Adulto è chi si assume le proprie responsabilità. Ma non quelle come timbrare il cartellino, pagare le bollette o rifare i letti. Semmai, le responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie paure e delle proprie fragilità.
Responsabile è chi prende la propria vita in carico senza più attribuire colpe alla crisi, al governo ladro, al sindaco che scalda la poltrona, alla società malata, ai piccioni che portano le malattie e all’insegnante delle elementari che era frustrata.
Sembrano adulti ma non lo sono affatto.
Chi da bambino è stato umiliato, chi ha pensato di non esser stato amato abbastanza, chi ha vissuto l’abbandono e ne rivive costantemente la paura, chi ha incontrato la rabbia e la violenza, chi si è sentito eccessivamente responsabilizzato, chi ha urlato senza voce, chi la voce ce l’aveva ma non c’era nessuno con orecchie per sentire, chi ha atteso invano mani, chi ha temuto le mani: per tutti questi “chi”, se non c’è stato un momento di profonda rielaborazione, se non si è avuto ancora il coraggio di accettare il dolore vissuto, se non si è pronti per dire addio a quel bambino, allora “l’adultità” è un’illusione. (Emily Mignanelli)
Cari Lettori, per quanto sia previsto dalla nostra genetica, muoversi nel Mondo non è affatto facile. E lo è ancor meno camminare sul sentiero della “Crescita” e della “Maturazione”.
Come pellegrini nel deserto (o polline nel vento), cerchiamo l’ispirazione per (ri)trovare la strada maestra.
Un libro, un film, una canzone, un paesaggio che mette i brividi, una guida autorevole… tutto ciò (o un frammento di tutto questo) può agire facendo detonare i ricordi degli sguardi che ci hanno invitato ad andare incontro al Destino, avendo più fiducia in noi di quanta speranza potessimo nutrire, noi stessi, nelle capacità percepite.
E, di fronte a noi, la visione del Grande Inganno di un Mondo che credevamo perfetto e che si è rivelato, in realtà, come un tremendo scenario di Guerra.
Non chiedere chi ha vinto: non ha vinto nessuno. Non chiedere chi ha perso: non ha perso nessuno. Non chiedere a cosa ha servito: non ha servito a nulla. Fuorché ad eliminare migliaia di creature fra i diciotto e i trent’anni. (Oriana Fallaci)
La Ciociara è un romanzo di Alberto Moravia pubblicato nel 1957 e ambientato nella Roma della Seconda Guerra Mondiale.
Viene pennellata la storia di Cesira che, rifugiatasi nelle campagne lontano dalla Città Eterna, cerca di proteggere la figlia adolescente dagli orrori della guerra.
Brutalizzate entrambe, mostreranno due diversi modi di reagire alla sopraffazione di chi si veste dell’abito del “Liberatore”.
L’Oscar vinto dalla celebre trasposizione cinematografica del 1960, interpretata da Sophia Loren, ha il sapore di un riconoscimento “a futura memoria” per tutte le vittime del cosiddetto “fuoco amico” di ogni guerra che non si è fatto nulla per evitare.
Questa pellicola, infatti, (seppur in forma romanzata), ci mette di fronte a una delle pagine più orribili della storia del Novecento: quella delle cosiddette “Marocchinate”, cioè le innumerevoli violenze carnali, sessuali e morali perpetrate, ai danni di civili, dalle truppe coloniali francesi, aggregate agli Alleati.
La grandezza di quest’opera è quella, nonostante le brutalità cui siamo costretti ad assistere, di non lasciare indifferenti per gli orrori che mostra e che costringe a immaginare, miscelando fatti storici all’interno di una storia universale che, ancora oggi, mostra la sua notte fonda.
Cari Lettori, se ci chiedessimo cosa ci suscita l’immagine di una donna come Sophia Loren capace di trasmettere lo sgomento di cui stiamo parlando, non sarebbe agevole tradurre l’insieme di infinite emozioni, all’interno di una parola sola.
Solo ieri stavo attraversando i cancelli di Cinecittà con mia madre alla ricerca di un qualsiasi lavoro. Ed ora eccomi qui a 90 anni.
Sì, il tempo è davvero volato; in un batter d’occhio la mia vita è passata dall’essere davanti a me all’essere dietro di me; così mi addormento ogni notte con lo stesso desiderio: che domani possa godermi il presente e vivere ogni momento per quello che è.
È come se, negli anni, noi avessimo proiettato, su di lei, la bellezza eterna di una Diva e, lei, in cambio, ci avesse instillato la speranza che tutti (persino una povera ragazza vissuta a Pozzuoli) possano arrivare dove sognano, sopportando anche le notti più fredde, magari sotto i bombardamenti americani e tedeschi…
Sofia Villani Scicolone nasce a Roma, figlia illegittima di un’insegnante di pianoforte, (Romilda Villani) e dell’ingegnere Riccardo Scicolone (figlio del marchese agrigentino Scicolone Murillo)
Nel 1932, la madre vince un concorso come sosia cinematografica di Greta Garbo ma, rimasta incinta, deve rinunciare a questa opportunità.
Ritrovandosi in gravi ristrettezze economiche, decide di trasferirsi dalla propria madre, a Pozzuoli.
