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L’Universo non è più quello di un tempo. E non è ciò che sembra (Franz Wilczek).

Una mattina di un sabato qualunque, a passeggio lungo il tragitto che ci avrebbe portato nella destinazione delle nostre incombenze quotidiane, assistiamo a un investimento mancato.

Una signora, alla guida della propria automobile, pur avendo visto un pedone che attraversava sulle strisce, ha continuato lungo la propria traiettoria come se una forza misteriosa (o chissà  quale moltitudine di conflitti interiori) le avesse impedito di muovere la gamba destra per azionare il pedale del freno, riuscendo (fortunatamente) a bloccare la propria vettura qualche millimetro prima del ginocchio del malcapitato pedone il quale, vedendo l’autista (quasi allucinato) restare immobile e imperturbabile, si è avvicinato al finestrino chiedendo: “Signora, tutto bene?”

Non essendo pervenuta risposta né verbale né temperamentale, abbiamo cercato di capire se ci fosse qualche problema di natura ischemica o epilettica (assenza) in corso quando, all’improvviso, veniamo fatti oggetto di insulti di ogni tipo da parte di un automobilista il quale si lamentava del fatto che stessimo ostruendo parte della carreggiata.

Dopo aver ascoltato le nostre spiegazioni, costui ci ha guardato come se si fosse trovato al cospetto di un alieno (o un alienato) ed è andato via, visibilmente impaurito per aver incontrato qualcuno che si stesse preoccupando della possibilità che, un altro essere umano, potesse avere accusato un malore alla guida.

Risalendo la strada, in prossimità del nostro arrivo, lo sguardo va su un’ambulanza ferma all’incrocio un po’ più su. Avendo chiesto spiegazioni, ci veniva risposto che, qualche minuto prima, un guidatore distratto aveva violentemente impattato contro una vettura che sopraggiungeva, causando il ferimento degli occupanti

La sequenza di questi accadimenti, ci ha richiamato dalla memoria alcune scene di un vecchio documentario che mostrava la dinamica esistenziale degli animali della savana, alla sera, intorno agli specchi lacustri.

Mentre alcuni di loro venivano aggrediti da predatori, altri (poco più in là) si dissetavano come se nulla fosse e, altri ancora, si accoppiavano incuranti di quanto stesse succedendo.

Allora ci siamo domandati: “Ma la nostra vita, in fondo, non segue le stesse dinamiche?”

Però, avendo noi, la capacità di muoverci seguendo principi di autorealizzazione al di là dei bisogni elementari, non finiamo col procedere dentro un’esistenza condotta per “futili motivi”?

Cari Lettori, per nostra buona sorte avevamo, di fronte, la maestosità dei monti della Sila che, senza (apparente) soluzione di continuità abbracciavano la catena “dolomitica” del Pollino col suo particolare “Dolcedorme”

Ecco, a quel punto è stato un tutt’uno immaginare la bellezza nascosta anche nelle più piccole manifestazioni di Madre Natura e riflettere sui motivi che spingono le persone ad impiegare male il tempo, esercitandosi in attività antitetiche come quella del parassitismo e, l’altra (necessaria ma “distraente”) che porta ad attivare i processi di disinfestazione.

La domanda che più frequentemente ci capita di ascoltare, è:  “Ma perché, ogni volta che si prova a realizzare un qualsiasi programma esistenziale, qualcuno complica quello che mi propongo di fare?” 

L’assonanza che, a quel punto, si genera nella mia mente crea un rapporto biunivoco fra i lestofanti di varia natura e quell’insetto succhialinfa che, gli esperti, chiamano “parassita”. 

In ognuno di noi, c’è un altro che non conosciamo.  (Carl Gustav Jung)

Cari Lettori, forse, pretendere una vita senza problemi equivarrebbe a non aver capito “le regole del gioco”

Un po’ come chi, osservando per la prima volta una partita di calcio, si arrabbiasse con l’arbitro perché, secondo lui, avrebbe costretto i giocatori a correre dietro a un solo pallone.

Probabilmente, l’Essere Umano diventa adulto e “matura” nel conflitto.

E allora, probabilmente, coloro che appaiono vagare coi fari “spenti” come guidati da un cervello “atrofico” anche se potenzialmente perfetto, forse cercano disperatamente una figura accudente cui consegnare i propri dolori, nella speranza di poterne recuperare le vulnerabili emozioni.

Chi ha inventato le complicazioni?

Sicuramente il buon Dio (o chi per lui). E non per sadismo, ovviamente. Semmai, con la diligenza del buon Padre di famiglia, costui ha messo le cose in maniera tale da evitare l’impigrimento per assenza di problemi.

