Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini, ma sempre incontrando noi stessi. (“Ulisse” – James Joyce)
Cari Lettori, scrivere di un argomento complesso, come la paura di quello che accadrà in relazione a ciò che traspare, poche volte è stato così difficile.
Speculatori, approfittatori, iene, sciacalletti, furbi, riottosi e malfidati di ogni età, l’uno contro l’altro (dis)armati. Per, reciprocamente, vessarsi.
Eppure, osservare questo contesto tenendo presente quello che, di negativo, l’umanità è stata già capace di fare, rende il quadro attuale, paradossalmente meno fosco.
Di fronte a una tazza di caffè, siamo giunti alla conclusione che, senza accorgercene, abbiamo condotto il nostro tempo (ma non ci è chiaro se siamo stati condotti da lui) nel migliorare l’attimo in cui ci trovavamo per provare ad essere attori coerenti e non semplici comparse o, addirittura, spettatori di un copione che potevamo solo subire senza la possibilità di “cambiare canale”.
E quindi, sempre sorseggiando il nostro caffè, abbiamo scoperto di esserci trovati, quasi sempre, in una specie di confluenza di due simboliche eternità: il Passato e il Futuro
Ecco, cari Lettori, anche commentando la percentuale di miscela “arabica” (con il giusto tocco di “robusta”) di quello che, dalla tazzina sta scendendo nello stomaco dopo avere invitato il cervello (attraverso le papille gustative) a produrre endorfine, stiamo celebrando il Presente.
Brevi attimi di eternità che ci riportano agli occhi di una madre preoccupata della nostra impegnativa giornata e si riflettono sulle apprensioni verso i nostri figli…
Dimmi quand’è l’ultima volta che ti sei fermato un po’; dimmi quand’è l’ultima volta che ci hai riso un po’ su e quella volta che tuo padre era lì o quando hai detto di no; dimmi quand’è che hai vissuto le piccole cose che fanno grande la tua vita (Enrico Ruggeri)
Cari Lettori, per noi che portiamo ancora nelle narici l’odore acre di chi è stato cancellato nei forni crematori, dire che il Futuro sia legato a un presente figlio del Passato, può sembrare una banalità esemplare, ma non lo è.
Il Presente, infatti, orienta l’avvenire.
Quando “l’oggi” presenta potenzialità positive che aspettano solo di essere realizzate, ognuno sente dentro di sé, pur sempre nella incertezza di ciò che ancora non è, un lievito di speranza e si dispone, per così dire, a egregie cose.
Quando i tempi, invece, sono oscuri e calamitosi come quelli in cui ci sta accadendo di vivere, la speranza e l’ottimismo si riducono al lumicino e tutto il futuro si tinge di tenebra.
Sembra passato un lungo tempo dall’affermazione del Sociologo Zygmunt Bauman:
Se pensate a un futuro da qui a dieci anni, piantate un albero; se pensate a un futuro da qui a cento anni, istruite le persone.
È una bella pagina oggi mortificata da quanto accade nel mondo. Abbiamo, infatti, sempre guardato agli Stati Uniti come il posto in cui, pur tra tante contraddizioni, la libertà è presenza basilare.
Eppure, cari Lettori, con rammarico e forte preoccupazione, dobbiamo registrare l’irruzione di un Presidente democraticamente acclamato ma con un profilo di personalità che devia sull’asse degli “psicopatici di successo”
Da ciò, ma non solo, deduciamo che il procedere storico non tende, sia pur lentamente, verso il bene, ma ha delle forti “interruzioni” che ci fanno registrare cadute profonde, momenti in cui conquiste secolari vengono cancellate.
Che sarà di noi, ci chiediamo?
Che sarà del nostro futuro, si chiedono i giovani, in gran parte belle persone?
Si diffonde la paura, in una accezione particolare. La paura più temibile è la paura diffusa, indistinta, fluttuante, priva di un indirizzo o di un motivo precisi.
Il tutto si sviluppa in una Società dominata, da decenni, da un senso generale di precarietà e di incertezza.
Una Società che, tempo fa, sempre Bauman ha definito “liquida”, con un termine che ha avuto molta fortuna.
L’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro sono sempre stati bagagli dell’uomo serio e consapevole. Oggi, il quadro si va sempre più oscurando perché viviamo in una Società complessa che riguarda tutto il Pianeta.
