realtà esiliato in segreto) e attribuisce a sé, ogni merito. Accade una cosa simile, ad esempio, per il fallimentare progetto di costruzione del mulino: il crollo dell’edificio viene fatto passare come un atto terroristico di Palla di Neve!
Napoleon, nel tempo, tradisce anche i suoi più fervidi sostenitori, come il cavallo Gondrano, che invia (con l’inganno) al macello, quando non è più utile ai suoi progetti.
Gli ideali di uguaglianza e fraternità proclamati al tempo della rivoluzione sono traditi da un unico comandamento che si sostituisce a tutti gli altri: “Tutti gli animali sono uguali ma, alcuni, sono più uguali degli altri”.
È come quando c’è chi crede di essere felice andando a vivere da qualche altra parte, ma poi impara che non è così che funziona. Ovunque tu vada, porti te stesso con te (Cit.)
Spinto da un sacro fuoco di Libertà, ogni adolescente che si rispetti apprezza qualsiasi suggerimento bibliografico (o musicale) che esprima la contestazione al “Tiranno”.
La domanda, semmai, è: “cosa possiamo fare per cambiare, veramente?”
Ci sovviene il giovane Marx dei ” Manoscritti economico – filosofici”, il quale ci ricorda che tutto ruota intorno al denaro. Io sono brutto, ma, grazie al denaro, posso diventare bellissimo e circondarmi di splendidi adulatori. Io non so esprimermi in maniera accettabile ma, grazie al denaro,” acquisto” l’intelligenza di professionisti di talento che scriveranno per me in modo persuasivo ed efficace, presentando in modo seducente la mia visione del mondo.
La fattoria degli animali, romanzo satirico di George Orwell (terminato nel 1943), che intende essere un’allegoria del totalitarismo sovietico del periodo staliniano (ma che può estendersi ad ogni periodo di qualsiasi aggregazione cosiddetta “democratica”) ci, ha da sempre, incuriosito molto.
Orwell racconta che, dopo aver cacciato il padrone, gli animali decidono di dividere il risultato del loro lavoro seguendo il principio marxista “Da ognuno, secondo le proprie capacità… ad ognuno, secondo i propri bisogni”.
Il loro sogno utopico verrà disperso in una triste illusione perché, alcuni di loro (i maiali) pur essendo stati gli ideatori della “rivoluzione”, prendono il controllo della fattoria, diventando sempre più simili all’uomo, finché persino il loro aspetto diventerà “antropomorfo”.
Bisogna amarla veramente molto l’umanità… Perché gli uomini, presi uno per uno, sono proprio insopportabili! (Cesare Botero da “Il portaborse”)
Autori classici come Thomas Hobbes o Niccolò Machiavelli (solo per citarne alcuni) ci ricordano che l’essere umano tende a “forzare la mano” e, in buona sostanza, deve essere “obbligato” a rimettersi in riga.
Ciò riguarda, purtroppo, non solo i governati ma anche i governanti.
Chiunque vada al potere ostenta, all’inizio, atteggiamenti democratici e rispettosi delle leggi. Poi, piano piano, si “allarga” e da inquilino di un palazzo storico, mira a diventarne proprietario.
Senti, sai che c’è? C’è che, ora come ora, in questo paese uno come me, uno che sta dove sto io, uno che è arrivato dove sono arrivato io, se ne fotte della Magistratura! Io sono un parlamentare della Repubblica italiana! S’attaccassero al cazzo! (Filippo Malgradi – Da “Suburra”)
Cari Lettori, l’esperienza ci ha insegnato che, chiunque si cimenti in quella gestione della cosa pubblica, che si chiama Politica, finirà, inevitabilmente come il Napoleon della “Fattoria”.
Che bello sarebbe, se gli uomini saggi gestissero, anche, il potere. Già… ma quale saggio, accetterebbe di essere un uomo di potere? (Cit.)
Allo stesso tempo, chi sarà gestito, “per delega” (e non conta se per voto o per nomina dall’alto) non potrà, nel tempo, non restare deluso, demotivandosi all’interno di uno svilimento della dignità, che lo porterà a protestare in maniera tanto eclatante (chiari esempi, anche i suicidi di questi tristi tempi) quanto purtroppo, inutile.
Taci? Fai bene. Perché a voi, la parola, l’ha tolta la storia! (Cesare Botero da “Il portaborse).
La particolarità del tutto consiste nel fatto che, non conta rivestire il ruolo di Caino o di Abele: si sarà sempre (armati o disarmati) l’uno contro l’altro!