A proposito di Padre (e di frustrazioni costruttive), abbiamo già avuto modo di ricordare che, la Psicoanalisi, ha celebrato questo “ruolo” (o, per meglio dire, “funzione” che, in quanto tale è priva di connotazione di “genere” ma è fondamentale e complementare a quella materna) attraverso il meccanismo Edipico, ben sintetizzato dai “tre tempi” di Jacques Lacan.

Il primo tempo, della confusione simbiotica fra Madre e Bambino, con la prima che tende (simbolicamente) a voler riportare dentro di se’ il figlio e, quest’ultimo che la vorrebbe (altrettanto simbolicamente) “vampirizzare”…

Il secondo tempo, dell’apparizione traumatica e “interdittiva” della parola del Padre, che (simbolicamente) “risveglia” la diade madre – bambino dal “sonno incestuoso” con due “moniti” ben chiari: uno rivolto alla Madre (“Non puoi divorare il tuo frutto!”) e uno rivolto al figlio (“Non puoi tornare da dove sei venuto!”) che non mortificano tale relazione ma la liberano da perversioni incestuose…

Il terzo tempo, della “donazione” paterna, che si pone a cavallo fra il “Desiderio” e la “Legge” rendendo possibile, nel figlio, la reazione di binari di regole non imposte ma capite e accettate

Ricorda che non ti insegnerò nulla che non sai dentro, ti farò solo ricordare …! (Tony, Navigatore dell’Universo – dal film Gattaca)

LA PAROLA PATERNA, PERÒ, NON GODE DI UN’AUTORITÀ AUTONOMA MA NECESSITA DI UN RICONOSCIMENTO AUTOREVOLE DELLA MADRE CHE LA VALIDA (O MENO) ATTRAVERSO COME LA SPIEGA AL PROPRIO FIGLIO.

Quindi, per ben funzionare, una frustrazione (o una “complicazione”) ha bisogno di un “doppio codice” (interdizione e donazione) in cui, il senso di “pigra beatitudine” concessa dalla Madre ha avuto un ruolo enorme: se la Madre, ovviamente, è stata all’altezza del compito.

Se tu fossi…

Se tu fossi nei miei occhi per un giorno, vedresti la bellezza che, piena d’allegria,
Io trovo dentro gli occhi tuoi, ignaro se è magia o realtà

Se tu fossi nel mio cuore per un giorno, potresti avere un’idea
Di ciò che sento io quando m’abbracci forte a te e, petto a petto, noi respiriamo insieme

Protagonista del tuo amor, non so se sia magia o realtà

Se tu fossi nella mia anima un giorno, sapresti cosa sento in me, che m’innamorai, da quell’istante insieme a te. E ciò che provo è solamente amore

Mi presi in mano e mi guarii io stesso.  Scoprii, per così dire, di nuovo la vita, me stesso incluso. Gustai tutte le cose buone, anche le piccole cose. Feci della mia volontà di vita, la mia filosofia.  Un uomo può indovinare i rimedi contro le ferite e utilizzare a suo vantaggio le disavventure.  Ciò che non lo uccide, lo rende più forte. (Friedrich Wilhelm Nietzsche, Ecce Homo)

Come spesso diciamo (e scriviamo), di questo se ne erano (a loro tempo) accorti gli antichi romani che, pensando ai bisogni da appagare, li definivano  come “attenzione e cura” ma, anche, come impedimento: una sorte di codice biunivoco abbastanza vicino al concetto di “doppia afflizione”.

Perché “doppia”?

La prima, riguarda il “sentire” la carenza; la seconda viene fuori, prepotente, nel momento in cui ci accorgiamo che, per andare incontro all’obiettivo, dopo aver stabilito la strategia adeguata, dobbiamo fare i conti con gli ostacoli che si mettono in mezzo fra noi e la risoluzione del problema.

La mente sembra essere all’origine di tutti i problemi dell’essere Umano ma, a ben riflettere, è anche la sede delle sue soluzioni.

Il nostro Inconscio è, di fatto, un tesoro nascosto sul quale camminiamo ogni giorno senza renderci conto di quanto valga. Si tratta solo di entrarne in “possesso”, di esercitarci a operare tutto quel che facciamo con consapevolezza, invece di “condurlo” sempre più distrattamente.

Ma fermiamoci un attimo a osservare quella Savana in cui ci “muoviamo”, nella parte chiamata “Occidente”.

Impegnati in una corsa iconoclasta verso un’idea troppo materialista di libertà individuale, abbiamo combattuto tutte le regole, negato qualsiasi tradizione, ridicolizzato ogni credo, eliminato l’idea del rituale togliendo, con ciò, il mistero e la “poesia” dalla nostra stessa esistenza.

