Coloro che desiderano la pace dell’anima e la felicità, devono credere e abbracciare la fede; quelli che, invece, desiderano perseguire il vero, debbono abbandonare la pace mentale per dedicarsi alla ricerca… (F. Nietzsche).
Frederick Nietzsche ci ha lasciato tante “espressioni” folgoranti, su cui non si smette mai di riflettere. Potenza di un cervello acutissimo, che desta solo meraviglia.
Ovviamente ci riferiamo a chi ne ha frequentato qualche opera, non certo a coloro che, leggendo qualche paginetta su un vecchio Bignami, si sono fatti una loro idea sul filosofo. Costoro si meravigliano di tanta attenzione nostra all’opera di Nietzsche, perché non sono neanche in grado di ipotizzare la sua profondità concettuale.
Se riflettiamo sul concetto col quale abbiamo aperto l’Editoriale di questa settimana, vediamo nitido, l’invito, agli uomini che non vogliono pensare, a lasciarsi “tranquillamente” abbracciare dalla fede, vista come un porto tranquillo e sicuro.
Non si fanno domande sull’esistente. Costoro accettano la vita com’è e, nella loro angustia mentale, sono “felici “. La loro esistenza è legata al credere cui segue la fede.
Colore che, invece, si pongono delle domande non possono stare chiusi nel porto (delle nebbie), ma devono uscire in mare aperto, mettendo a rischio tutto, anche nelle tempeste, pur di ricercare per sapere, per conoscere.
Ogni persona, consapevolmente o meno, spende il suo tempo cercando di dargli un senso.
E allora, proviamo a pensare a quanto siamo, veramente, liberi, dal momento che, per trovare il bandolo di una maledetta matassa, ci arrabattiamo provando, in realtà, ad occuparci d’altro…
Quanti di noi si trovano nella condizione di chi ha la possibilità di agire senza essere soggetto all’autorità o al dominio altrui, riuscendo a trarne godimento? E inoltre, siamo in grado di discernere il vero dal falso, riuscendo a dare conformità alla realtà delle cose e dei fatti?
E allora, le teste che cadono sotto le lame di gente senza testa, i proclami di cambiamento che “fanno tremar le vene e i polsi”, i raid aerei militari, i ricchi che pagano chi gli sfoglia il giornale (per non colorarsi le dita d’inchiostro…) e i tanti che si spengono, privi di pane e di amore…sono le contraddizioni del nostro tempo, che traumatizzano chi vuole capire…
Cosa stiamo vivendo?
Un film dell’orrore senza sceneggiatura. Un film d’azione dove, i protagonisti, improvvisano scene eclatanti…
Siamo spettatori di momenti di tragica e inutile violenza, prevaricazione e sopraffazione: economica, fisica e psicologica. Gli aguzzini sanno spettacolarizzare la guerra ovunque ci sia la parvenza di una richiesta di (anche relativa) libertà di pensiero, con una ferocia che non si ferma più nemmeno davanti alle telecamere dei giornalisti…
Ed è ancor peggio quando, questa guerra, viene combattuta in (apparente) democrazia generando destabilizzazioni sociali e politiche adducendo di agire nel bene del popolo.
Che, poi, sarebbe come quell’ascia che vuole convincere gli alberi della foresta a fidarsi di lei dal momento che il suo manico è di legno e, quindi, possono considerarla “tranquillamente”, una di loro…
Ognuno brucia la sua vita e soffre sia per il desiderio del futuro che per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani né lo teme. Non c’è ora che possa apportare una nuova specie di piacere. Tutto è già noto, tutto goduto a sazietà. Del resto la sorte disponga come vorrà: la vita è già al sicuro. (Seneca – De brevitate vitae)
E noi?
Noi abbiamo imparato ad attivare l’ortosimpatico (quella parte di sistema nervoso che prepara allo stress) per sentirci, paradossalmente, vivi solo di fronte a simili storture con un conflittuale impasto di irritazione mista ad angoscia (e, a volte, con un filo di perverso piacere….).
