Posted on

Pubblicato su Lo Sciacqualingua

Nel vivace Regno della Lingua Viva, tutto filava liscio: ogni parola sapeva quale era il suo posto, ogni verbo svolgeva il proprio dovere con onore grammaticale. Gli aggettivi lucidavano tutte le mattine le loro desinenze, gli avverbi danzavano con grazia sulle frasi, e persino le interiezioni facevano la guardia ai confini della punteggiatura.

Ma un giorno accadde qualcosa che fece sobbalzare persino i punti esclamativi.

Un cittadino poeticamente incline – noto per il suo amore per i drammi lessicali e i giochi di stile – si presentò alla Corte con fare solenne, un mazzo di rose secche tra le mani. Si inginocchiò, alzò lo sguardo alla Regina della Semantica e sussurrò: “Sono venuto a restituirvi l’affetto perduto…”

Panico tra gli astanti.

Un participio passato sbiancò. Un complemento oggetto perse i sensi. Un congiuntivo si sentì improvvisamente inutile. L’intera Concordanza Verbale fu presa da una crisi d’identità. La notizia si diffuse a macchia d’accento: “Ha detto restituire? L’affetto… restituito?!”

In pochissime ore, l’Accademia delle Locuzioni si mobilitò. Titoli come “Crisi di Significato” e “Smarrimento Semantico” campeggiavano sulle prime pagine di La Voce del Lessico. La Maestra dei Modi Verbali, custode dell’equilibrio tra significato e forma, chiese l’intervento urgente del Tribunale Supremo della Lingua Italiana.

A presiederlo c’era il giudice Sintassi, severo e puntuale, noto per le sue sentenze impeccabilmente coniugate e la sua allergia agli anacoluti.

Gli imputati: RestituireConsegnareRendere. Il pubblico: aggettivi indignati, pronomi smarriti, preposizioni schierate in ordine alfabetico. Un silenzio teso aleggiava tra i banchi, spezzato solo dai sospiri dei verbi riflessivi.

“In nome della Lingua Italiana – disse con voce solenne il giudice Sintassi – diamo ora la parola agli imputati, affinché possano chiarire le rispettive competenze semantiche.”

Restituire (dal latino restituere “re-” = di nuovo + “statuere” = collocare, stabilire → rimettere al posto, reintegrare), si fece avanti con passo cadenzato. Indossava un abito sobrio di terza coniugazione. “Io ridò ciò che è stato dato: un libro, un oggetto, un debito. Non elaboro sentimenti, non simboleggio emozioni. Rimetto al suo posto ciò che mi era stato affidato. Chiedermi di restituire affetto è come chiedere a una parentesi di spiegare l’infinito: elegante, ma errato.”

Consegnare fu il secondo. Pratico e diretto come un corriere espresso, si tolse il cappello e parlò con tono da bollettino ufficiale: “Io porto cose da un punto all’altro. Non interpreto, non modifico, non restituisco nulla. Consegno lettere, pacchi, documenti. Nessuno mi chieda di recapitare affetti, perché potrei lasciarli in giacenza.”

Fece una breve pausa, poi aggiunse con orgoglio scolpito nella dizione: “Vengo dal latino consignare, da con- ‘insieme’ e signare ‘segnare’. Un tempo significavo suggellareratificaresottoscrivere. Ogni mio gesto è marchiato da un senso di ufficialità. Non sono una semplice trasmissione: io affido, con responsabilità. Ogni consegna è un patto tra mittente e destinatario.”

Il pubblico, colpito dalla rivelazione etimologica, sussurrò in coro: “Ahhh… signare… come significato…”

Rendereentrò in scena per ultimo, con tono da attore consumato. Proveniva dal latino rendere, forma sincopata di reddere (re- + dare → ridare), e si presentò con mille significati al seguito. “Io trasformo. Posso rendere la vita dolce o amara, un favore, un’idea chiara. Posso persino rendere giustizia. A volte ridò, ma ciò che rendo non è mai come prima. Portatemi sentimenti e potrei restituirli… ma travestiti d’ironia o intrisi di nostalgia. Rendo, sì, ma a modo mio.”

Dopo lunga riflessione, il Giudice Sintassi alzò lo sguardo dagli atti, batté il martelletto e sentenziò: “Non sono i verbi a essere in difetto; assolti, quindi, per non aver commesso alcun reato linguistico. Il problema risiede in chi li usa senza comprenderne la natura. Restituire rimetterà ciò che fu dato; Consegnare porterà ciò che va recapitato; Rendere saprà restituire… ma trasformando. L’equivoco nasce dall’imprecisione di chi insegue l’effetto a scapito del significato.”

Applausi scroscianti. I verbi si inchinarono. L’alfabeto tornò a respirare. La grammatica si rilassò, e le metafore si congedarono con discrezione.

E da quel giorno nessuno più si azzardò a restituire sentimenti come fossero oggetti smarriti all’ufficio postale.

A cura di Fausto Raso

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *