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Non rinunciate mai, sotto qualsiasi pressione a essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico. (Alberto Manzi)

Cari Lettori l’Editoriale che ci vede impegnati, questa settimana, riguarda un uomo della cui nascita, il centenario cade proprio quest’anno (3 novembre 1924) e, per il quale, le Poste Italiane hanno emesso anche un francobollo commemorativo.

Alberto Manzi

Ci rendiamo conto del fatto che, più di qualcuno delle cosiddette “giovani generazioni”, parafrasando il Manzoni, potrà chiedersi: “Manzi? Chi era costui?”

Ma, ci permettiamo di sussurrare che il nostro “parafrasando Manzoni” diventa una espressione legata ad un inguaribile ottimismo.

Chi, infatti, al giorno d’oggi, legge” I promessi sposi “?

Non molti, ahinoi. Sennò non saremmo al degrado attuale.

L’insegnante mediocre racconta, il bravo insegnante spiega, l’insegnante eccellente dimostra. Il maestro Ispira. (Socrate)

Partendo da questa interessante riflessione, riteniamo che l’argomento che ci accingiamo a trattare possa aiutare a capire il motivo per cui, almeno nella nostra Società esiste quella strana contrapposizione che vede, da una parte, chi pospone il bene collettivo per la ricerca di biechi tornaconti (medici che “trascurano” la salute altrui, politici che perseguono obiettivi infantili, industriali che “avvelenano” con i loro prodotti, etc.) e, dall’altra, chi, invece, continua a morire per la difesa di valori e istituzioni.

Siamo certi di non subire smentite nell’affermare che, alla base della Società, ci sia la Famiglia.

Siamo altrettanto convinti del fatto, però, che senza la guida fondamentale della Scuola nessun “passerotto” potrebbe mai spiccare il volo.

E in tutto questo, Alberto Manzi, cosa c’entra?

Cerchiamo prima di capire, velocemente, chi sia stato costui.

Un Carneade, un Ettore che proteggeva la sua Andromaca fino a sacrificare sé stesso?

Alberto Manzi nasce a Roma nel 1924, da Ettore Manzi (tranviere ma, anche, Bersagliere nella Prima guerra mondiale, Sergente delle Guardie Palatine nella Seconda guerra mondiale, volontario nella Croce Rossa sui treni ospedale e Guardiano del Pantheon per i Cavalieri di Malta) e da Rina Mazzei (impiegata presso gli uffici annonari del Vaticano).

L’otto settembre 1943, dopo l’Armistizio, la Repubblica Sociale chiama le classi del 1924/25 dando un ultimatum di 30 giorni per presentarsi, pena la fucilazione.

Il “nostro” Alberto, antifascista come tutta la sua famiglia riesce a nascondersi presso la sede romana dell’Ordine di Malta.

Nel 1944, con l’arrivo degli Americani decide di arruolarsi volontario presso il Battaglione San Marco alleato all’VIII° Armata Inglese.

Grazie al suo carattere simpaticamente “sopra le righe” viene cooptato come segretario personale del Comandante.

Celebre lo scambio di battute iniziali:

Nome, cognome e titolo di studio?

Alberto Manzi, Diploma magistrale

Sai leggere e scrivere?

No!

Si dice che l’esperienza della guerra in marina, come sommergibilista, lo cambia profondamente influendo in modo decisivo sulla scelta di dedicarsi all’educazione e di avviarsi nella professione di maestro.

Facendo la guerra, poi, ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo delle falsità. […] Soprattutto dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi. […] rinnovare un po’ la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano”.

Rientrato in “abiti civili” riprende gli studi universitari (conseguirà la laurea in Biologia e Pedagogia) frequentando Cattedratici, Giornalisti e Fumettisti e collaborando, fra l’altro (nel mondo dell’Editoria), con Gianni Rodari e Benito Jacovitti.

Dal 1946 al 1947 insegna nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma dove deve insegnare a circa 90 ragazzi fra i 9 e i 17 anni, in un’enorme stanzone senza banchi, sedie, libri.

Il “gruppo” è al limite dell’impossibile. Ma questo non lo ferma.

Riesce a guadagnarsi l’attenzione dei ragazzi iniziando a raccontare la “Storia di un gruppo di castori”   che lottano per salvare la propria libertà e spingendoli (con la disponibilità del Direttore e del Sacerdote) a realizzare “la Tradotta”, il primo giornale “fatto” in un carcere.

Di tutti quei ragazzi, quando sono usciti dal carcere, solo 2 su 94, così mi fu detto, sono rientrati in prigione.

Alberto Manzi, nella sua Missione di insegnante ha riversato tutto sé stesso, col suo entusiasmo, impegno, volontà di sperimentare e di rimettere continuamente tutto in discussione.