Alla nostra vita si può aggiungere ma non togliere. E aggiungere come del cibo a uno già sazio e pieno che non ne ha più la voglia ma ancora la capienza. Non c’è dunque motivo di credere che uno sia vissuto a lungo perché ha i capelli bianchi o le rughe: non è vissuto a lungo, ma è stato al mondo a lungo. Come credere che ha molto navigato chi la tempesta ha sorpreso all’uscita del porto menandolo qua e là in un turbine di venti opposti e facendolo girare in tondo entro lo stesso spazio. Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto. (Seneca, De brevitate vitae)
La nostra debolezza, forse, consiste nella ricerca di qualcuno che ci riporti nel lago del tranquillo narcisismo primario quando, abbracciati alla mamma, sembrava che nulla potesse turbare la nostra pace assoluta.
Tutto questo, però, Dante Alighieri la definiva “ignavia” e, ai giorni nostri, diventa, totale mancanza di dignità.
Se guardiamo all’Italia, per esempio, non posiamo non dolerci del fatto che negli ultimi decenni, abbiamo sepolto i nostri ideali, nel senso che abbiamo accettato passivamente qualunque credo, politico, economico, sociale, etc.
Di conseguenza, all’estero, si sono convinti che Santi, eroi, navigatori e poeti, abbiano lasciato il posto a una paccottiglia inconsistente di malaffare “alla casereccia”.
E’ come dire che abitare in Calabria (ma anche, in Campania, in Sicilia, nel Lazio, in Lombardia…), significhi vivere in una regione retta, “esclusivamente”, dalla delinquenza.
Il pregiudizio di paragonare, ancora oggi, ad esempio, gli spaghetti italiani (al netto dei Dazi di Donald Trump) all’immagine più deleteria di quello che rappresentiamo (Mammasantissima & Co.), svilisce la nostra identità: cioè, il rapporto con noi stessi, oltre che quello con la realtà circostante.
In Campania ci si “tatua”, indelebilmente, con i fumi della stupidità e dell’ignoranza, a Roma si beve acqua all’arsenico, in Calabria ci si fa il bagno in un mare dove “dormono” relitti radioattivi…
L’uomo, talvolta, crede di essere stato creato per dominare, per dirigere. Ma si sbaglia. Egli è solamente parte del tutto. La sua funzione non è quella di sfruttare, bensì di sorvegliare, di essere un amministratore. L’uomo non ha nè potere, nè privilegi. Ha solamente responsabilità” (Oren Lyons, Onondaga)
Noi, di fronte a questi spaccati di realtà avvertiamo uno stato d’animo simile a quello che ha spinto Jung a scrivere che ci sono tante cose che riempiono la vita (le piante, gli animali il giorno e la notte e l’eterno, nell’uomo): come lui, quanto più ci sentiamo incerti di noi stessi tanto più ci si sviluppa, dentro, un senso di affinità con tutte le cose.
Cari Lettori, come ci appare ormai chiaro, sono due i modi di vivere possibili: da una parte le moltitudini che accettano il mondo com’è, dall’altra persone che vogliono capire, discutere, sapere.
La tranquillità porta anche una felicità, basata su cose esteriori che, alla lunga, si appanna e non si sa più in che realmente consista.
La ricerca, al tempo stesso, ci turba continuamente e ci costringe in un’analisi che non giunge a un traguardo, ma ci mette davanti sempre nuove questioni.
Il problema della Fede, in questi tempi pasquali, ci porta alla religione e, in particolare, alla religione cattolica che celebra in questo periodo uno dei suoi momenti fondanti.
Noi tutti, tradizionalmente siamo legati al Natale, ma è la Pasqua ad essere il centro vitale di tutto.
Un uomo, che si proclama Figlio di Dio, si è incarnato per redimere l’umanità e, una volta ucciso, dopo tre giorni, ritorna sfolgorante al cielo.
Per credere in ciò, c’è bisogno di Fede, di una Fede autentica che consenta di accettare quel “saltus”.
