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“Salve avvocato, ho 23 anni, non lavoro, vivo a casa dei miei genitori, che mi rimproverano il fatto di non aver trovato lavoro. Preciso di soffrire, da anni, di depressione. È giusto il comportamento dei miei genitori, che mi incitano ad andarmene di casa pur non avendo un’autonomia economica?”

Il comportamento dei genitori del nostro lettore è ingiusto ed ingiustificato sul piano umano, ma lo è anche sul piano giuridico. Infatti, l’ordinamento giuridico pone alla base della famiglia la solidarietà, intesa come diritto ad assistenza e collaborazione da parte dei familiari.

In particolare, i genitori sono tenuti a fornire ai figli, per il solo fatto di averli messi al mondo, affetto, educazione, istruzione ed assistenza materiale, allo scopo di garantire loro una crescita corretta (art. 147 cod. civ., art. 30 Cost.).
Questi obblighi non cessano automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma permangono finché il figlio non abbia conseguito una reale autosufficienza economica, cioè non abbia trovato un’occupazione stabile e idonea a garantirgli un tenore di vita dignitoso e coerente con le sue capacità e con il percorso formativo svolto.

La giurisprudenza della Cassazione ha più volte ribadito che il figlio maggiorenne ha diritto ad essere mantenuto dai genitori finché non raggiunge l’indipendenza economica, salvo che i genitori provino che il mancato conseguimento di tale indipendenza sia dovuto a inerzia, mancanza di impegno o rifiuto ingiustificato di occasioni lavorative adeguate (ad esempio, Cass. civ. 2 luglio 2021 n. 18785; Cass. civ. 22 luglio 2019 n. 19696; Cass. civ. 8 marzo 2019 n. 6731).
Secondo un orientamento più recente, peraltro, è il figlio maggiorenne che deve dimostrare di essersi attivato concretamente sia nella formazione sia nella ricerca di un’occupazione (Cass. civ. 29 dicembre 2020 n. 29779; Cass. civ. 14 agosto 2020 n. 17183).

L’obbligo, comunque, non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo: il diritto del figlio sussiste nei limiti del perseguimento di un effettivo percorso educativo e formativo, nel rispetto delle sue inclinazioni e aspirazioni (in misura compatibile con le condizioni economiche dei genitori).
Si tende a riconoscere una presunzione di autosufficienza per chi abbia raggiunto un’età matura (circa 30 anni) o sia trascorso un congruo periodo dalla fine degli studi.

Se il mancato raggiungimento dell’autonomia economica dipende da una condizione oggettiva, come una patologia accertata (ad esempio, una depressione documentata e invalidante), il figlio ha diritto al mantenimento, in quanto l’impossibilità di provvedere a sé stesso non è a lui imputabile.

Se invece vi è uno stato di bisogno e il figlio non è in grado di provvedere al proprio sostentamento per cause non dipendenti dalla sua volontà, ai genitori compete comunque l’obbligo di prestare gli alimenti, per garantire il minimo vitale necessario alla sopravvivenza (artt. 433 ss. c.c.; Cass. civ. 14 aprile 2023 n. 10033).

Erminia Acri-Avvocato

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