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Questa Repubblica si può salvare. Ma, per questo, deve diventare la Repubblica della Costituzione. (Nilde Iotti)

Il due di giugno è data basilare per la nostra Repubblica: l’inizio di una strada democratica che giunge sino ai nostri giorni e che, ci auguriamo, possa durare ancora per tantissimo tempo.

Questo anno, peraltro, compiamo il settantanovesimo compleanno di affrancamento dalla Monarchia.

Tanto, infatti, è il tempo trascorso da quando, con un referendum istituzionale, svolto tra il 2 e il 3 giugno del 1946, gli italiani sono stati chiamati alle urne per decidere se restare “Sudditi” o diventare “Cittadini”.

Un referendum che ha segnato una doppia svolta epocale: è stata infatti la prima votazione a suffragio universale indetta in Italia, alla quale parteciparono per la prima volta anche le donne.

Nello stesso giorno si votò anche per i componenti dell’Assemblea Costituente, perché redigessero la Costituzione della Repubblica italiana.

A conteggi effettuati, il 18 giugno 1946 la Corte di cassazione, dopo 85 anni di Regno, sancì la nascita della Repubblica italiana.

A votare fu l’89% degli aventi diritto. La percentuale di voti favorevoli alla Repubblica è stata del 54,3%, mentre quella dei voti favorevoli alla Monarchia, del 45,7%.

Il 2 giugno, quindi, si festeggia la nascita della nostra Repubblica con una grande manifestazione, organizzata a Roma, che comprende la deposizione di una corona d’alloro (in omaggio al Milite Ignoto) all’Altare della Patria da parte del Presidente della Repubblica e una parata militare lungo via dei Fori Imperiali.

La prima celebrazione della Festa della Repubblica Italiana avvenne il 2 giugno 1947 mentre, nel 1948 si svolse la prima parata militare in via dei Fori Imperiali a Roma; il 2 giugno fu definitivamente dichiarato festa nazionale nel 1949.

Nel 1961 la celebrazione principale della Festa della Repubblica però non ebbe luogo a Roma ma a Torino, prima capitale dell’Italia unita, dal 1861 al 1865.

A causa della grave crisi economica che colpì l’Italia negli anni’ 70, per contenere i costi statali e sociali, nel 1977 la Festa della Repubblica fu resa una “festa mobile” (e cioè spostata alla prima domenica di giugno) con la conseguente soppressione del 2 giugno come giorno festivo.

Dal 2001 però, su impulso del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la Festa della Repubblica ha ripreso la sua collocazione tradizionale il 2 giugno, che è ritornato così a essere giorno festivo a tutti gli effetti.

Cari Lettori, se vogliamo cogliere il clima di quei dolorosi e difficili inizi (dopo la barbarie della guerra) dobbiamo ricorrere al Cinema e, in particolare, al film “Ladri di biciclette” (del 1948), diretto da Vittorio De Sica, un capolavoro della cosiddetta “settima arte”.

Un giorno Zavattini dice a De Sica: “E’ uscito un libro di Luigi Bartolini : leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto”. Si trattava di Ladri di biciclette. (Cit.)

Nel dopoguerra c’erano grande miseria e disagio ma non mancavano idee e creatività.

Con grande difficoltà De Sica riuscì a girare un film grandissimo con non poche difficoltà perché rifiutò la pretesa degli Americani (interessati al nostro filone neorealista) di imporre, come protagonista il famoso Cary Grant e, con ciò, perse anche i finanziamenti prospettati.

Il film esce nel 1948, la data della prima nazionale viene fissata per il 22 dicembre: La storia è semplice ed essenziale

Antonio Ricci, disoccupato da mesi, trova un posto come attacchino ma, per poter lavorare gli è indispensabile la bicicletta, “depositata” al monte di pietà; riesce a riscattarla ma gli viene rubata il primo giorno di lavoro. Nella ricerca affannosa e disperata per ritrovarla si scoprirà suo malgrado a tentare anch’egli di rubarne una.

Viene scoperto, malmenato e umiliato davanti al figlio, che lo “scopre” disonesto.

Alla fine, padre e figlio andranno via insieme mano nella mano.

A tre anni dalla fine della guerra, il film venne accolto in Italia con ben poco entusiasmo da parte della critica e del pubblico.

Era un periodo in cui tutto quello che accadeva intorno a noi era anormale, la realtà era scottante; vi erano fatti e situazioni eccezionali, per cui i rapporti tra individuo e ambiente, tra individuo e società erano forse la cosa più importante da esaminare. Ecco perché prendere come personaggio di un film, un operaio a cui hanno rubato la bicicletta e non può più lavorare, e il cui solo motivo è questo, il motivo più importante del film, intorno al quale tutto il film ruota, quello ,dico, era in quel momento essenziale e ci bastava. Non interessava sapere quali erano i pensieri, quale la natura, il carattere di questo personaggio…tutto questo era possibile ignorarlo…. (ANTONIONI Fare un film è per me vivere)

La consapevolezza della miseria ereditata dal fascismo e dalla guerra e non ancora superata, vengono ritratte nel film con una potenza straordinaria che ha prodotto un successo internazionale.