La Pasqua ha, però, una importanza anche per i laici, perché consente di riflettere sul tema del rapporto fra la Morte e la Vita.
La morte, in questo caso, è il freddo invernale e la rinascita è la primavera.
Muore l’uomo vecchio che è in noi e ci si appresta a un nuovo ciclo vitale, all’insegna di una profonda ed emozionale carica umana.
L’alternanza delle stagioni avvicina l’esperienza religiosa e quella laica.
Con una profonda differenza: il credente, grazie alla Fede, rafforza la fiducia in un “oltremondo” all’interno del quale, i buoni saranno premiati in un “posto” ove finalmente la Giustizia sarà vera e “giusta”; i laici pensano che tutto, probabilmente, si giochi in questo mondo e si impegnano, quindi, per una Società sempre migliore, non credendo in un futuro ultraterreno.
Sarà come sarà ma come sosteneva Umberto Eco, c’è una sola cosa che si scrive esclusivamente per sé stessi: la lista della spesa. Serve a ricordarti che cosa devi comperare e, subito dopo, puoi distruggerla perché non ha più alcun valore. Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa, sperando che venga ascoltata…
Cari Lettori, qualcuno crede che, con il nostro pensare e, soprattutto, con il nostro “scrivere”, saremmo in grado di aiutare a trovare un po’ di luce a chi crede di essere nel buio del proprio tunnel interiore….
Noi, non siamo in grado di riconoscerci in questa lusinghiera considerazione ma, partendo dalla suggestiva immagine di copertina, a dispetto dell’età, ci rivediamo nell’adolescente che, attraverso la “scoperta”, riesce a generare nuovi mondi di idee e aspettative, trasformando sé stessa in continuazione così come vuole la simbologia della farfalla, la quale rappresenta la rinascita spirituale, la creatività, e l’abilità di sperimentare le meraviglie della vita…
Come abbiamo avuto modo di scrivere altre volte, anche se è vero che, nelle speranze deluse e nel pianto di chi resta, nudo, di fronte al freddo dell’assenza morale un Dio muore e che, nel dolore di chi non può curare il proprio figlio un Dio, probabilmente, neanche nasce, è ancor più vero che, nella voglia di riscatto un Dio risorge e, soprattutto, nel Mondo che faremo, un Dio (ri)nascerà.
Con Amore.
E, questo, è un dovere di tutti.
Ancora qui
Non è mai facile un ritorno
Non è impresa da niente
Ma finalmente arriva il giorno che tu fai pace con te
Capire il vento, la ragione, il momento
Spogliarsi di ogni certezza, inseguire un canto
Anche se per gli altri sarà follia
Ad occhi chiusi io riconoscerei la mia prima volta
Tra quei sorrisi e quella sincerità, il mondo era mio
Quella minestra calda quanto mi manca
Essere il primo a tutti i costi davvero stanca
Voglio respirare poesia
La mia
Ancora qui
Per dire di sì ai miei sentimenti
Con l’onestà di chi non ha mai barato con te
Abbracciami adesso perché è tempo di noi
Io non ti ho scordato, non l’ho fatto mai
Una domenica diversa da qui, talmente lontana
Era un appello che forse per noi non tornerà più
I miei pensieri in volo dalla finestra
Che diventava un pianeta, quella mia stanza
Se il coraggio un premio non è, cos’è?
Ancora qui
Per dire di sì
Riaccendere i sensi
Affinché tu non mi veda più diverso da te
Nessuna dogana per noi
Né ieri, né mai
Ecco il mio indirizzo, torna quando vuoi
Lascia la porta spalancata alla vita
Anche se l’hanno umiliata, brutalizzata
C’è ancora qualche cosa di me
In ogni latitudine c’è
Qualcosa per cui ritornerei da te
Da te
Ancora da te
“La rinascita non è un ritorno a ciò che eri, ma la scoperta di chi sei sempre stato, sotto le macerie del passato.” (Francesco Greco Accademico in Neuroscienze)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese -Direttore La Strad@
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione
