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Non posso negare che sia forte il richiamo dei paesaggi siciliani. È una regione che ho imparato a conoscere e che amo, ma è stata una coincidenza esplorarla, di recente, a teatro con la novella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Lighea, perchè mi ha appassionato questo autentico gioiello. È un racconto magico. E la Sicilia, terra così potente, carnale e spirituale, è capace di evocare sensazioni molto forti. Per un attore è una bella sfida ricreare l’atmosfera del luogo. (Luca Zingaretti)

Nostalgia e Malinconia. Due sfumature emotive che, ancor prima di imparare a pronunciare la parola “Mamma”, abbracciano le nostre angosce dal tramonto all’alba perché, come sosteneva il poeta austriaco Reiner Maria Rilke, “Per sempre prendendo congedo: così noi viviamo”.

La prima, Nostalgia, deriva dal greco antico (Nóstos, ritorno e Álgos, dolore) e richiama la sofferenza provocata dal desiderio di “ritornare” a qualcosa (o a qualcuno) cui siamo legati ma che non può più “essere”.

Probabilmente, di tutti i nostri sentimenti, l’unico che non è veramente nostro è la nostalgia perchè ha a che fare con le vite precedenti, con tutti quei secoli passati che non ci appartengono più. (Fabrizio Caramagna)

La seconda, Malinconia, significa letteralmente “bile nera” (dal greco Mélaina, scuro e Cholé, bile) e indica la causa (secondo gli Antichi) dell’umore triste e malinconico: la bile nera appunto.

Ai malinconici succedono cose strane quando piove, quando salgono sui treni e quando arrivano all’ultima pagina di un libro. Ricordano tutto insieme. (cit.)

Cari Lettori, abbiamo avuto modo di gustare una superba interpretazione di Luca Zingaretti, ne La Sirena (di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scritto negli ultimi suoi mesi di vita e pubblicato postumo con il titolo Lighea) di cui, l’attore, non è solo interprete ma anche curatore della regia e dell’adattamento drammaturgico.

Nello spirito di chi lo ha scritto, siamo riusciti a “sentire” uno spettacolo a cavallo fra la carnalità del Presente e la spiritualità dell’Antichità, su cui emerge la ricchezza della poesia della terra siciliana da dove sembra palpitare quella melensa e liquorosa stasi del vivere, che connota gran parte dei paesaggi e degli uomini. 

Che c’entra tutto ciò, con l’editoriale della settimana? 

Tema di Amaranta

Amaranta,nelle intenzioni di chi l’ha immaginata (alla stregua di Lighea), incrocia percezioni, sensazioni ed emozioni conducendo, per mano, in quello che, ognuno, rivivrebbe come il proprio “Paradiso all’improvviso”

I momenti migliori dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che. (Giacomo Leopardi)

Tomasi di Lampedusa, ha composto “la Sirena”, quando già sapeva di essere gravemente malato; Lighea, quindi, è quasi un’estrema comunicazione della propria visione del mondo. La lunga narrazione è formata da due racconti, uno inserito nell’altro, un racconto cornice e un racconto quadro che ha un carattere fantastico descrivendo, cioè, una situazione che sfugge alle norme riconosciute e codificate dalla ragione: l’amore tra un uomo e una sirena.

Sia l’uno sia l’altro racconto (quello descrivente il rapporto emotivo fra il giornalista e il senatore) si riferiscono ad un tempo passato: più recente il primo (1938), più lontano il secondo (1887).

Probabilmente anche perché Luca Zingaretti ha studiato anche alla corte di un ottimo maestro di psicoterapia (il siciliano Giovanni Russo), dopo i primi due minuti, chi segue lo spettacolo rimane intrappolato nella storia che scorre veloce, fluida, senza intoppi.

Tutto ti coinvolge e senti di entrare in quel tardo autunno del 1938, in cui due uomini si incontrano in una Torino ad entrambi estranea, due siciliani: il giovane Paolo Corbèra (redattore de “La Stampa”) e il vecchio Rosario La Ciura (Senatore, illustre ellenista del tempo, autore di una stimata opera di alta erudizione e di viva poesia) che fuma sigari toscani e sputa, disgustato dalla mediocrità dell’essere umano.

