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Ho avuto sonno, ad ogni ora del giorno e voglia di frullato, ad ogni ora della notte. Ho cercato il suo nome, in quelli delle strade… ho convissuto con la nausea, ho sentito il mio cuore battere con il suo. Ho visto il mio corpo cambiare. Ho riempito il “suo” mondo, di colore. Ho contato le ore e i minuti… ho avuto paura di non essere “pronta”. Ho trattenuto, nel mio, anche il suo respiro. Ho messo tutta la forza che avevo e tutto, solo per questo momento!

Non è frequente che uno spot pubblicitario ci induca a riflettere sui valori della vita. In questo caso, l’ENEL invita a pensare su quanta energia possa mettersi in gioco, in un solo momento. Nell’istante in cui, ad esempio, abbracci per la prima volta il frutto di tanto amore, impegno e sacrificio. Prova ad immaginare un figlio. Ora pensa al “tuo”, di figlio…

Accade che, un giorno, lo saluti come sempre, magari distrattamente e, mentre tu sei affaccendato nelle cose di sempre, lui va incontro ad un destino che tu non avevi preventivato. Perché, di solito, se tutto va come deve andare, sono i genitori a “salutare” i figli, per lasciarli depositari di un testimone che porteranno, dopo di loro.

Accade che attendi il suo ritorno. Di cosa parlerete?

Quello che non ho detto…

Qualcuno sostiene che quanto di quello che non hai detto, diventa uno spazio senza fine tra quello che saresti dovuto essere e ciò che non ti è riuscito di diventare perché, schiavo dei tuoi pregiudizi e dell’orgoglio che ne consegue, diventi bravo a farti del male, deludendo e ferendo la sensibilità altrui. Oltre che la tua.

Tanto ho tempo, posso spiegarmi…

Accade, invece che il tuo telefono squilli e, mentre la tua coscienza si rifiuta di accettare una realtà non prevista (e non voluta), dall’altra parte qualcuno ti dice quello che non avresti mai voluto sentire…

Da zero a cento, in questo momento, quanto contano gli affanni che, fino ad un attimo prima, ritenevi sufficienti a colorare di grigio la tua giornata? 

Come glielo spieghi, ora, a tuo figlio che, questa mattina, avresti tanto voluto abbracciarlo per testimoniargli tutto il tuo amore? Riuscirai a perdonarti per tutto quello che avresti voluto e non hai saputo fare?

Questa volta il gioco è finito. E non ci sarà alcun reset.

Lo sai qual è il vero problema? Che passiamo, senza neanche farci caso, dall’età in cui si dice, “Un giorno farò così!”, all’età in cui si dice “E’ andata così!”

Pur profondendo il massimo impegno professionale, non amo particolarmente il ruolo di consulente tecnico, perché mi porta a dover redigere perizie per conto del giudice o di un avvocato di parte.

Nulla di particolare contro questo tipo di lavoro ma il fatto è, che di solito, mi allontana dai miei studi di ricerca interiore.

Non è stato così, però, per un incarico ricevuto un po’ di tempo fa.

Due (persone) per quattro (occhi smarriti). Questa è un’occasione che difficilmente si ripresenterà. La possibilità di scoprire quanto, ancora, non ho espresso di me nel rispetto, anche, delle persone a me più care. 

Il senso della vita, gli errori, le cose che non rifarei, quello che non ho saputo spiegare. Quello che avrei voluto e ciò che ho meritato di ottenere.

Se tu fossi qui…

Se tu fossi qui, adesso io saprei cosa fare; se tu fossi qui, non mi nasconderei davanti agli occhi tuoi; ti direi quello che non ti ho detto mai, sceglierei i momenti giusti da ricordare, se tu fossi qui. A volte basta una parola per stare bene a metà, fra l’emozione e la paura d’amarsi, in questa eternità. Se tu fossi qui, io non impazzirei per questo amore; se tu fossi qui, io non mi perderei davanti alla realtà (Pino Daniele).

Cerco da tempo il senso della domanda: “Io, chi sono?”

Quelli che non se la pongono o, peggio, la sfuggono… non possono capire e, magari pensano che sono esagerato o, addirittura “eccentrico” (eufemismo che sostituisce termini come “esagerato”, “fissato” e così via). Io, però, imperterrito, sento il dovere di continuare.

Vado così. 

Mi trascina la forza della vita. Ma non in maniera indiscriminata. Io non la amo in quanto tale ma, piuttosto, per ciò che mi può dare attraverso l’impegno senza sosta.

Io non cerco, sempre, le strade migliori ma, sicuramente, quelle chiare: semplici come una goccia d’acqua che ti sorride e complesse come il bisogno di capire cosa c’è al di là. Quelle che vale la pena di percorrere.

Ho attraversato corsie, veloci nastri d’asfalto, ho cercato il brivido delle accelerazioni lineari per continuare, anche contro le sponde d’angolo. Oggi ho voglia di fermarmi. Almeno per un po’. Per capire, comprendermi, accudirmi. E ripartire.

Dico di si, ma non assecondo: capisco e rispetto.

Ho scelto una professione che ha finito per essere il “mio” modo di essere.

A dirla tutta, io amo la mia vita alla stregua di come un grande artista, di nome Gianfranco Iannuzzo, ha amato la sua Girgenti. Se chiudo gli occhi e cambio qualche sostantivo… proprio quello che avrei voluto raccontarmi.

Non sempre ho amato ciò che mi circonda perché, spesso ne ho avuto paura.

Ho nascosto i tentennamenti cercando di uscirmene sbattendo la porta finendo, spesso, per ritornare sui miei passi, dopo aver riconsiderato i miei errori, per continuare il cammino di esplorazione e riannodando tutti i fili di una memoria che, altrimenti sarebbe andrebbe perduta per sempre.

Ho respirato, nell’aria del mattino, i profumi che parlavano di “casa” e, come nella bellissima immagine di copertina, le apparenti (e ordinate) geometrie offrivano spazi, immensi, di quel mare che ho sempre vissuto come un incrocio obbligato per cui passano tutte quelle emozioni che indicano i confini della mia anima: invisibili ma incancellabili.

Scelgo adesso, oppure mai

Preferisco decidere da che parte stare, senza aspettare che mi venga indicato. Non chino la testa. No. Meglio lottare per sapere qual è il mondo per cui vale la pena morire!

Poi un pensiero si fa strada. Non posso rimandare.

Mi tuffo nell’archivio della mia coscienza a caccia di sentenze da riconsiderare, ragnatele di ricordi da non spolverare, mille idee chiuse a chiave in un cassetto. Cerco il mio sguardo profondo, senza tarli a fare il nido ma foto di bambini che sfogliano pagine d’inverno.

In fondo, la primavera è solo un capitolo più avanti.

In apparenza sono più arido, rispetto a prima. In realtà, ho giustamente pagato per tutto quello che ha fatto soffrire chi mi ha amato. Ironia della sorte, per troppo attaccamento, da parte mia. Ora, non voglio più commettere gli stessi reati emotivi. E preferisco il silenzio.

Meraviglioso, il silenzio! Eppure, noi moderni, forse perché lo identifichiamo con la morte, lo evitiamo e ne abbiamo paura. Abbiamo perso l’abitudine a stare zitti, a stare soli. Se abbiamo un problema, corriamo a frastornarci con qualche rumore o a mischiarci ad una folla, anziché metterci, in silenzio, a riflettere.. uno sbaglio. Perché il silenzio è l’esperienza originaria dell’uomo. Solo nel silenzio è possibile tornare in sintonia con noi stessi e ritrovare il legame fra il nostro corpo e tutto quello ci sta dietro.

Un Re va da un famoso rishi della foresta.

”Dimmi, qual è la Natura del sé?”

Il vecchio lo guarda e non risponde.Il Re ripete la domanda. Il rishi non risponde. Il Re chiede, di nuovo, la stessa cosa ma, il rishi, ancora una volta, resta muto.

”Vecchio, io chiedo e tu non rispondi!”

”Tre volte ti ho risposto ma, tu, non stai a sentire. La natura del sé, è il silenzio!”

(Tiziano Terzani – un altro giro di giostra Tea Ed.)

Ogni tanto mi perdo, come mi capita, quando ci torno, nei vicoli della Roma antica. Ma poi mi basta ascoltare “le voci di dentro”, individuando in me una via d’uscita. Sono sempre giunto dove volevo andare. Come, non importa. Fa parte del gioco. E così intendo continuare. Non ho paura di fallire.