D’altronde, i tanti scandali che, di tanto in tanto, si affacciano alla ribalta delle cronache e le “perle” cinematografiche come, ad esempio, il Portaborse (film del 1991 con Nanni Moretti e Silvio Orlando) o, peggio, Suburra (film del 2015 diretto da Stefano Sollima, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo de Cataldo). ci avrebbero dovuto, da tempo, abituare all’idea che “Solo chi ha fede in sé stesso, può essere fedele agli altri” (cit.).
Potrebbero, le cose, andare diversamente?
Partendo dal pensiero di Herman Hesse, che la vita ha tanto senso quanto noi stessi siamo in grado di darle, vale l’assunto in base a cui nessuno nasce con un destino tracciato ma inconsapevolmente, (dal momento della sua venuta al mondo) tenta di “ascoltare” i messaggi che provengono da quella sorta di inconscio collettivo che trova vita (da quanto sappiamo) nell’energia condensata e ordinata del patrimonio genetico e, sulla base delle informazioni ricevute (capaci di fornire indicazioni su come sopravvivere nell’ambiente in cui ci si muoverà ma sovrastate dal “disturbo” dei condizionamenti familiari e sociali), prova ad inventarsi un percorso che, immancabilmente, lo riporterà al “campo base” da cui tutti proveniamo.
Un po’ come le tartarughe di mare che, uscendo dalle uova deposte sotto la sabbia, tentano la via del ritorno ai flutti salini.
Siccome “fatti non fummo per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” (Divina Commedia – Inferno – Canto 26°), saremo spinti a realizzare, fin da bambini e in ogni nostra manifestazione comportamentale, quello che, ai nostri occhi, dovrà essere un’opera d’arte.
Noi nasciamo, infatti, senza la percezione di essere parte di un “tutto” ma credendo di “essere” il “tutto”.
Dipenderà dalla capacità, dalla disponibilità e dalla maturità dei genitori, metterci in condizione di capire e accettare di non potere essere “IL” ma, più naturalmente, “UN”, dovendoci conquistare, giorno dopo giorno, il nostro posto nel mondo.
Ma se il genitore più a noi vicino, non ci trasmette l’importanza delle frustrazioni positive e costruttive, continueremo a crescere anagraficamente custodendo, dentro, la pretesa di mantenerci al centro dell’attenzione.
E, qui, entra in gioco la necessità di acquisire e gestire il Potere, per continuare a rivivere le sensazioni del narcisismo primario di quando, da bimbi piccoli piccoli, tutto ci era concesso.
Ma, come dice qualcuno, il problema di molti esseri umani, è che pochi sono stati educati ad assumersi la responsabilità della propria vita. Rari, infatti, sono coloro che decidono di comprendere i meccanismi interiori, affrontando le proprie luci e le proprie ombre. La maggior parte si convince che è importante il dolore e affermare la propria presenza su valori effimeri.

Nel 1948, una macchina fotografica immortalò un istante che racchiudeva secoli di ingiustizia.
Un uomo in giacca e cravatta, in piedi davanti ai fotografi, scoppiò in lacrime mentre teneva in mano un documento. Si chiamava George Gillette, leader delle tribù Mandan, Arikara e Hidatsa del fiume Missouri.
Quel foglio non era un semplice accordo: era la cessione forzata delle terre ancestrali del suo popolo al governo degli Stati Uniti: oltre 600 chilometri quadrati di case, scuole, chiese e campi fertili sarebbero stati sommersi dalle acque per la costruzione della diga di Garrison.
Gillette sapeva che, con quella firma, stava sancendo una tragedia ma se si fosse rifiutato, le tribù non avrebbero ricevuto alcun risarcimento.
Tra le lacrime, pronunciò parole che ancora oggi fanno tremare l’anima: “Oggi firmiamo sotto protesta: Le nostre mani sono legate e ma i nostri cuori sono affranti”
La verità è che siamo profondamente immaturi. E non c’è da meravigliarsi più di tanto.
Rispetto al passato, siamo più evoluti ma molto meno disinibiti e lontani dal freno dei valori morali. Siccome non siamo, ancora, all’altezza della situazione, finiamo col combinare, per lo più, pasticci.
L’avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge” (Gustave Flaubert)
“…le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e, ancora, dal maiale all’uomo… ma già era loro impossibile, distinguere fra i due”. Con questo sarcasmo, Orwell, nel suo “La fattoria degli animali”, sottolinea l’utopia della democrazia. Per lui, infatti, nessun uomo riuscirà mai a debellare il desiderio di potere.
È questo, il nostro destino?