A soli 15 anni (ma già di una bellezza statuaria), Sofia decide di realizzare il sogno materno e vola verso Roma, dove si incammina nel mondo del Cinema, cambiando il nome in Sofia Lazzaro prima e in Sophia Loren, successivamente.
I tre incontri che le hanno cambiato la vita, sono stati quelli con il Produttore Carlo Ponti (“Mi ha donato quello che sognavo: amore vero e una bellissima famiglia”), Vittorio De Sica (“È stato un grande mentore, mi ha insegnato come essere onesta e autentica davanti alla cinepresa”) e Marcello Mastroianni (“Un sorriso indimenticabile, un cuore impareggiabile, una persona ineguagliabile”).
Sophia Loren è un personaggio unico e irripetibile.
Per novanta anni, finora, ha vissuto in contesti sociali e artistici che, ormai, non esistono più. Il mondo è totalmente mutato nei decenni e, se Sophia sorride ancora, è perché la filosofia napoletana di cui è totalmente permeata le consente di guardare alla vita con positività e fiducia, anche se si avverte “dentro” che purtroppo non ci sono elementi che allontanino dall’angoscia esistenziale.
Questa donna è riuscita a far tesoro di una infanzia difficile e dolorosa e ha saputo ben reagire quando leggi retrograde l’hanno colpita (insieme a tante altre coppie) in modo forte.
La vita di tutti, si sa, non può essere definita tutta “rose e fiori” e, parimenti (se non di più) difficile è stato il suo incedere negli anni.
A chi le ha chiesto quale fosse la bandiera nazionale che, maggiormente, rispecchiasse il suo “Credo”, ha sempre risposto: “Io sono Napoletana“.
In questa affermazione è racchiusa tutta una filosofia di vita.
Bellissima e corteggiata sin dagli inizi della cartiera artistica, Sophia (facendo tesoro della vita dei suoi genitori), quando ha dovuto scegliere il compagno di vita ha accettato Carlo Ponti, persona già matura con cui ha veleggiato divinamente, per decenni.
Lei ha riempito i rotocalchi per i suoi film e, mai, per scandali di vario tipo. Per questo, in un tempo disordinato e privo di valori, ci troviamo a festeggiarla come se fosse una di noi, una “zia” tuttora bellissima, che ci riconcilia con l’esistenza.
Il successo durato per tanti decenni l’ha accompagnata sia in America che in Europa.
Va posta, a questo punto, una domanda chiave: “Sophia è stata una grandissima attrice?”
La risposta può essere varia e articolata.
A nostro giudizio, quando è stata guidata da registi di altissima qualità (Vittorio De Sica ed Ettore Scola, tanto per fare dei nomi) ha espresso il meglio di sé, raggiungendo risultati di chiarissima apicalità.
Non per niente, abbiamo aperto questo Editoriale analizzando aspetti importanti de “La ciociara”.
Recentemente abbiamo rivisto l’opera “Una giornata particolare” e abbiamo dovuto, ancora una volta, riconoscere di esserci trovati al cospetto di un capolavoro assoluto.
Sophia, come tutte le grandi attrici, ci cattura inizialmente per la bellezza e le peculiarità del fisico ma, poi, quando il film srotola la sua trama, lei entra nella storia e, del personaggio che interpreta, evidenzia tutte le potenzialità.
Unica sopravvissuta ad una esigua schiera di grandissime, ci ricorda un’epoca irripetibile in cui il cinema era il centro del mondo. Con la mutazione dei Media, è cambiato il mondo e, Sophia, resta l’esempio di un periodo mitico, consegnato alla storia del cinema e del costume.
Dopo tutti questi anni, sono ancora coinvolta nel processo di scoperta di me stessa. È meglio esplorare la vita e fare degli errori che andare sul sicuro. Gli errori sono parte dei tributi che uno paga per una vita piena. (Sophia Loren)
Cari Lettori, Vittorio de Sica ne “la Ciociara” non insegue la strada del sentimentalismo, né smussa gli angoli delle atrocità che appartengono alla sfera del reale.
E, proprio per questo, crea una visione dolorosa e struggente, che rimane a galleggiare nelle nostre coscienze oltre il film stesso.
Ci siamo chiesti, qualche rigo più sopra, cosa possa suscitare l’immagine di una donna come Sophia Loren.
Ora, assaporando il tema musicale del Film, possiamo percepire infinite sfaccettature emotive che, però, attraverso la significativa immagine di copertina, possono simbolicamente ricondursi a quella di una madre che ci aiuta a capire che il Mondo fa, si, paura ma che, in esso, “nuotano, come in un immenso acquario, betulle, volpi, torrenti di fiori, strade di campagna e case di legno. E, ancora, i concerti di Brahms e i valzer di Chopin…”
La Ciociara
Non sono di nessuno.
Appartengo alle mie scelte.
Vado dove mi accolgono.
Dove so che mi aspettano, dove sento che mi apprezzano.
Dove dicono: “Mi sei mancata!” e dove mi mostrano tutto quello che dicono di sentire.
Lì, in quei posti ci sono io.
Tutto il resto è passaggio, formalità, cordialità… ma non presenza…” (Carla Babudri)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione