Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Ecco un termine regionale che, spurgato della sua “regionalità”, è entrato a pieno titolo nel lessico nazionale: scafato. Il vocabolo viene dal verbo “scafare” che in vari dialetti, soprattutto in quelli del Mezzogiorno, significa “riparare”, “aggiustare” o “proteggere”.
Alcuni collegano il verbo solo al romanesco “scafa”, guscio: liberare dal guscio (ipotesi più probabile). In origine, infatti, il verbo in oggetto si riferiva all’atto di liberare qualcosa dai difetti (dal “guscio”), rendendolo integro e funzionante. Col trascorrere del tempo il lessema si è evoluto acquisendo l’accezione di “liberare dall’inesperienza” o, anche, “rendere esperto”.
Una volta entrato nella lingua nazionale viene adoperato per designare una persona astuta, smaliziata, scaltra, una persona che ha acquisito una certa esperienza di vita e sa, quindi, come districarsi nelle varie situazioni. Una persona “scafata” ha imparato, insomma, dai propri errori e dalle passate esperienze, sviluppando una sorta di “saggezza pratica” che la rende capace di affrontare e risolvere qualunque problema.
Vediamo qualche esempio: Il nuovo direttore è davvero scafato, sa come gestire le trattative più difficili con i sottoposti; dopo tanti anni nel settore del commercio Luigi è diventato un venditore scafato, conosce tutti i trucchi del mestiere; non provare a ingannare la nuova arrivata, è troppo scafata per cadere nella tua trappola.
A questo punto azzardiamo due proverbi, che potrebbero essere presi in considerazione dai linguisti, in particolare dagli studiosi che si occupano di paremiologia:
chi è scafato ha sempre la bussola in mano, vale a dire sa sempre come orientarsi e non si perde mai d’animo, anche nelle situazioni difficili, perché sa come affrontarle; lo scafato non cade due volte nella medesima buca.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.