Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Prima di occuparci dell’uso corretto di due avverbi, due parole due su un modo di dire conosciuto ma dal significato “nascosto”: “riveder le bucce”.
Il significato scoperto, dunque, è noto a tutti. Si adopera questo modo di dire – in senso figurato, naturalmente – quando si vuole esaminare accuratamente il lavoro altrui per vedere se sotto la “buccia” è tutto in ordine e ciò che è stato fatto non presenta alcun difetto. Bene. Per il significato ragionato, vale a dire per comprendere il significato “nascosto” di questo idiomatismo occorre rifarsi, come il solito, al… solito latino.
Il Caix, infatti, fa derivare la voce italiana “buccia” dal latino “praepucia”, femminile di “praepucium” (“praeputium”), ‘pelle’, ‘epidermide’. Con il trascorrere del tempo la “buccia” acquisì anche il significato di “involucro superiore della frutta e di pelle degli animali” donde un altro modo di dire: “far la buccia”, cioè far la pelle, quindi “uccidere”. Più genericamente la buccia è la “superficie”, la “parte anteriore”: “Qual suole il fiammeggiar delle cose unte / Muoversi pur su per l’estrema buccia” (Dante, Inf. 19.28). Riveder le bucce vale quindi, in senso figurato, rimuovere la pelle, l’involucro, per vedere se tutto è come deve o dovrebbe essere.
E veniamo all’uso corretto degli avverbi “onde” e “nonché”.
I documenti ufficiali, quelli redatti dalla macchina burocratica, per intenderci, fanno uno spropositato uso (ed abuso) di “onde”, considerato – a torto – un “oggetto multiuso”.
Non è così!
Per l’appunto. Onde, ricordiamolo, è un avverbio di moto da luogo derivando dal latino “unde” (da dove); è errato, dunque, l’uso di onde seguito da un verbo di modo infinito per introdurre una proposizione finale: le scrivo queste righe “onde” ottenere il suo interessamento per quell’affare. Questo “onde” in una proposizione finale – tanto caro ai nostri burocrati, ma non solo – può essere sostituito, anzi deve essere sostituito con la preposizione “per”, la sola “autorizzata” ad introdurre la proposizione finale: le scrivo queste righe “per” ottenere… Al solito, molti scrittori non osservano questa semplice regola, voi regolatevi come meglio credete. Se amate la lingua però…
E sempre a proposito di avverbio (o congiunzione) il cui uso nel linguaggio burocratico non è corretto, ricordiamo che “nonché” (scritto anche ” non che”) ha valore intensivo o rafforzativo e significa “tanto più”, “tanto meno”, “per di più”, etc. non può essere adoperato, quindi, in sostituzione della congiunzione “e”.
Si legge spesso sui giornali: al convegno sono intervenuti il ministro nonché rappresentanti del mondo imprenditoriale. E’ chiaro come la luce del sole che nella frase sopra citata “nonché” sta ad indicare “e”, il suo uso, per tanto, è tremendamente errato. E’ bene adoperato, invece, in espressioni del tipo: è un giovane intelligente nonché (“per di più”) studioso.
Fausto Raso (22 Agosto 2006)
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.