“Si nasce, si vive e si muore ormai senza che una cerimonia, senza che un rito marchi più le tappe del nostro essere al mondo. L’arrivo di un figlio non comporta alcun atto di riflessione, solo la denuncia all’anagrafe. Le giovani coppie ormai convivono, non si sposano più e il solo rito a cui partecipano è quello del trasloco. Non marcano quell’inizio di una nuova vita neppure cambiandosi la camicia. E mancando la cerimonia-iniziazione, manca la presa di coscienza del passaggio; mancando il contatto simbolico col sacro, manca l’impegno. Spesso la comunione che ne nasce è solo quella del sesso e della bolletta del telefono. La morte stessa è vissuta ormai senza la consapevolezza e le consolazioni del rito. Il cadavere non viene più vegliato e il commiato, quando c’è, non è più gestito da sacerdoti o stregoni, ma da esperti in pubbliche relazioni” (Tiziano terzani – Un altro giro di giostra)

Però, cari Lettori, Madre Natura, ci ha messo in condizione di poter fronteggiare situazioni del genere. Infatti, la nostra attività di pensiero si esplica, principalmente, mediante il meccanismo della riflessione. E riflettere significa, testualmente, esaminare e valutare attentamente per assemblare idee, prelevando dati parcellari dal deposito della memoria, per studiare le migliori strategie al fine di risolvere i problemi che nascono quando si cerca di appagare un bisogno e si tende verso il mondo del Desiderio, inteso come un ritorno alle Leggi Universali di realizzazione.

Desiderare, infatti viene dal latino “siderare”, cioè “fissare attentamente le stelle”, da cui trarre ispirazione in quanto libri di Storia, dal momento che, prima di diventare ciò che siamo, eravamo ammassi di plasma incandescente (stelle, appunto)

E infatti, il parassita ha una funzione biologica e sociale. Nelle piante, così come nelle altre forme viventi, si sviluppano reazioni per rinforzarsi e fronteggiare il problema (estinguendosi, in caso di fallimento, a favore di presenze più idonee).

Dal punto di vista psicologico, adattarsi al meglio o compensare le frustrazioni, genera un’implementazione di aspetti che conducono verso eccellenze che, se da un lato squilibrano (ad ogni aspetto positivo, sviluppato in eccesso rispetto alla media, corrisponde un lato deficitario compensatorio), dall’altra fungono da stimolo per la continuazione del progresso (ognuno ammira, infatti, i cosiddetti geni, ignorando i loro aspetti retrivi).

Il disagio e la paura

Non si possono, tuttavia, ignorare tutti quei fattori di destabilizzazione che alimentano insicurezze di vario genere.

Come si può restare, ad esempio, indifferenti, all’osservazione di come si sia distrutto il “modello Sanità” in gran parte del mondo al punto tale che, chi si ammala, spesso, è meglio che attenda il compimento del proprio destino in casa propria (fra mura amiche) piuttosto che avventurarsi nei gironi ospedalieri di dantesca memoria?

Come non lasciarsi condizionare dai pettegolezzi sadici che filtrano dal mondo dell’economia, in base ai quali, per l’ingordigia di qualcuno, piangeranno i figli della maggior parte dei cittadini onesti?

L’arroganza che deriva dall’età deve essere placata dall’insegnamento della giovinezza. (Edmund Burke)

Come fare per imparare ad osservare la realtà, nella maniera più completa?

Nella nostra corteccia associativa (quella che raccorda le informazioni giunte, in memoria, dalle varie vie sensoriali), appaiono le immagini sfocate dei fantasmi che hanno rubato a piene mani, nella cosa pubblica e che sono diventati ectoplasmi fuggiti o incarcerati sciogliendosi, in fondo, come neve al sole…

E sarebbe questa, l’espressione del potere? Ed è questo il mondo in cui folle ingenue continuano a credere?

La Scienza ci dice che, In una famiglia disfunzionale, possono nascere figli altrettanto problematici ma può crescere anche un bambino “migliore”.

Costui si ribellerà con tutte le sue forze e si sentirà sempre “fuori dal coro”, sbagliato e soffrirà molto in questa situazione. Sarà diverso. Sarà solo.

La speranza è che non smetta di “provarci”, per mantenere sana la sua mente e spezzare la catena familiare, prima che si perpetui ancora e ancora.