Il ricordo, ha bisogno della malinconia per avere tutto il suo profumo. (Anne Barratin)

Pur “seduto” dall’altra parte del palco, senti il vecchio professore che evidenzia il contrasto tra una città del nord come Torino, con il suo caffè di via Po, Erebo spettrale, Ade popolato di larve, con i suoi casermoni allineati in rigide geometrie, o il mare di Liguria con le sue fredde scogliere e la Sicilia lontana, la Sicilia divina dove hanno soggiornato gli Dei, con il suo mare colore dei pavoni, con i “rizzi” dalle cartilagini sanguigne, quasi simulacri di organi femminili. 

“Mi voltai e la vidi […] il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare. […] Sono Lighea, sono figlia di Calliope. […] Mi piaci, prendimi!” 

Ecco il punto di congiunzione! 

Da molto tempo ci interroghiamo (e scriviamo, nei nostri editoriali) su quale artificio possa ricondurci (lontano dalla confusione esistenziale contemporanea) su lidi che diano un senso alla prosecuzione di quel cammino che, i più, chiamano “vita”.

Un percorso però, non “a come viene…viene” ma piuttosto, teso a capire, per esempio, cosa voglia dire essere una persona equilibrata.

In che modo, tra l’altro si possa diventare alchimisti in grado di camminare (senza cadere e “perdersi”) su quella fune sospesa nel vuoto, che rappresenta il futuro.

Magari, per rendersi attraenti al mondo esterno, indossando un paio di scarpe dai tacchi a spillo!

Mentre “ascoltiamo” il dialogo fra il vecchio e il giovane, è il primo che ci fa sussultare il cuore, con la sua vitalità repressa all’interno di una mesta realtà contemporanea.

E allora, cari Lettori, ci domandiamo: c’è differenza fra equilibrio, maturità e saggezza?

Immaginiamo di dover decollare con un aereo, all’approssimarsi di un tornado. Paradossalmente, sarebbe meglio partire nel momento in cui ci si trova proprio al centro della depressione, nel cosiddetto “occhio del ciclone”.

In questa zona, esiste, infatti, un momento di massima calma. Basterebbe spostarsi con la perturbazione, per evitarne gli effetti collaterali. Questo è l’equilibrio: riuscire a rimanere al centro del problema, con una visione baricentrica, sfruttando le proprie capacità per prevenire frustrazioni o, al massimo, per trasformarle in occasioni di crescita interiore.

Però, un interrogativo sorge del tutto spontaneamente: in una determinazione geografica come quella dell’Italia meridionale, in cui “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, quali potrebbero essere le tappe e gli obiettivi da raggiungere per un percorso che ci faccia diventare, tutti, un po’ più adulti? 

Sicuramente, la stima e l’affetto, che portano al “rispetto”.

Se, poi, vogliamo approfondirci…

Rispetto, dignità, sicurezza e onore.

Ripartiti, rispettivamente, fra autostima e autoaffermazione. 

Strano ma vero. 

Ci si consenta una divagazione dettata dalla nostra esperienza professionale ma, ad un’analisi psicanalitica del racconto, la presenza della sirena (che, con i suoi bianchi dentini aguzzi, strazia la carne viva dei pesci argentati, rigandosi il mento di sangue e maculando l’acqua di rosso) esprimerebbe la componente inconscia della pulsione libidica, fino alla trasgressione. 

Lighea è, infatti, una creatura ambigua, spirituale ed istintiva al tempo stesso, ragazzina seduttrice ma anche madre saggia e donna “vera”.

Quando agosto finisce, la sirena torna sotto gli altissimi monti di acque immote e oscure. 

“Ricorda, Rosario, quando sarai stanco, quando non ne potrai proprio più, non avrai che da sporgerti sul mare e chiamarmi: io sarò sempre lì e la tua sete di sonno sarà saziata”. 

Da poco tempo è uscito un volume di Massimo Recalcati intitolato “La luce delle stelle morte, saggio su lutto e nostalgia”,nel quale vengono toccati temi delicati e di solito rimossi dalla gente in modo propositivo che aiutano a vivere dando adeguato senso ai ricordi.

Il titolo è suggestivo ed evocativo e dà, al tempo stesso, la chiave di lettura al tutto.

Le stelle morte sono un fenomeno astrofisico. La luce di quelle stelle è morta milioni di anni fa. Giunge a noi come ricordo di una grande luminosità che fu.