La trovata del bambino è un autentico “colpo di genio”: il figlio che prende per mano il padre di cui ha intuito il dramma e che cerca di aiutare.

quando gli viene la tentazione di rubare la bicicletta, la presenza silenziosa del bambino che indovina il pensiero del padre è di una crudeltà quasi oscena…

..Si è spesso male interpretato il gesto finale del bambino che ridà la mano al padre….

..La mano che fa scivolare nella sua non è il segno né del perdono né di una consolazione puerile, ma il gesto più grave che possa segnare i rapporti fra un padre e un figlio: quello che li fa uguali. ( Bazin- Che cosa è il cinema?)

Anche se lo sguardo tristissimo del piccolo Bruno fece il giro del mondo, (aggiudicandosi l’Oscar nel 1949) non piacque ai governanti italiani, che videro nel film un attentato alla rinascita che faticosamente l’Italia stava tentando di attuare.

Addirittura, verso la fine degli anni ’40 l’onorevole Giulio Andreotti, allora segretario dell’appena nata Democrazia Cristiana, in un articolo intitolato Vizi sociali e pubbliche virtù , condannava aspramente il cinema neorealista e in particolare quello di De Sica e Zavattini, indicando la necessità di “lavare i panni sporchi in casa” e non di denunciare i disagi sociali del nostro Paese.

Il mio scopo è di rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca, anzi nella piccolissima cronaca, considerata dai più come materia consunta. Che cos’è infatti il furto di una bicicletta, tutt’altro che nuova e fiammante per giunta? A Roma ne rubano ogni giorno un bel numero e nessuno se ne occupa giacché nel bilancio del dare e dell’avere di una città chi volete che si occupi di una bicicletta? Eppure a molti che non possiedono altro, che ci vanno al lavoro, che la tengono come l’unico sostegno nel vortice della vita cittadina, la perdita della bicicletta è un avvenimento importante, tragico, catastrofico (Vittorio De Sica)

Già dalle prime immagini Ladri di biciclette, ci propone quel “di più di realtà” di una situazione comune e quotidiana tipica di quegli anni.

Nello spazio aperto di un quartiere di Roma, la contrapposizione tra folla e individuo ci viene rappresentata da movimenti di macchina che ci mostrano il reale, una realtà della visione e del tempo.

La storia del cinema italiano è la storia della scomparsa dell’oggetto, dell’errare del soggetto, dello sfaldarsi delle situazioni (R. De Gaetano– L’Italia non indifferente)

Ed è quanto accade alla bicicletta di Antonio Ricci, sin dalle prime battute:

 La bicicletta? Ce l’ho e non ce l’ho. (Antonio Ricci)

Antonio ha bisogno di quel posto, ma la bicicletta è al monte dei pegni e, lui, non trova la soluzione; si accascia, in realtà vede ma non riesce ad agire, si blocca nell’immobilismo sulla soglia della porta dell’interno della sua casa; poi si siede sul letto con un atteggiamento apatico, di attesa; il personaggio è chiuso nella sua incapacità d’agire.

Sarà Maria, la moglie, a prendere in mano la situazione e a trovare la soluzione, ad agire per lui.

Levete, Antò!

Ma che fai?

Se po’ dormi’ pure senza lenzuola, no?

Antonio rimane immobile accanto al comò, guardando la moglie con espressione interrogativa.

Maria toglie energicamente le lenzuola dal letto e prepara un pacco da portare al monte dei Pegni: Antonio riavrà la sua bicicletta e potrà finalmente iniziare a lavorare.

Nel suo primo (e unico) giorno di lavoro, il primo e ultimo manifesto che attaccherà (come prima e ultima sarà l’esperienza d’attore di Lamberto Maggiorani) certo non a caso è il manifesto del film interpretato da Rita Hayworth “Gilda“.

Il sogno, l’illusione cinematografica è, qui, esplicitata; il sogno, l’illusione del lavoro tanto agognato è, qui, perduta.

E’ tutto un attimo: sul marciapiede, un gruppetto di ladri è in ricognizione e, a questo punto, è in atto quella che potremmo definire una sorta di doppia regia

la regia dei ladri che strategicamente si dispongono nello spazio pronti ad entrare in azione;

la regia della narrazione dove lo stesso protagonista, dopo un inutile inseguimento, si riconosce nel ruolo del derubato.

Antonio ritorna sui suoi passi, la bicicletta è perduta, si guarda attorno con occhi sbarrati, intorno a lui un mondo disperso e frammentato: si siede su un piolo della scala rassegnato.

