Le nostre paure sono come mine che esplodono non appena qualcuno vi appoggia un piede sopra (Emanuela Breda)
Cari Lettori, l’argomento di questo Editoriale potrebbe apparire come una tematica da noi già trattata. In realtà, la paura del vivere viene amplificata forse come non mai in questo periodo storico, nel quale siamo così tanto esposti (direttamente e mediaticamente) a shock emotivi violenti da non consentirci il recupero (se mai possa avvenire) da sindrome da stress post traumatica psicologica.
Per rifarci, ad esempio, agli ultimi orrori bellici (nei quali nessuno può definirsi innocente in assoluto ma, tutti, colpevoli nella misura in cui non si agisce per evitare l’escalation) ci torna in mente il volumetto “16 ottobre 1943” di Giacomo Debenedetti che è la prima memoria scritta della Shoah italiana.
Pubblicato nel 1944, ebbe poi altre importanti uscite, cadenzate nel tempo: nel 1961 uscì nella Biblioteca delle Silerchie e più di vent’anni dopo fu pubblicato da Sellerio.
Recentemente è stato ripreso da “La nave di Teseo”. Tutto ciò a dimostrazione che siamo davanti a un testo da leggere e rileggere.
Natalia Ginzburg, a suo tempo, su “La Stampa”, scrisse queste parole memorabili: “Non possiamo fare a meno di ammirarne la straordinaria forza dello stile, trasparente come il vetro. Sembra che a parlare sia la stessa realtà. Le frasi si susseguono alte, nitide, disadorne, severe e su ciascuna di esse grava il peso di una pietà immensa “.
Probabilmente da sempre, abbiamo convissuto con la paura di aprire il cuore all’amore, di raccontarci le verità, di farci valere, paura di essere pienamente noi stessi
E, questo, per evitare di essere vulnerabili alle ferite emotive, di esporci a un potenziale rifiuto o di scoprirci inferiori alle nostre aspettative
L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
Che strano…
Da una parte pretendiamo il diritto di sentire la vita al massimo possibile, dall’altro, cerchiamo distrazioni per allontanarci dal contatto diretto con quello che caratterizza la nostra stessa esistenza.
Come dire: Più (distr)azione e meno passione e Amore
Forse è questo il motivo per cui, ai tanti training di autostima e autorealizzazione, non corrisponde un reale, concreto e stabile miglioramento. Personale e Sociale.
La verità è che, a prescindere da quanto bravi possiamo diventare nel lavoro, continuiamo (intimamente) a sentirci insoddisfatti.
Percepiamo inconsciamente il dolore, l’angoscia, e la disperazione esistenti appena sotto la nostra pelle ma nonostante tutto tentiamo, mentendo a noi stessi, di vincere la debolezza, superare le paure e silenziare le angosce.
Ma, essere “vivi” e corretti, di fronte a un “IO” maturo, è un qualcosa che ci obbliga a interrompere il nostro lavoro frenetico, a prendere il tempo di “respirare” e “sentire”.
Questo, indubbiamente, aumenta la percezione del dolore ma, se andremo “oltre” il nostro (apparente) vuoto interiore, riusciremo a scorgere infinite nuove possibilità.
È la nostra luce, non la nostra ombra, quella che ci spaventa di più (Nelson Mandela)
Cari Lettori, tutta questa premessa è possibile che stimoli, in noi, la consapevolizzazione delle tante storture (vessazioni, ingiustizie, etc.) cui siamo sottoposti, determinando la voglia di ribellarci.
Ma, chissà perchè, dopo l’impeto iniziale, è estremamente probabile che ci accompagni una strana sensazione di svilimento che nasconde, a mala pena, uno scenario di paura e “buio” interiore… come a preconizzare quello che, prima o poi, piomberà come “una notte senza luna”.
Non è mai troppo tardi, per tentare di capire cosa sia la paura.
Forse, è arrivato il momento di capirne di più su come riuscire a vivere in maniera normale, da esseri umani, con la fronte alta e con lo sguardo fisso verso tutto quello che ci può venire incontro, non tanto per mostrare di essere sprezzanti di fronte al pericolo quanto, piuttosto, per acquisire tutte le competenze necessarie a capire in che modo elaborare la strategia più adeguata per la circostanza che si determina: in pratica, per essere adeguati al momento, al contesto, al bisogno.
Paura. Praticamente, un allarme ogni qual volta riteniamo di trovarci di fronte a qualcosa che possa costituire un pericolo. O che possa diventarlo.
A queste condizioni, quando ci rendiamo conto di cosa effettivamente sia l’elemento problematico, allora stabiliamo cosa fare… a condizione di rimanere sufficientemente lucidi da riuscire a gestire le nostre capacità nella maggiore tranquillità possibile.