Con la sua mentalità, ovviamente, non ha mai avuto vita facile con l’istituzione e la gerarchia scolastica.

Ha idee (e ideali) molto chiari e, al tempo stesso, “lontani” dal “Potere”.

Nel 1950 scrive una durissima “Lettera aperta al Signor Gonella” Ministro della Pubblica Istruzione con, all’interno, due pagine di “Pensierini sulla scuola d’oggi”:

Sono forse pensierini cattivi… avvelenati dalla bile di un fegato marcio. Scuola d’oggi: rovina di un prossimo futuro. Il male è alle radici, è nel tronco, è nei rami: ovunque. È nei maestri, nei direttori, negli ispettori, nel ministro. Cosicché le patrie galere rigurgitano di minorenni.

Maestri impreparati e che non vogliono prepararsi sono dilagati nella scuola travolgendo i pochi onesti…“Ti sei preparato?” “No. Che importa? Conosco il tale…”.

Nel 1981, da maestro, si rifiuta di redigere le famose schede di valutazione con cui si voleva rivoluzionare (a parole) la scuola elementare, con il risultato di essere sospeso dall’insegnamento e dallo stipendio.

Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché cambierebbe, è in movimento. Se il prossimo anno uno leggesse il giudizio che ho dato quest’anno, l’avremmo bollato per i prossimi anni.

L’anno seguente il suo Ministero esercita pressione per convincerlo a scrivere le attese valutazioni e, lui, redige una valutazione riepilogativa, uguale per tutti, tramite un timbro:

Fa quel che può, quel che non può non fa.

Il Ministero si mostra contrario alla valutazione timbrata e, Manzi, risponde: 

Non c’è problema, posso scriverlo anche a penna.

La sua opera letteraria vanta oltre trenta titoli. Forse, il più famoso rimane Orzowei (del 1954), che vince (tra l’altro) il Premio “Firenze” per opere inedite del Centro Didattico Nazionale, viene tradotto in 32 lingue e diventa, nel 1980, una riduzione televisiva (in 13 puntate) e un film cinematografico.

Nell’estate del 1955 (essendo anche studioso naturalista con laurea in Biologia e specializzazione in Geografia), riceve dall’Università di Ginevra un incarico per ricerche scientifiche nella foresta amazzonica.

Vi andai […] per studiare un tipo di formiche, ma scoprii altre cose che per me valevano molto di più

Scopre la dura vita dei Nativos, tenuti nell’ignoranza perché fossero più deboli e il loro lavoro meglio sfruttabile.

E lui, per oltre 30 anni, si spende per insegnargli a leggere e a scrivere (grazie anche all’aiuto dei Missionari Salesiani) e per aiutarli a creare delle cooperative di lavoro.

Tutto questo, nonostante l’accusa di essere un “guevarista” collegato ai ribelli da parte delle autorità locali, che lo imprigionano e lo torturano.

Le sue esperienze sudamericane rivivono nei romanzi La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), E venne il sabato (2005), Gugù (2005).

Nel 1960, in novembre, viene inviato (dal suo direttore didattico) a sostenere un provino alla Rai, dove si stava allestendo un nuovo programma per l’istruzione degli adulti analfabeti.

Inizia, quindi, la conduzione di Non è mai troppo tardi, trasmissione che durerà fino al 1968.

L’idea del programma e del titolo è di Nazareno Padellaro, Direttore Generale della Pubblica Istruzione.

Durante questi anni in TV, è un “insegnante distaccato” presso la Rai:

Continuavo a percepire il mio stipendio di maestro elementare. Dalla Rai ricevevo un ‘rimborso camicia’ perché il gessetto nero che usavo per fare i disegni era molto grasso, si attaccava ai polsini della camicia e li rovinava….

Non è mai troppo tardi, ancora oggi è considerato uno dei più importanti esperimenti di educazione degli adulti nel mondo, conosciuto e citato nella letteratura pedagogica internazionale e “replicato” in 72 Paesi nel Mondo.

Indicato dall’Unesco come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo, nel 1965, al congresso internazionale degli organismi radio-televisivi che si tiene a Tokyo, riceve il premio dell’UNESCO.

Non insegnavo a leggere e scrivere: invogliavo la gente a leggere e a scrivere. Noi abbiamo 21 segni che, messi insieme nel modo giusto, ci aiutano a far capire tutto quello che abbiamo bisogno di far sapere agli altri (Alberto Manzi)

Nel 1951 vince un premio radiofonico per un racconto per ragazzi presentato alla radio e, da allora, inizia una collaborazione che dura fino al 1996.

