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Pubblicato su Lo SciacquaLingua

L’uso di “incognito” e “in incognito” può generare – secondo chi scrive – un po’ di confusione.

Vediamo, insieme, come adoperare questi termini in modo appropriato.

Il sintagma “incognito” deriva dal latino incognitus, composto con il prefisso negativo in- e il participio passato del verbo cognoscere e vale “sconosciuto” o “non riconosciuto”.

Questo lessema è stato adottato – sembra – nelle principali lingue europee con variazioni minime nel significato. Allorché adoperiamo “incognito” in funzione avverbiale mettiamo in evidenza il fatto che qualcuno sta agendo senza farsi riconoscere: Giovanni è venuto incognito.

Qui, “incognito” descrive come Giovanni è venuto, sottolineando che ha cercato di non farsi notare. “In incognito” invece, anche se è la locuzione maggiormente adoperata può suonare meno naturale. È accettabile, tuttavia, in contesti formali o letterari.

Per esempio, Giovanni si è presentato in incognito potrebbe essere utilizzato, ma Giovanni è venuto incognito è decisamente più comune e naturale nel nostro idioma. Cercheremo di essere più chiari. Pensiamo a un famoso attore che voglia evitare i così detti paparazzi.

Potremmo dire: “L’attore è arrivato incognito per sottrarsi ai paparazzi”. Questo esempio – a nostro avviso – illustra bene come “incognito” viene adoperato per esprimere l’idea che qualcuno agisce in modo anonimo. D’altro canto, in un contesto più formale, come un’operazione delle forze dell’ordine, potremmo incontrare la forma in incognito: l’agente si è infiltrato in incognito nella banda dei falsari. Anche se linguisticamente ineccepibile, risulta meno naturale rispetto all’uso avverbiale.

Un altro esempio – sempre per chiarezza – potrebbe essere: il politico ha partecipato incognito all’evento per non attirare l’attenzione.

Qui vediamo come “incognito” renda la frase più scorrevole e diretta. In conclusione, usare ‘correttamente’ “incognito” e “in incognito” può fare la differenza per la chiarezza del discorso. Attendiamo gli anatemi di qualche linguista, anche perché i vocabolari… Ma tant’è.

A cura di Fausto Raso

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