Personalmente, ci troviamo a condividere il seguente pensiero di Rita Levi Montalcini: “C’è una difficoltà nel rendersi conto che il nostro comportamento sia molto complesso e che, il cervello, sia fatto di tante componenti. E c’è una difficoltà nel vedere in ogni catastrofe la possibilità di un rovesciamento. Forse io sono un’innata ottimista… ma penso che ci sia sempre qualcosa che ci salva”.
Ci stiamo rendendo conto di avere descritto la figura dell’essere umano e quella dell’animale come due elementi in crisi, che percorrono tristi strade parallele.
E se provassimo a incrociarle?

Siamo rimasti profondamente colpiti dalla storia di un soldato e del suo amico gatto
Quando i soccorritori hanno trovato il suo corpo: in bella vista campeggiava un biglietto. E parlava di un gatto.
Per tre mesi, le immagini dei droni in volo sopra il fronte (non importa che fosse Russo o Ucraino) avevano ripreso una scena commovente: un soldato accovacciato tra le macerie, che divideva le sue razioni con un piccolo gatto randagio. Insieme, sotto le bombe.
Pare (dalle immagini) che proteggesse il gatto nel giaccone, stringendolo al petto ogni volta che lo scoppio di una bomba impauriva entrambi.
Poi, una notte, l’attacco. Violento, improvviso, letale. Non arrivarono più immagini video.
Quando i soccorritori arrivarono sul posto, lo trovarono lì, nel punto esatto in cui lo avevano visto nelle ultime immagini trasmesse.
Caduto ma, con ancora il giaccone chiuso e un foglio piegato.
“So che stanno arrivando. Mi batterò per il mio amico, farò tutto il possibile per proteggerlo. Se non ce la farò, lasciate il mio giaccone nel rifugio — l’inverno sta arrivando, e lui verrà a cercare il calore.
P.S. Se riuscite a prenderlo, il suo cibo preferito è quello nella scatoletta blu.”
In un mondo di guerra, tra macerie e paura, quel soldato aveva scelto di difendere qualcosa di piccolo, di fragile, di vivo. Aveva scelto l’amicizia e l’amore. Fino all’ultimo respiro
Cari Lettori, abbiamo iniziato questo editoriale parlando della nostra gioventù e vorremmo concluderlo confidando nella spinta propulsiva di quegli adolescenti a cui, ormai stanchi, consegneremo il testimone, forse solo per continuare a coltivare utopie. Ma è solo così che si lascia germogliare qualcosa che sappia, veramente, di nuovo. E di buono.
Scatole (Pinguini Tattici Nucleari)
Mio padre ha sempre fatto il muratore
odia chi si lamenta
chi sta zitto e gli ottimisti
ha sempre poco tempo per l’amore
e tutte le altre cose inventate dai comunisti
il suo diploma da geometra sta appeso in soffitta da 20 anni
in una teca polverosa
e da piccolo sognavo anch’io di avere
una teca che dicesse che so fare qualche cosa
lui avrebbe voluto che facessi gli studi da architetto
oppure da ingegnere
ma io volevo fare il musicista
a suonare la chitarra passavo le mie sere
ricordo un giorno mi prese da parte
mi disse “non capisci proprio un cazzo della vita
perché solo a chi si sporca le mani
è concesso il privilegio di avere una coscienza pulita”
Sì, ma io non sono come te
di quello che sarò tu che ne sai?
Sì, ma io non sono come te
vedi di non dimenticarlo mai
Ero un po’ come un testimone di Geova
il mio futuro spesso suonava al campanello
ed io non ci provai neanche ad aprire
solo per diventare un ingegnere, un architetto
io volevo far piangere la gente
e davanti a dei mattoni
nessuno si commuove
perché le case in fondo sono solo scatole
dove la gente si rifugia quando fuori piove
Poi un giorno sono andato a Londra
era per studiare musica all’università
e durante gli anni tra un esame e l’altro
ho ripensato spesso alle parole di papà
Sì, ma io non sono come te
di quello che sarò tu che ne sai?
Sì, ma io non sono come te
vedi di non dimenticarlo mai
E adesso anche io c’ho una soffitta
ed un pezzo di carta
in una teca pulita
e non faccio l’architetto, l’ingegnere
mio padre in qualche modo ha accettato la mia vita
gli dicevo “io non sono come te
io sono diverso
io sono migliore”
ma le canzoni in fondo sono solo scatole
dove la gente si rifugia quando fuori piove
“Se davvero la sofferenza impartisse lezioni, il mondo sarebbe popolato da soli saggi. E invece il dolore non ha nulla da insegnare a chi non trova il coraggio e la forza di starlo ad ascoltare.” (Sigmund Freud )

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”