Già da allora, comprende il valore del mezzo audio visivo come formidabile strumento didattico.

Un insegnante insegna sé stesso (Alberto Manzi)

Il “nostro” Manzi, è stato (come è intuibile) anche un Poeta.

Si ricordano le 16 poesie dedicate alla moglie Sonia (pubblicate postume in Essere uomo, Edizioni Laurum, Pitigliano 1998). Poesie di affetti, senz’altro, ma soprattutto di invito a liberarsi da ogni forma di schiavitù.

perché così non saremo uno, soli, sotto il tacco del potere, ma noi, tutti, un uno plurimo che cantiamo la gioia di essere uomini.

Nel 1994 Alberto Manzi accetta di candidarsi e viene eletto sindaco di Pitigliano, in provincia di Grosseto. Completa, in tal modo, un ideale cerchio di impegno sociale e civile che ha caratterizzato la sua vita che, solo sul piano “terreno” si spegne all’età di 73 anni (nel 1997) ma che, sul piano dello stimolo a continuare a lottare, durerà (ce lo auguriamo) ancora a lungo.

Sono stato sotto il consiglio di disciplina tre volte

Una volta perché non mettevo i voti, un’altra volta perché non insegnavo la storia. Ma, la Storia, richiede la padronanza del concetto di spazio e di tempo che, a 10 anni il bambino non possiede a sufficienza. L’unica lezione di Storia l’ho impartita, in silenzio, portando i miei alunni a Dakhau. Lì, hanno iniziato a capire la base della Storia.

Cari Lettori, abbiamo studiato da C.G. Jung che tutto ciò che è ignoto e vacuo viene riempito da proiezioni psicologiche come se, nell’oscurità, si rispecchiasse il retroscena psichico dell’osservatore. Forse è per questo che, per molto tempo, molti allievi sognano (sotto forma di incubi) di essere interrogati e di non ricordare il programma, o di dover tornare all’università perché (a laurea conseguita) si era scoperto di aver dimenticato di sostenere alcuni esami.

Tutto questo (e molto altro ancora), risulta come conseguenza del rapporto conflittuale con quell’istituzione che, per molti, è l’acronimo di Società Che Uccide Ogni Libero Alunno (SCUOLA, appunto). Rimorso, rimpianto, senso di colpa, questo è lo stato d’animo prevalente che pervade i ricordi di molti, attinenti all’esperienza studentesca.

E forse, cari Lettori, con quella sua apparente irriverenza, Alberto Manzi, in quell’acronimo ha visto una profonda e costruttiva verità

L’essere stati generati ha costituito un evento tremendo e stupendo al tempo stesso perché, la nostra presenza può dare un senso non solo alla nostra vita ma a quella del Mondo intero. In altre parole, noi “siamo” Mondo. Al tempo stesso, non possiamo indurre deliberatamente il cambiamento, né in noi stessi, né negli altri.

Questo è un punto decisivo.

Qualsiasi trasformazione implica un cambiamento di stato e, quando il “salto” è significativo, è preceduto dall’angoscia di morire. Lo spermatozoo muore nell’Ovulo e rinasce come Zigote.

Il prodotto del concepimento, al termine dei nove mesi, si avvia al travaglio per venire al mondo come neonato. La consapevolizzazione che nostra madre non è parte integrante della nostra identità dà il via al rapporto con il “Lutto originario”. Ogni nuova avventura evolutiva ci rende “nudi” e impauriti.

In buona sostanza, bisogna, metaforicamente, Morire per poter Rinascere in una dimensione più “adulta”.

Andare “oltre” le proprie paure, insomma. Pensate a come sarebbe bello se qualcuno, come ha fatto il “Maestro” Manzi, ci prendesse per mano e ci spiegasse in che modo abbracciare le nostre angosce, per trasformarle in presenze amiche.

E fare, insieme, della nostra vita, un capolavoro

La buona lezione

Eccoci nuovamente insieme, per imparare a leggere e a scrivere. Io direi, però, piuttosto per imparare a conoscere il mondo e noi stessi. Potrei farvi una domanda su cosa ho scritto alla lavagna ma so che, voi, non potete leggere. Ma proprio per questo siamo insieme: per superare questa difficoltà. Ora, io, ve lo spiegherò per immagini

Come voi, oggi, nel mondo, altre migliaia di persone vanno a scuola. Sono persone di diversi popoli, di diverse razze molto lontani da noi ma, hanno capito come voi che, se vogliamo vincere la fame, la miseria, la schiavitù e l’ignoranza, si deve studiare. Si è, finalmente, capito che soltanto con l’istruzione, l’umanità potrà vivere meglio” (Alberto Manzi)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione

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