I nostri modelli del mondo, sono costruiti con strumenti per l’elaborazione dei segnali progettati dall’evoluzione per filtrare un Universo brulicante di informazioni e ottenere un piccolo numero di flussi di dati in ingresso. Questi modelli, più familiarmente, si chiamano vista, udito, olfatto e così via. La vista ci consente di campionare la radiazione elettromagnetica che passa attraverso un minuscolo foro presente nei nostri occhi, raccogliendo soltanto un arcobaleno limitato di colori all’interno di uno spettro molto più ampio. Il nostro udito monitora la pressione dell’aria nei timpani e l’olfatto fornisce una strana analisi chimica dell’aria che colpisce le membrane nasali. Altri sistemi sensoriali (come il tatto e il gusto) forniscono informazioni approssimative sulle accelerazioni, sulle temperature e su varie sostanze chimiche che interagiscono con il nostro corpo. Tali meccanismi sensoriali hanno caratterizzato l’essere umano da sempre. Come è stato possibile evolversi? Con i congegni che potenziano i nostri sensi (come, ad esempio, il microscopio). Ma il congegno che, di più, potenzia i nostri sensi, è la mente.”(Franz Wilczek – Premio Nobel 2004 per la Fisica)

Grazie a questo formidabile elemento intracerebrale, ad esempio, Galileo ha intuito che si poteva puntare un cannocchiale “potenziato” verso il cielo e, grazie a questo, si è capito che, tutto, non iniziava e non finiva con noi e che, quindi, altre realtà esistevano al di là della semplice percezione soggettiva.

La nostra mente, infatti, è capace di valutare la più piccola sfaccettatura di ogni singolo evento, per riuscire ad individuare gli elementi cui riferirsi, per guidare aspettative e progetti secondo precisioni matematiche che non tengono conto delle isterie collettive.

Si salveranno solo i flessibili e i diversamente agili, quelli con le prospettive e i pensieri ampi. Si salveranno quelli che sbagliano in fretta e fanno, delle cadute, slanci; i domatori del pessimismo, i navigatori disancorati e gli apprendisti stregoni in generale. Si salverà chi accorda il respiro e i pensieri al presente, chi ascolta fino in fondo prima di parlare, chi sa che l’acqua arriva sempre al mare e non impreca contro il buio ma si fida del tunnel, perché sa che la luce non va cercata fuori ma accesa dentro. (Manuela Toto)

Che strano…

Immersi nei nostri pensieri solo adesso ci rendiamo conto di aver trascorso una giornata di impegni lavorativi e di trovarci sulla via del ritorno avendo chiesto, al nostro corpo, più di quello che avrebbe potuto concederci…

Ci sentiamo rallentati e stanchi ma, nonostante tutto, soddisfatti della nostra ricchezza interiore.

L’universo non è ciò che sembra

Così, cari Lettori, abbiamo esordito in questo lavoro che abbiamo “vissuto” insieme, fino ad ora.

Ed è per questo che vorremmo invitarvi ad ammirare (cliccando sul link sotto riportato) una splendida ragazza che ci mostra come gli Angeli, a volte, si mostrano attraverso le più svariate forme, a ricordarci (come ci mostra la suggestiva immagine di copertina) che conoscere il “lupo” della nostra coscienza, ci conduce a rivedere la Stella che ci dona l’alba, ogni mattina

Una furtiva Lagrima (Gaetano Donizetti – Elisir d’Amore)

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Una furtiva lagrima
Negli occhi suoi spuntò
Quelle festose giovani
Invidiar sembrò

Che più cercando io vo
Che più cercando io vo
M’ama, m’ama ah si, m’ama
Lo vedo, lo vedo!

Un solo istante i palpiti
Del suo bel cor sentir
I miei sospir confondere
Per poco a suoi sospir

I palpiti, i palpiti sentir
Confondere i miei co’suoi sospir
Cielo, si può morir di più non chiedo
Non chiedo
Oh cielo, si può si può morir di più non chiedo
Non chiedo si può morir
Si può morir d’amor

Lao Tse significa vecchio (lao) maestro (zi), o anche “vecchio bambino”; quindi, in accordo con lo spirito taoista, una denominazione che può indicare tutti o nessuno, o più semplicemente può indicare la “sapienza” che giace, più o meno addormentata, nel cuore di tutti gli uomini. La tradizione vuole che questo appellativo fu dato ad un maestro in carne e ossa che visse ai tempi di Confucio e che è considerato l’autore del Tao Te Ching, (Classico della Via e della Virtù, nonché uno dei padri del Taoismo).

Sapete cos’ha detto, costui?

Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla!

E allora riscopriamo il piacere di passeggiare, lentamente, potendo contare sulla vicinanza di un Amico, andando incontro a Sirio (una delle stelle più brillanti nel cielo) e provando a sintonizzarci con i suoi misteri che in fondo essendo, lei, una “progenitrice”, diventano anche i nostri.

Ma, questa, è un’altra storia.

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto, per l’affettuosa collaborazione

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