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Un silenzio debordante sta mettendo a soqquadro la più indesiderata accettazione di un male imposto con la spudoratezza di una alzata di spalle.

Intorno a questa sorta di terra di nessuno chiamata carcere, il dolore è un disfacimento così abbruttente, che c’è assenza di uno spazio dove ritrovare con fatica qualcosa che ora non c’è più.

La prigione dovrebbe risultare un luogo di pena con la possibilità di ritornare dapprima interi e poi trasformati da quel lungo e lento viaggio di ritorno.

Mi rendo conto di quanto le parole perdano significato e senso lasciando un buco di sofferenza dove prima la speranza muoveva i suoi passi, ora arrampica dalle fondamenta un silenzio feroce, insopportabile, come un taglio che scava a fondo.

Orpelli e fiori all’occhiello non ce la fanno a piegarsi all’ordine di scuderia del tutto va bene, del tutto è sotto controllo, la dignità e il rispetto delle persone salvaguardati. Il silenzio imposto prova tanta vergogna nel celare i numeri, le statistiche, il dato esponenziale.

Siamo già a 33 morti ammazzati nelle patrie galere, anche quest’anno sarà un’ecatombe, un epitaffio che non arrugginisce, che rafforza un fallimento costante del valore rigenerante della giusta pena, degli scopi e utilità contemplati dalle leggi e dalle norme in vigore.

Chissà mai perché non viene da dire la verità, che così non si “va avanti”, che in cella giustamente sta il condannato per tentare di riparare, ma come può farlo se il carcere è ancora più malato del criminale, se permane asfissiato da un vero e proprio disturbo antisociale, che non promuove cambiamento-emancipazione-ma personalità incapaci di conformarsi  al vivere civile, soprattutto alla fatica di fare crescere relazioni importanti che permettano il rispetto per se stessi e gli altri.

C’è a fare da padrona l’indifferenza.

La correlazione tra il sovraffollamento e il numero record dei suicidi è evidente, non più procrastinabili le misure volte a porre fine alla violazione dei diritti fondamentali dei detenuti, Le soluzioni esistono o comunque possono essere ancor meglio studiate, sta alla politica individuarle, prendendo in considerazione le misure alternative, la giustizia riparativa con l’esecuzione penale esterna, che senza se e senza ma, quasi azzerano la recidiva. Come non comprendere che accettare supinamente di vincere il sovraffollamento con l’incedere lento e inarrestabile della pratica suicidiaria è a dir poco un’ottusità inaccettabile.

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