Il villaggio globale che sembrava un grande progresso, per ora si sta presentando con aspetti assai preoccupanti.
Il progresso tecnologico, che sembrava portare benessere a tutti, si trova in pochissime mani.
Chi controlla i cambiamenti tecnologici epocali ha tutta l’intenzione di usarli come strumento di dominio e di sopraffazione.
Ormai il potere lo si può esercitare con macchine sofisticate che orientano la nostra vita senza che quasi ce ne rendiamo conto. Siamo, in pratica, prigionieri senza saperlo.
Ci sono momenti della giornata, però, in cui ci accade di “cogliere” che ci stanno allegramente spingendo verso un abisso privo di dignità e autentica umanità. E, allora, scatta la crisi: la paura del futuro, altrimenti definita “ansia anticipatoria”, accompagnata non di rado, da autentici attacchi di panico.
È una sensazione, questa, di disagio e di paura che si presenta al solo pensiero di dover affrontare (in un futuro più o meno lontano) una situazione ritenuta rischiosa o altamente sgradevole.
Per tanto tempo, sperando in un futuro migliore e più giusto, sotto tutti i punti di vista, abbiamo parlato di “utopia”: il sogno di un roseo avvenire.
Da qualche decennio, invece, risulta vincente (purtroppo!) il concetto opposto che si racchiude in una parola tremenda: “distopia”.
Questo termine rinvia inesorabilmente ad una società spaventosa, ingiusta, contrassegnata da progressiva disumanità.
La realtà distopica è, certo, una realtà immaginaria del futuro ma, al tempo stesso, prevedibile sulla base di tendenze del presente, percepite e sentite come altamente negative.
Ancora una volta la letteratura, la grande letteratura ci aiuta a capire e si sforza di tenerci svegli, invitandoci alla vigilanza e alla resistenza.
Pensiamo al romanzo di George Orwell, intitolato “1984”(pubblicato nel 1949), nel quale si delinea una Società caratterizzata da aspetti negativi dovuti allo sviluppo tecnologico che consente, a un gruppo assai ristretto, di guidare e dominare il mondo.
Nel romanzo, il dittatore dello stato totalitario è il “Grande Fratello”, un essere volutamente non ben definito (per fare ancora più paura).
I sudditi sono ossessivamente bombardati da questo slogan:
Il Grande Fratello vi guarda.
Con questa frase, si vuol ricordare che il Capo, con tutto il controllo degli strumenti tecnologici, è in grado di controllare e, quindi, sapere tutto. Anche i pensieri più reconditi.
Il protagonista del libro, mentre viene torturato, chiede:
Ma, il Grande Fratello, esiste come me?
La risposta dell’aguzzino è raggelante
Tu non esisti!
Ma, cari Lettori, anche davanti al criminale più grande si può sempre resistere e, quindi, esistere.
Perché signor Anderson? Perché? Perché? Perché lo fa? Perché si rialza? Perché continua a battersi? Pensa veramente di lottare per qualcosa a parte la sua sopravvivenza? Sa dirmi di che si tratta, ammesso che ne abbia coscienza? È la libertà? È la verità? O, magari la pace… Non mi dica che è l’amore! Illusioni, signor Anderson, capricci della percezione, temporanei costrutti del debole intelletto umano, che cerca disperatamente di giustificare un’esistenza priva del minimo significato e scopo! Ormai dovrebbe aver capito signor Anderson, a quest’ora le sarà chiaro, lei non vincerà, combattere è inutile! Perché, signor Anderson? Perché? Perché persiste?
Perché così ho scelto. (Da Matrix)
La Cultura è la chiave di tutto. Il libro è il nemico di ogni dittatore, di ogni grande fratello.
Mandano i libri al rogo (come in Fahrenheit 451) ma, il libro, resisterà sempre per ricordarci i nostri doveri di uomini verso noi stessi e verso gli altri.
Per questo, nel tunnel del futuro che pare senza luce dobbiamo avere vista aguzza per seguire e valorizzare la fiammella della fraternità che opportunamente alimentata diventerà, quando che sia, un sole caldo e illuminante.
Cosa c’è dietro l’angolo?
L’Enciclopedia “Treccani”, ci spiega che, In geometria, si chiama ANGOLO la regione di piano compresa tra due semirette che si incontrano in uno stesso punto, detto vertice.