Ma, per intanto, quale motivazione può esserci nel determinare la paura di camminare “autonomi” sulle strade della Vita, senza avvertire il bisogno di qualcuno che ci guardi le spalle?
Anche senza ricorrere a Padre Freud e ai vari “Zii” della psicoanalisi, possiamo rintracciare il ricordo dell’abbraccio di una madre da cui nessuno si emancipa completamente.
La più primitiva tra le emozioni, “la paura”, nasconde la più cercata delle sensazioni, la “libertà” (Cit.)
Spesso, l’atto di “lasciare il nido” (che, poi, può essere il luogo natio, la famiglia d’origine, il distacco dalla persona amata) ci coglie impreparati e impauriti, come se la stradaa verso la libertà ci allontanasse dalle sensazioni del “contenimento” materno, che si esplica durante tutto il periodo intrauterino, con i primi abbracci e attraverso il magico momento dell’allattamento.
Allontanarsi dalla propria madre, senza avere introiettato quello che serve per sentirsi solidi e sicuri “deve” produrre paura come necessario meccanismo di difesa che serve a proteggere gli individui e, in ultima analisi, la specie.
A tal proposito, non possiamo non ricordare un pensiero di Elio Vittorini: “La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio”.
Ma, come ci spiegano gli esperti, la psiche esiste per consentirci di aprirci al mondo, relazionarci con esso e ritornare in noi stessi a cercare, nelle pieghe del nostro DNA le pagine di quella storia che deve essere ancora scritta…
Con la consapevolezza del nostro essere precari, quindi, dobbiamo andare avanti sapendo che il percorso non potrà replicare qualcosa del passato ma, semmai, porterà sempre qualcosa di nuovo e irripetibile.
” Non esiste il sentiero”, ha cantato il grande poeta Antonio Machado, “il sentiero si fa camminando. Camminando si fa il sentiero e girando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai più si tornerà a calpestare”.
Bisognerà, quindi, attrezzarsi delle cose che servono per vivere con tranquillo coraggio.
Ad esempio, continuando il pensiero di Machado, chi va per mare dovrà lasciare le cose che, nella specifica situazione, non servono: in particolar modo, la “paura” del naufragio.
La paura, però, non è solo negatività ma, al contrario, può divenire di aiuto per i nostri bilanci esistenziali.
A tal proposito, c’è una bellissima poesia di Vittorio Sereni, intitolata “Paura seconda”…
Niente ha di spavento, la voce che chiama me, proprio me dalla strada sotto casa, in un’ora di notte: è un breve risveglio di vento, una pioggia fuggiasca. Nel dire il mio nome, non enumera i miei torti, non mi rinfaccia il passato. Con dolcezza (Vittorio /Vittorio) mi disarma, arma contro me stesso… me
Esistono paure innate?
In maniera “innata” esiste la capacità di preoccuparci di fronte ai pericoli. Se le cose andassero diversamente, probabilmente non riusciremmo a sopravvivere. Tutto il resto, lo impariamo.
Più paure si “risolvono”, più si diventa forti?
In linea di massima, si. L’importante è fare in modo che l’esperienza ci aiuti a diventare più maturi e giudiziosi. Altrimenti, finiremo col logorarci come dei reduci di guerra.
La Società attuale, ci aiuta o aumenta il problema?
È destino degli esseri umani contemporanei avere paura della vita, per via dell’appartenenza a una cultura i cui valori dominanti sono il potere e il progresso spinto all’eccesso.
Un uomo domandò all’altro: “Che cos’è la paura”
E l’altro rispose: “Sapere che la Morte verrà”
Io non credo che sia così. Ho paura dell’ignoto, della povertà, dell’odio che mi si rivolge contro, delle sciagure che possono abbattersi sulle persone a me care… (Eugenio Scalfari – Incontro con Io)
In questo modo, il conflitto nasce dal tentativo di controllare le emozioni che, nel frattempo, si trasformano in ansia, ossessioni, compulsioni e panico.
Aumentando, in tal modo, l’angoscia.
Speriamo nella pace ma prepariamo la guerra. Dichiariamo di voler difendere la Natura ma, in realtà, ne sfruttiamo spietatamente le risorse
I nostri obiettivi sono il Potere e il Piacere, senza rendersi conto del fatto che, questi due termini, sono inconciliabili se non all’interno di ambiti narcisistici maligni.
La sete di Potere, oppone il Padre al Figlio; la ricerca del Progresso senza regole, porta alla convinzione che il Nuovo sia sempre meglio del Vecchio.
Che, poi, è come dire che il figlio è sempre meglio del Padre e che la Tradizione sia soltanto zavorra da eliminare.
Io non so se il tempo presente ci abbia donato grandi benefici… di sicuro ha inventato un sacco di paure (Vittorino Andreoli).
Più si procede sul piano anagrafico, più dobbiamo fare i conti con le novità (tecnologie in testa) che ci costringono ad ammettere la nostra inadeguatezza. Inoltre, i problemi legati al mondo del lavoro, ritardano l’autonomia dei figli, aumentandone l’insicurezza. E l’ansia.
E poi ci sono le ferite che non guariscono, quelle che non guariranno mai. Sono le ferite che difendono la dignità. Vanno tenute in vita. Non si accettano inviti a dimenticarle, a placarle, ad addomesticarle. Non si può preferire il benessere alla verità. E ci verrà offerto molte, molte volte, dalle più diverse persone. Ci diranno che le ferite restano perché non si perdona, e sapremo che perdono significa oblio. Ci diranno che soffriamo perché non lasciamo andare, e sapremo che si tratta del complotto per salvare la faccia ai violenti, per coprire il male, per zuccherarlo, e vivere nella menzogna.” (Chandra Candiani, Questo immenso non sapere, Vele, Giulio Einaudi Editore)
E a questo punto, torna in mente la riflessione in base alla quale noi “non preghiamo solo perchè ci passi la lebbra o perchè torni un perduto amore. Preghiamo, sostanzialmente, per essere ascoltati”.
Proviamo ad immaginare cosa avrebbe potuto suggerirci un grande pensatore del passato come Bertrand Russel…
Probabilmente avrebbe puntato l’attenzione sull’importanza di una corretta educazione capace di mirare alla libertà della mente dei giovani e non al suo imprigionamento in una rigida armatura di dogmi destinati, paradossalmente, a proteggerla.
Perché, in fin dei conti, dobbiamo vedere il mondo nella sua giusta luce, coi suoi pregi e si suoi difetti.
Non dobbiamo temerlo ma, semmai, conquistarlo con l’intelligenza, senza diventarne schiavi.
Massimo Recalcati ci ricorda che “noi tutti siamo fatti di parole, siamo fatti di linguaggio, ma siamo fatti delle parole e del linguaggio dell’Altro, di come i nostri genitori ci hanno non solo chiamati ma, anche, offesi, feriti, ustionati; parimenti, ci hanno amati, ci hanno deliziati, ci hanno resi insostituibili. Noi siamo fabbricati, il nostro corpo, il nostro essere, la nostra anima sono fabbricati dalla parola dell’Altro…”
Cari Lettori, a nostro modo di vedere, la parola più bella che dovremmo tenere come bussola del nostro vivere e agire, è “Sorella Solidarietà”.
Si chiedeva, qualche anno fa, Stefano Rodotà se e quanto, la solidarietà potesse sopravvivere nel tempo dell’individualizzazione crescente, della globalizzazione, della “morte del prossimo”…
Lo scrittore Luigi Zaia, nel suo stupendo “La morte del prossimo”, spiega che, con la parabola del Buon Samaritano, Cristo propose un salto morale rivoluzionario. Al tempo stesso, impose un ideale elevatissimo, sentito dai circostanti come poco realizzabile e, in buona parte, antipsicologico: amare lo straniero.
Di conseguenza, diviene quasi istintivo pensare che, questo compito impossibile, questo scandalo, sia stato un fattore non secondario dell’isolamento, abbandono e morte del Cristo stesso.
È una nostalgia cattiva quella per le vite che non hai vissuto. È colpa dei sogni che s’infrangono. Dove? Quando? Perché? … questi sono i sogni più insidiosi. Qualcuno, più fortunato o anche solo meno pigro, dipende, l’insegue, oppure se li lascia alle spalle.
Inseguire i sogni è rischioso, e poi più che correre occorre sudare. Non sempre ne vale la pena… più sensato è capire che di sogni si tratta, appunto, e prendere le giuste precauzioni, ossia dedicarsi ad altro. Ma anche per questo occorre fatica. Il sogno è come un cespuglio, ci si può nascondere dietro e dormire…Altri meno fortunati, o forse solo più pigri, questi sogni li inseguono fino a schiantarsi… Ma imparare a riconoscere i sogni e svegliarsi al mattino e lasciarli colare con l’acqua della doccia non è un dono del cielo… ( Maria Perosino, Le scelte che non hai fatto)
Non abbiate Paura…
Cari Lettori, in conclusione di questa “passeggiata insieme, siamo andati convincendoci del fatto che non ci può essere rinascita senza una notte oscura dell’anima, che, forse, i nostri sogni non si infrangono e, forse, nemmeno si avverano: semplicemente, si realizzano un po’ alla volta, smettendo di essere “sogni” per diventare “progetti concreti”.
In quest’ottica, una “voce venuta da lontano” ha iniziato a spronarci ad alzare lo sguardo verso il Sole: quella del nuovo Papa, Leone XIV
Se il buon tempo si vede dal mattino, possiamo dire che, questo nuovo Pontefice, lascia intravedere una bella giornata.