E lo stesso accade in ogni nostra vita, contrassegnata da amore e morte che si impongono anche a chi vorrebbe rifiutarne la presenza.

Con la morte, si interrompe il rapporto con una persona amata o stimata e, inizialmente, ci si strugge pensando che non udremo più la sua voce, non osserveremo più atteggiamenti e modi di fare, non saremo più arricchiti dalla cara immagine di chi era entrato per natura o per amore nella nostra vita.

La nostalgia di chi non c’è più non deve diventare rimpianto regressivo ma nostalgia – gratitudine per ciò che, la persona scomparsa, ha rappresentato per noi.

Siamo fatti per vivere. I lutti ci gettano nel vuoto. Ma in quella disperazione c’è la luce del passato.

Pare che, Lacan, morendo abbia esclamato: “Scompaio”.

Con ciò, coglieva la dissoluzione della sua figura e, non a caso, poco prima aveva chiuso la sua Scuola.

Quando diciamo “scomparso”, vogliamo intendere che non ci saranno più incontri. Solo il ricordo gratificante di anni passati insieme.

Ma non ci saranno più contatti.

Roland Barthes, in “Frammenti di un discorso amoroso”, ha descritto il momento come l’allontanamento nello spazio di due navicelle che non possono più intercettare i messaggi dell’una verso l’altra.

Il ricordo, alimentato da una nostalgia densa di gratitudine, non è inutile e paralizzante ma è pieno di una malinconia energetica che aiuta a vivere per sé e per gli altri, finché non saremo interrotti.

Non sappiamo dove andrà lo scomparso.

Ognuno, in base alle sue convinzioni, ha idee diverse al riguardo. Ma lo scomparso vivrà ancora finché vivremo noi che gli abbiamo voluto bene.

Certo, alziamo gli occhi al cielo e, le stelle, sembrano sapere. Per questo le studiamo. Per questo le studiava il Principe di Salina nel “Gattopardo”.

Della persona che non c’è più, specie se giovane, ricordiamo il sorriso, specchio dell’animo.

In un’estate giovanile, Rosario La Ciura, isolatosi in un posto marino non frequentato, si produce in uno studio bestiale per superare il durissimo esame universitario. Declama, come un invasato, versi del greco antico a voce alta. La barca oscilla vistosamente e il giovane nota aggrappata alla barca una fanciulla con un sorriso e degli occhi che non paiono umani.

È una sirena, metà donna e, sotto l’inguine, pesce.

Questo incontro d’amore fa rivivere, al giovane, il mondo antico e, la sirena, diventa il tramite per un’avventura amorosa selvaggia e autentica nella sua essenzialità.

Questo amore giovanile ed estivo sconvolge l’animo del futuro grande ellenista che non sentirà attrazione per le donnine moderne, destinate alla rapida dissoluzione.

Il racconto, al giornalista Corbera, si svolge su un piano magico ed erotico.

Il momento chiave sta nelle parole della sirena: “Non avere paura, non credere alle dicerie, noi non uccidiamo nessuno. Noi amiamo!”

Un giorno, però, Lighea dirà addio e al giovane resta questa esperienza unica di amore (e di morte).

Giunto al culmine di riconoscimenti mondiali, Rosario La Ciura sa come ricongiungersi con questo “Paradiso all’improvviso” e, la caduta dalla nave, è un grande ricongiungimento: amore e morte, ancora una volta sono uniti in modo inestricabile.

In una poesia di ventidue anni fa un padre nella sua “lucida follia” chiedeva al figliolo sottratto da incidente ai familiari e amicali affetti:

“Alle stelle, forse, alle stelle

regalerai, ora, il tuo generoso sorriso?

… Non so, davvero non so

Ma, tra le stelle, non mi smarrirò”

L’elaborazione drammaturgica di Luca Zingaretti (con musiche composte da Germano Mazzocchetti) si conclude con la splendida, intensa lettura interpretativa di “Ho sceso, dandoti il braccio” che Eugenio Montale ha dedicato alla moglie.

È proprio vero, “La saggezza non è il risultato di un’educazione, ma del tentativo, per una vita intera, di acquisirla” (Albert Einstein)

Ho sceso, dandoti il braccio

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

La nostalgia, è il letto secco del fiume che continua a ricordarsi le carezze dell’acqua. (Fabrizio Caramagna)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta