Pubblicato su Lo Sciacqualingua
Il verbo quotare è spesso frainteso e adoperato in contesti che non gli appartengono. È un verbo denominale derivato di quota: “quanto grande” o “di che numero”. Ha un significato preciso legato alla determinazione di un valore numerico o economico.
Il contesto primario in cui “quotare” trova la sua casa naturale è, per l’appunto, quello economico. Quando si dice che un bene, un titolo azionario o una valuta è quotata, si intende che ha un valore determinato e ufficialmente riconosciuto sui mercati: le azioni di quella Casa sono quotate alla Borsa di Milano; l’euro è quotato a 1,10 dollari sul mercato internazionale.
In ambito tecnico, “quotare” significa indicare misure e proporzioni su un disegno, un progetto o una costruzione. Il geometra ha quotato l’altezza delle travi nel disegno tecnico. L’architetto ha quotato gli spessori dei muri per evitare problemi strutturali.
Questi sono i contesti in cui ‘quotare’ viene usato correttamente. Negli ultimi anni, tuttavia, si è diffusa una tendenza errata: quotare viene sempre più spesso adoperato come sinonimo di “valutare”, “dare un’opinione”, “giudicare” e simili.
Una delle derive più comuni è, infatti, l’uso di “quotare” con il significato di “apprezzare” o “giudicare”. Frasi come ti quota molto come artista, oppure ti quoto in pieno!” sono linguisticamente scorrette. La prima è una contaminazione dall’uso improprio del verbo, mentre la seconda è frutto di una curiosa evoluzione gergale nata sui forum e sui ‘social’, dove “quoto” è diventato un modo per dire “sono d’accordo”.
Un aneddoto divertente riguarda un celebre intervento televisivo di un giornalista sportivo che, parlando di un calciatore, affermò: Io non lo quoto molto valido, perché non lo vedo all’altezza della Serie A. L’imbarazzo nello studio fu palpabile. Qualcuno alzò un sopracciglio, altri fecero finta di nulla. Il cronista aveva confuso il verbo “quotare” con “stimare” o “valutare”, generando un uso improprio che contribuì a diffondere il fraintendimento del lessema.
Il linguaggio è uno strumento di precisione. Ogni parola ha il suo significato e la sua storia, e usare “quotare” come sinonimo di “valutare” o “approvare” impoverisce la ricchezza espressiva della lingua. Se vogliamo esprimere un giudizio o dire che siamo d’accordo con qualcuno, meglio usare verbi come apprezzare, stimare, condividere. La lingua italiana è ricca di sfumature. Perché impoverirla con usi impropri, se non errati, quando abbiamo parole perfette per ogni contesto?
Dunque, se dovessi quotare questo articolo… aspetta, no! Sarebbe un altro errore. Diciamo piuttosto che, se lo trovassi chiaro e completo, lo valuteresti positivamente!
A cura di Fausto Raso

Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.