Da questo momento avrà inizio il suo “girovagare” alla ricerca della bicicletta, che appare più un vagabondaggio.

Il personaggio sembra stordito dal suo “vedere” gli avvenimenti, “l’azione” gli è impedita ed è soprattutto inutile.

E’ un Cinema dell’incontro visivo, gestuale, corporale, dove il personaggio non è più l’eroe che, con l’azione, modifica la situazione ma è diventato una specie di spettatore;

Cari Lettori, l’autenticità del film è legata al fatto che parecchi attori sono non professionisti ma presi dalla strada, dove vivono e operano.

Il dolore nella pellicola è autentico. Non c’è recita.

I vari personaggi rappresentano sé stessi e, per questo, ci toccano “dentro”.

Come abbiamo già visto, la figura chiave è il bambino, figlio del protagonista, che accompagna il padre nella ricerca senza successo.

I bambini, nel cinema realista, sono figure basilari: essi hanno ancora negli occhi i drammi della guerra, ma, d’altra parte, sono chiamati a guardare al futuro che avrà senso grazie al loro impegno.

E così è il bimbo nel film.

Tempi duri per persone corrette. Al protagonista rubano la bici ma lui non è in grado di fare altrettanto senza essere scoperto.

Egli è un vinto in un mondo di poveracci che per sopravvivere scelgono l’arte di arrangiarsi, muovendosi sempre fuori della legalità.

Da lì, nasce un modo di vivere che è presente in parecchi anche oggi.

La fine del film è emblematica: padre e figlio si allontanano, ma è il figlio che dà la mano al padre e sembra indicare il cammino.

Vittorio De Sica volle “rintracciare Il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca”.

C’è, nel film, solidarietà tra poveri ma con scarsi risultati pratici.

La fine, indica un percorso che arriva ai giorni nostri.

È cambiata realmente la situazione?

Dopo decenni, vi sono ancora larghe sacche di povertà, tanti furbi che non pagano le tasse e lo stato (tramite i vari governi che si succedono) non fa molto per ristabilire la legalità al riguardo.

La Costituzione, in alcuni articoli capitali (art 3, per esempio), attende ancora di essere realmente applicata e, vi è nella gente un senso di sfiducia che allontana dal vivere democratico e può lasciare spazio a qualunque esito autoritario.

La salvezza dovrebbe venire dalla Scuola che, favorendo lo spirito critico, dovrebbe preparare i giovani ad un vivere consapevole.

Ma ciò corre il rischio di apparire, oggi, purtroppo, come una pia illusione.

Eppure, solo attraverso la cultura si può affinare l’occhio per vivere in modo solidaristico, evitando aggressività ed egoismo.

Cari Lettori, l’unica strada è quella di ripensare i valori che sono “dentro” il due giugno e trovare la carica per preparare un futuro sempre più civile e umano.

Solo così, potremo guidarci, da soli, verso quel futuro che potrà venire a darci fiato, anche in questa “Notte in Italia” per chi vive in questo tempo sbandato.

Una notte in Italia

È una notte in Italia che vedi, questo taglio di luna

freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna

la fortuna di vivere adesso, questo tempo sbandato

questa notte che corre e il futuro che arriva: chissà se ha fiato.

È una notte in Italia che vedi, questo darsi da fare

questa musica leggera, così leggera che ci fa sognare

questo vento che sa di lontano e che ci prende la testa

il vino bevuto e pagato da soli alla nostra festa.

È una notte in Italia anche questa in un parcheggio in cima al mondo

io che cerco di copiare l’amore ma mi confondo

e mi confondono più i suoi seni puntati dritti sul mio cuore

o saranno le mie mani che sanno così poco dell’amore.

Ma tutto questo è già più di tanto più delle terre sognate

più dei biglietti senza ritorno, dati sempre alle persone sbagliate

più delle idee che vanno a morire, senza farti un saluto

di una canzone popolare che. in una notte come questa

ti lascia muto

È una notte in Italia se la vedi da così lontano

da quella gente così diversa in quelle notti

che non girano mai piano

io qui ho un pallone da toccare col piede

nel vento che tocca il mare

è tutta musica leggera ma, come vedi. la dobbiamo cantare

è tutta musica leggera ma la dobbiamo imparare.

È una notte in Italia che vedi questo taglio di luna

freddo come una lama qualunque

e grande come la nostra fortuna

che è poi la fortuna di chi vive adesso questo tempo sbandato

questa notte che corre e il futuro che viene

a darci fiato.

“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”. (Don Luigi Sturzo)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un particolare ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa disponibilità e a Marilena Dattis (Esperta di Cinema): le sue preziose “lezioni” sono state fondamentali per la realizzazione di questo lavoro.

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