La domanda, quindi, sottintende una leggera (quando va bene) paura determinata dall’impossibilità di vedere e prevedere ma, solamente, intuire in base a condizionamenti e pregiudizi personali, quello che va oltre l’incrocio delle semirette e che appare nascosto all’osservazione.
Quanto, da piccoli, ci hanno lasciato liberamente esprimere il nostro bisogno di esplorare lasciandoci intatta la nostra voglia di tornare?
Gli esperti parlano di “Relazioni Oggettuali” e “Modelli di Attaccamento”
Cari Lettori, noi due ci esprimiamo attraverso ogni piccolo “scostamento” del cuore; la variazione di battito che sottende l’onda emotiva che si infrange sugli scogli del sistema nervoso vegetativo di fronte agli attimi di bellezza inattesa.
Quasi come il dono di un Dio (o di chi per Lui) un po’ meno distratto del solito.
Quindi, che sia l’inizio di una vita che nasce o la fine di un amore che se ne va, tutto sembra accettabile. Come l’alba di un cambiamento.
Rapunzel: Sono rimasta a guardare da una finestra per 18 anni, sognando sempre che cosa avrei provato vedendo quelle luci salire nel cielo. Ma se ora, niente di quello che ho sognato si avverasse?
Eugene: Si avvererà…
Rapunzel: E se anche fosse? Che cosa farò poi?
Eugene: Beh, è la parte più bella direi… Ti cercherai un nuovo sogno!
Cari Lettori, l’immagine di copertina ci riporta a “Vi presento Joe Black (Meet Joe Black)”, un film del 1998 diretto da Martin Brest, remake del film del 1934 “la morte va in vacanza”.
William “Bill” Parrish è un uomo che ha molto, dalla vita. Ma non tutto.
Denaro e successo, fanno da contraltare ad una famiglia che risente (in assenza della figura materna) dei “troppi” impegni e della mentalità del Bill, “leader” burbero ma bonario, incapace di rendersi conto dei condizionamenti prodotti e convinto, interiormente, di non avere nulla da rimproverarsi.
La sua quotidianità viene sconvolta dall’arrivo di Joe, la Morte, che ha deciso di concedersi una vacanza, per conoscere un po’ meglio il mondo (sotto sembianze umane, interpretate da un affascinante Brad Pitt).
Al termine di questo periodo, porterà Bill, via con sé. Tutto ciò che accade, da quel momento in poi, vedrà Bill, riscoprire il piacere del dialogo con le proprie figlie e valorizzare ulteriormente la propria persona. Dal canto suo, Joe, innamoratosi di Susan (secondogenita di Bill) scopre di essere ricambiato al punto tale da percepire un’assenza di paura da parte della ragazzai, anche quando le si manifesta per quello che, realmente, è.
La parte migliore del film, viene condensata negli ultimi quattro minuti.
Il momento della “partenza” coincide con la sera del 65° compleanno di Bill che, al contrario di Joe, non ha paura di “andare”. La Morte, invece, consapevole di quanto ha imparato da Bill (vivente, condannato a morire) e da Susan (con il suo amore sconfinato) prova, per la prima volta, il sapore delle proprie lacrime e decide di far “tornare” indietro il ragazzo di cui ha preso il corpo e del quale, Susan, all’inizio del film, si era sentita irresistibilmente attratta.
Questa è la vita!
Buon compleanno Bill.
-Grazie! Hai detto addio?
-Non esattamente …
-Avrai le tue ragioni …
-Si …
-Ora che abbiamo un momento posso esprimerti la mia gratitudine per quello che hai fatto per Susan? … Non l’ho mai sentita parlare di un uomo come ha parlato di te. Era questo che desideravo per lei … ma ora cosa le accadrà?
-Non me ne preoccuperei Bill! Queste sono cose che si risolvono da sole … Posso esprimere io la mia gratitudine?…per te, per il tempo che mi hai dedicato e per la persona che sei …
-Non provare a prendermi per il culo!Pensa alla mia autopsia! … E’ duro staccarsene?!
-Si Bill! Lo è!
-Questa è la vita. Che posso dirti … … Dovrei avere paura?
-Non un uomo come te!
“Il preoccuparsi, non ruba mai al domani il suo dispiacere; priva soltanto l’oggi della sua gioia”. (Leo Buscaglia)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione
