Pubblicato su Lo Sciacqualingua
In un Paese lontano, ai confini del mondo, tra le colline smeraldine e le foreste incantate, sorgeva il potente Regno di Querciaforte, governato da un sovrano fiero e inflessibile, il re Roverius. Le mura della reggia erano alte, le leggi incise sulla pietra, e la sua armata marciava con passo rigido, senza mai deviare dalla rotta.
In un villaggio del regno, lungo i placidi argini del Fiume dei Sussurri, vivevano i popoli delle Terre Flessuose, guidati dalla saggia dama Cannella. Qui, le case erano fatte di giunchi intrecciati, le insegne dei mercanti danzavano con il vento, e le parole si adattavano ai suoni della brezza.
Re Roverius, scrutando quel mondo mutevole, scoteva il capo con disprezzo. “Noi siamo forti perché non cambiamo mai! Voi, invece, vi piegate alla minima difficoltà!”
L’illuminata dama Cannella sorrise, conoscendo bene il segreto del tempo.
Un giorno d’inverno, un vento furioso scese dalle Montagne Selvagge, portando con sé la tempesta più ‘furiosa’ che il regno avesse mai visto. Le imponenti torri del palazzo reale vacillavano, le strade sprofondavano creando immense voragini, e persino le leggi incise sulla pietra vennero cancellate dalla furia degli elementi.
Re Roverius, serrando i pugni, ordinò ai suoi uomini di resistere, di non indietreggiare. Ma più combattevano contro il vento, più il regno cadeva in rovina.
Nelle Terre Flessuose, nessuno oppose resistenza. La gente si piegava lasciandosi sfiorare dal vento, i tetti ondeggiavano senza cedere e, quando l’uragano passò, tutto rimase intatto.
Fu allora che la verità divenne chiara.
La resilienza non è rigidità, non è opporsi a tutto, non è rifiutare il cambiamento. Il termine veniva dai saggi dell’antico Impero, dal latino resilire, “saltare indietro”, “rimbalzare”. In origine il vocabolo era proprio dei fabbri e dei costruttori, che lo usavano per indicare i metalli capaci di assorbire gli urti senza spezzarsi. Poi i filosofi lo fecero loro, parlando di quella stessa capacità negli uomini: superare le difficoltà adattandosi, non opponendosi ciecamente.
Ma nel mondo degli uomini, la parola aveva perso il suo significato. I cronisti scrivevano di “re resiliente, che non cambia mai idea”, di “mercanti resilienti, che difendono la loro strategia a ogni costo”. Ritenevano, insomma, che resilienza fosse sinonimo di inflessibilità, rigidità e simili.
Quel giorno, re Roverius capì il suo errore. Osservando le rovine di Querciaforte comprese che la vera forza non era resistere fino alla distruzione, ma adattarsi, trovare nuove vie, flettersi senza spezzarsi.
La saggia dama Cannella gli offrì la mano. “Ora lo sai, caro re Roverius. Il vento non è un nemico, ma un maestro.”
E così, nel Regno di Querciaforte, ebbe inizio una nuova era.

Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.