Posted on

Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi, comprendersi e (soprattutto) accettarsi per potere (infine) cambiare, aiuta senz’altro a vivere meglio.

La timidezza è quando distogli lo sguardo da una cosa che vorresti ma che temi che non avrai mai. La vergogna è quando distogli lo sguardo da una cosa che non vorresti fosse mai accaduta ma che ti senti addosso, come un crimine (Cit.)

Il mondo delle emozioni è fondamentale per sentire la vita che ci scorre dentro le vene.

Quando, però, siamo schiacciati da sentimenti opprimenti e controversi, vorremmo soltanto sparire.

E se, da ciò, nascesse la paura di essere continuamente criticati e derisi, riusciremmo a vincere la tentazione di allontanarci, definitivamente, dagli altri?

Si prova una vergogna tremenda ad essere vittima delle angherie degli altri perché, ad un certo punto, cominci a pensare di essere responsabile anche tu se sei stato preso di mira”. (Matt Reeves)

Questa riflessione ci introduce efficacemente nel modus pensandi di chi cerca, in continuazione, di evitare l’incontro con l’altro, pur avendone bisogno.

Secondo il Prof. Glenn Gabbard, il disturbo evitante di personalità può essere considerato come una sorta di “controversa” categoria necessaria a distinguere gli individui con paura di mostrarsi, da coloro che sono affetti da Disturbo Schizoide di Personalità.

Infatti, a differenza di questi ultimi, l’evitante desidera le relazioni interpersonali (anche intime) ma ne è fortemente spaventato perché teme una sicura umiliazione associata alla propria incapacità e, di conseguenza, il dolore conseguente al rifiuto.

Si è cercato anche di mettere a confronto il Disturbo Evitante di Personalità e la Fobia Sociale Generalizzata, giungendo alla conclusione che, le reali differenze sembrano essere legate più che altro alla gravità dei sintomi che, nella Fobia Sociale, sono di maggiore intensità

Alcuni studiosi hanno configurato anche un nesso con i narcisisti ipervigili perché, l’esigenza di essere amati e accettati dagli altri è presente sia in loro che nelle persone con disturbo evitante di personalità ma, in questi ultimi, mancano il senso di grandiosità e la convinzione di avere ragione nel pretendere l’attenzione degli altri.

Criteri diagnostici del DSM 5

Modalità pervasiva di inibizione sociale, con sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità alla valutazione negativa, che inizia nella prima età adulta e si manifesta in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) delle seguenti caratteristiche:

l. evitamento delle attività lavorative che prevedono un contatto interpersonale, per il timore di critica, disapprovazione o rifiuto;

2. riluttanza ad entrare in relazione con gli altri a meno che non si abbia la certezza di essere considerati accettabili;

3. riserbo nelle relazioni intime, dovuto al timore di essere indotto alla vergogna o di essere schernito;

4. preoccupazione di essere criticato o rifiutato nelle situazioni sociali;

5. inibizione nelle nuove relazioni interpersonali a causa di sentimenti di inadeguatezza;

6. convinzione di essere socialmente inadatti e poco attraenti;

7. indisponibilità ad assumersi rischi o a intraprendere nuove attività, poiché potrebbero risultare fonte di imbarazzo.

La timidezza è un meccanismo di difesa contro il pericolo di venir respinti nell’incontro, di venir svalutati dal rifiuto. (Francesco Alberoni)

Fra le cause, molti studiosi indicano un’origine genetico costituzionale che, però, come per altri disturbi di personalità, richiede una specifica esperienza ambientale traumatica per potersi manifestare e sviluppare in maniera conclamata.

Per esempio, si è osservato che lo stile di attaccamento (sicuro o insicuro) può influenzare l’espressione della inibizione.

Nel caso di un attaccamento insicuro, infatti, i bambini con una predisposizione biologica esposti a situazioni traumatiche di critica o derisione, mostrano una maggiore reattività del sistema neurovegetativo.

Esperienze ambientali avverse sono state riscontrate anche in studenti con sintomi di disturbo evitante di personalità, evidenziando il ricordo di esperienze infantili negative di isolamento, rifiuto e criticità nelle relazioni interpersonali.

Ogni qualvolta ci si approccia clinicamente a persone con simili difficoltà non si può fare a meno di identificare la vergogna come un’esperienza centrale del problema.

Vergogna ed espressione del sé sono intimamente connesse.

Si può dire che le persone evitanti temono ogni situazione in cui si trovano costretti a rivelare aspetti di sé che li rendono vulnerabili.

Potremmo fare una differenza fra il sentirsi in colpa e il provare vergogna perché, mentre la colpa implica la paura di essere puniti per aver violato delle regole morali interiorizzate (e, da qui, l’evidenza di un Super-Io molto sviluppato), la vergogna è legata ad una valutazione proprio di sé, come elemento non corrispondente alle aspettative di uno standard interno rigido ed esigente.

Tornando per un attimo ai traumi psicologici che innescherebbero le predisposizioni biologiche, si ritiene che sia necessaria una serie di esposizioni frustranti in diversi momenti evolutivi del bambino.

Si parla di rischi, in tal senso, fin dall’ottavo mese di vita, nel momento in cui ci si scontra con figure che criticano le nostre azioni, determinando frustrazioni inibenti ma, soprattutto, si punta l’attenzione a sensazioni di vergogna che originano da incidenti relativi al controllo di vescica e intestino e dall’interiorizzazione dei rimproveri dei genitori (e da loro eventuali derisioni), spesso associati a tali incidenti.

Nei testi di Glen Gabbard, viene riportato l’esempio del bambino di due anni che gioca nudo e felice ma viene rimproverato da un genitore severo che lo costringe a rivestirsi.

La vergogna provata, potrebbe riattivarsi se, per caso, ci si trovasse esposti, da adolescenti (o da adulti) a un gruppo, il cui eventuale scherno ricorderebbe frustrazioni di antica memoria.

La timidezza è una condizione strana dell’anima, una categoria, una dimensione che si apre alla solitudine. È anche una sofferenza inseparabile, come se si avessero due epidermidi e, la seconda pelle interiore, s’irritasse e contraesse di fronte alla vita. Fra le compagini umane, questa qualità o questo difetto fa parte di un insieme che costituisce, nel tempo, l’immortalità dell’essere. (Pablo Neruda)

Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale ci occuperemo del Disturbo Dipendente di Personalità

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale.

Buona “degustazione”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *