Pubblicato su Lo Sciacqualingua
Il verbo “pelare” ha origini precise e un significato ben delineato. Derivato dal latino tardo pĭlare, che a sua volta trae origine da pĭlus (pelo), “pelare” si riferisce all’azione di togliere il pelo o la pelliccia da un animale. Questo senso è chiaro e specifico, ed è il fondamento su cui si basa l’uso corretto della parola. La precisione semantica è cruciale per preservare la ricchezza della lingua italiana.
Lungo il cammino della storia linguistica, tuttavia, l’uso di “pelare” si è esteso impropriamente al contesto degli alimenti, dove spesso si vuole indicare l’azione di “sbucciare” o “spellare” frutta e verdura. Questo slittamento d’uso, benché ormai comune, rappresenta un errore, poiché confonde ambiti semantici distinti e può creare ambiguità. Il termine “sbucciare” indica chiaramente la rimozione della buccia; mentre “spellare” enfatizza la rimozione di uno strato superficiale che somiglia alla pelle.
Un esempio eloquente di questo uso improprio è la diffusa espressione “pomodori pelati”. Sotto un profilo linguistico assai rigoroso, i pomodori non posseggono peli e, pertanto, non possono essere “pelati”. Il verbo corretto in questo contesto è “spellare” o, in certi casi, “sbucciare”, poiché si rimuove la sottile pellicola esterna che li ricopre. L’uso corretto consente di evitare confusioni e garantisce una comunicazione più precisa.
Per chiarire meglio, ecco alcuni esempi pratici: “La cuoca sta pelando il coniglio per prepararlo alla cottura.” (Uso corretto: togliere il pelo); “Stasera spelliamo i pomodori per la salsa.” (Uso corretto: togliere la pelle); “Per la macedonia, sbuccia le arance e i mandarini.” (Uso corretto: togliere la buccia).
L’improprietà semantica è evidente quando si utilizzano espressioni come “pelare le patate” o “pelare le mele”. In realtà, le patate vengono “sbucciate” e le mele altrettanto, poiché l’elemento che viene rimosso è la buccia. Per evitare confusioni, è bene prediligere i termini più appropriati e specifici.
Infine, mantenere la distinzione tra “pelare”, “sbucciare” e “spellare” non è soltanto una questione di correttezza formale, ma un gesto d’amore verso la nostra lingua, che merita di essere usata con precisione e rispetto. Ogni parola ha il suo ambito e la sua funzione: mantenerli distinti significa arricchire la comunicazione e onorare l’eredità linguistica che abbiamo ricevuto dai nostri padri.
A cura di Fausto Raso

Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.