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Pubblicato su Lo Sciacqualingua

Nel vasto giardino della lingua italiana, dove ogni parola fiorisce con sfumature proprie, “sprovvisto” e “sprovveduto” sembrano germogli nati dallo stesso seme. Eppure, a ben guardare, i loro rami si allungano in direzioni diverse, e il frutto che offrono al parlante è tutt’altro che identico. La somiglianza formale inganna, ma il significato tradisce una divergenza profonda, che merita attenzione, cura e una grande lente etimologica.

Entrambi i lessemi derivano dal verbo “provvedere”, dal latino providere, composto da pro- (“avanti”, “prima”) e videre (“vedere”). “Provvedere” significa dunque “vedere in anticipo”, “preparare”, “fornire ciò che serve”. Da qui, per negazione, si formano “sprovvisto” e “sprovveduto”, ambedue con il prefisso privativo s- (dal latino ex-), che indica mancanza. Ma è proprio l’evoluzione semantica – e non il prefisso – a determinare la divergenza tra i due.

“Sprovvisto” è aggettivo che indica la mancanza materiale o funzionale di qualcosa. È un termine descrittivo, neutro, spesso temporaneo. Si può essere sprovvisti di mezzi, di documenti, di tempo, di coraggio. La mancanza è circoscritta, concreta, e non implica giudizio sulla persona. Un viaggiatore può essere sprovvisto di biglietto, un alunno sprovvisto di penna, un discorso sprovvisto di argomenti. In tutti questi casi la carenza è oggettiva, e può essere colmata.

“Sprovveduto”, invece, ha un sapore più profondo e giudicante. Non si riferisce tanto alla mancanza di oggetti, quanto a una carenza di preparazione, di avvedutezza, di esperienza. È aggettivo che tocca la persona, il suo modo di essere, e spesso porta con sé una sfumatura di ingenuità, di impreparazione, talvolta di stoltezza. Uno sprovveduto non è semplicemente privo di qualcosa: è privo degli strumenti interiori per affrontare una situazione. Si può essere sprovveduti di fronte alla malizia altrui, sprovveduti nel gestire un affare, sprovveduti nell’interpretare un contesto. Qui la mancanza è strutturale, e non sempre rimediabile.

Ecco alcuni esempi che chiariscono la differenza:

– “Era sprovvisto di ombrello e si bagnò completamente.” → Mancanza concreta, contingente. – “Era sprovveduto e non capì che lo stavano ingannando.” → Mancanza di discernimento, di saggezza.

– “Il documento è sprovvisto di firma.” → Dato oggettivo, facilmente correggibile. – “Il candidato si è mostrato sprovveduto nella gestione della crisi.” → Giudizio sulla competenza, più grave.

In sintesi, “sprovvisto” fotografa una mancanza esterna, “sprovveduto” denuncia una mancanza interna. Il primo è spesso innocuo, il secondo può essere fatale. E se entrambi nascono dalla stessa radice, è la direzione del loro sviluppo che li rende diversi: uno guarda al corredo, l’altro alla coscienza.

A conclusione di queste noterelle, la lingua, come la vita, distingue tra ciò che si può comprare e ciò che si deve imparare. E in questa distinzione, “sprovvisto” e “sprovveduto” ci insegnano a vedere meglio, a provvedere con più cura, e a non confondere la tasca con il giudizio.

A cura di Fausto Raso

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