In un tempo brevissimo, con grande classe, in umiltà e semplicità, ha lanciato in varie direzioni segnali molto importanti e significativi.
Ha cominciato con serenità a mettere in evidenza la grande crisi delle vocazioni nella Chiesa: “È importante che I giovani e le giovani trovino, nelle nostre comunità, accoglienza, ascolto, incoraggiamento nel loro cammino vocazionale e che possano contare su modelli credibili di dedizione generosa a Dio e ai fratelli. E ai giovani dico: non abbiate paura, accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore”.
L’invito a “non avere paura” fu un invito importante già di Giovanni Paolo II.
La crisi delle vocazioni è legata alla sempre più crescente secolarizzazione della Società laica. È un processo storico inevitabile, ci ricorda Stefania Palmisano, Sociologa delle Religioni, nel quale una Chiesa troppo lontana dalla gente ha la sua responsabilità.
Quale sarà il futuro?
Il giudizio della sociologa è chiaro:
Penso che il futuro sia una Chiesa meno clericalizzata, dove i laici svolgeranno funzioni oggi assegnate ai religiosi. Ad esempio, governare una parrocchia”.
Ma torniamo al presente. L’invito a non avere paura, da parte del papa, si allarga a tutti.
Solo vivendo in autenticità, ognuno potrà svolgere il suo compito, sapendo che un domani dovrà rendere conto di tutto.
Se ci si sforza di bene agire, perché si dovrebbe avere paura? Paura di che? Della morte? Ma, per il Cristiano, la morte è un passaggio, un andare nella stanza accanto.
Come ci ricorda Massimo Recalcati, in una profonda pagina de “La legge del desiderio”, la resurrezione dei morti “è il modo con il quale Gesù guarisce la paura più grande dell’uomo, quella nei confronti della morte, la paura che attanaglia la vita e le impedisce di vivere pienamente se stessa”.
La paura della morte e la paura della vita sono due facce della stessa medaglia.
“Vivere nella paura della morte – insiste Recalcati- significa sottrarsi alla vita, ma la vita stessa può fare paura quanto la morte poiché, proprio come la morte, sfugge totalmente al nostro governo”.
In sostanza, v’è la necessità di vincere la paura della morte perché, questa paura, rende schiavi e impedisce alla vita di essere pienamente vissuta.
L’invito a “bene vivere” va raccolto perché ci fa sconfiggere il senso di frustrazione pessimistica che caratterizza parti importanti delle nostre giornate.
Dobbiamo prendere atto che, da Dio o dalla Natura, ci è stata data questa stupenda possibilità del vivere.
L’opportunità va ben onorata agendo in modo fraterno e con grande amore verso il prossimo.
Impiegare la propria esistenza in modo sociale e non egoistico è la via maestra per avere giusti riconoscimenti.
Il Credente spererà nel Regno dei Cieli; il Laico sarà comunque soddisfatto perché avrà ben agito nei riguardi degli altri e di sé stesso.
Più che di paura, quindi, l’uomo ha bisogno di coraggio, di ottimismo, di fede (religiosa o laica che sia).
Questo ottimismo, frutto di un vivere responsabile ed equilibrato, sarà la condizione per non aver paura e l’elemento più positivo per trovare, insieme, soluzioni che siano di aiuto e supporto per gli esseri viventi di tutto il pianeta.
L’importante è, come sempre, donare il nostro Amore in ogni nostra azione
NON AVERE PAURA
Se mi guardi così, se mi sfiori così
Se avvicini la tua bocca al mio orecchio
Non finirà bene
Ma ti prego no, non smettere Non smettere mai
La notte è benzina, la notte incatena
La notte è questa faccia allo specchio
E ora cade giù pure una lacrima
Nel frattempo, sto ridendo
Sento una musica ogni volta che ti sto accanto quando ti perdo
E poi ci ripenso come se fosse la fine del mondo
No, non avere paura quando vai a dormire sola
Se la stanza sembra vuota e se senti il cuore in gola
Non avere paura: mi prenderò cura io di te
Se ti abbraccio così, se ti stringo così se appoggi la tua testa al mio petto
Ci siamo solo noi
Sento una musica ogni volta che ti sto accanto quando ti perdo
E poi ci ripenso come se fosse la fine del mondo
No, non avere paura quando vai a dormire sola
Se la stanza sembra vuota e se senti il cuore in gola
Non avere paura: mi prenderò cura, io di te
No, non avere paura quando a un tratto si fa buio
E la luna non è accesa e vorresti una parola
Ma hai solo un rossetto: mi prenderò cura, io di te
“Tra le infinite guerre in corso, c’è anche la tua con te stesso. In questo cielo, stasera senza luce, stringi la mano a chi è nel fondo della propria voragine” (Franco Arminio)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la preziosa collaborazione