La mano del mio babbo è duemila volte più grande della mia. Con un passo, fa cento metri. Se non sta attento, batte la testa nei tetti delle case, perché è molto alto. È buono e mi vuole bene. Vuole bene anche alla mamma. Però un po’ di più a me. Il mio babbo non si lamenta mai. Io da grande voglio essere come lui.

Una lettera di speranza trovata nella soffitta di una casa antica, dove ho trascorso parte della mia infanzia. In stile gotico, stretta e alta, con molte stanze e cunicoli. Esattamente come il nostro mondo inconsapevole. Forse anche per questo ho amato le immersioni subacquee, col gorgoglìo delle bolle che trasmettono in superficie le tue emozioni, cadenzate, ritmiche, adeguate.

Ho avuto raramente, la tentazione di finirla qua. Ma solo quando la paura di una parabola in rapida, eccessiva discesa, mi ha indotto a vedermi chiuso nel ghetto delle disillusioni con, tra le mani, quel bicchiere della forza, ormai pericolosamente vuoto.

Non temo il tempo che scivola su di me, quanto, piuttosto, gli sguardi vuoti e i silenzi di chi si è arreso troppo facilmente. Questo, non lo posso accettare. A quel punto, meglio chinarsi in avanti per facilitare l’ineluttabile. Mi piace dipingere il sole. Che, in fondo è una stella di fotoni, in grado di spingere il battito del cuore e gli impulsi del cervello. Va bene anche la corrente alternata. Anzi, meglio. È forte chi cade… ma si rialza ogni volta.

Amo il blu, come quello del mare (che, poi, è lo stesso del cielo); ho, spesso, scelto il verde, come l’automobile che ho amato di più; in fondo preferisco il rosso, emoglobina: ossigeno propulsivo. Uso il grigio, per un necessario distacco.

Questo è l’andare diuturno di chi sa che, controvento, per ogni passo in più si stringono nel pugno nuovi sogni e obbiettivi da accarezzare… ma avendo, per contro, sempre meno ossigeno nei serbatoi. 

Questa è la mia vita, divisa tra le parole degli altri (spesso come sassi, precisi, aguzzi e pronti da scagliare, su una faccia non sempre invulnerabile) e i pensieri che, come nuvole sospese, diventano frecce infuocate che il vento e la perizia sanno indirizzare.

In mezzo, muscoli da capitano e sudore da mediano di spinta, per agire sulle fasce in direzione uguale e contraria, giusto per scartare di lato e cadere, a volte. Per rialzarsi. Ogni volta

Attimi. Io che ho poca nostalgia del passato, a volte cedo alle lusinghe di quel suo dolce richiamo. È da lui che si ha l’idea di aver vissuto davvero. Ho provato il senso del dolore, quello vero, che attenua l’allegria dell’uomo “bambino”.

Spesso provo a raccontarmi ma non sono ancora riuscito a costruire la trama per intero. Attimi. Mi guardo dal di fuori come fossi due persone. Osservo le mie mani, la loro “espressione” e sento che, in quel movimento, io ci sono. 

Ascolto spesso gente confusa. È vero. Ma solo perché, in genere, devi essere “come un uomo, come un santo, come un Dio”. Ci sono sempre i “come” ma non ci siamo “noi”. Quante volte vivo in mezzo agli altri ma con la voglia di star solo, nella stanza dei miei pensieri. Quelle volte, a volte, non conta ciò che penso. È troppo più importante essere “io”. Senza troppa confusione.

Mi hanno spiegato che amiamo, veramente, chi ci aiuta a portare a “compimento” il rapporto più controverso che abbiamo vissuto: quello con nostra madre, che si porta dietro un immenso “lutto originario”.

Mi hanno invitato a rimandare il gusto del piacere, posponendolo a quello del dovere che, quindi, perversamente, ha finito per diventare, esso stesso, un piacere. Creandomi una vita di attesa…

Attimi. Per me, che un giorno, in uno sguardo mi sono perso in te e ho amato i tuoi capelli, il tuo sorriso, il tuo portamento signorile. Cosa mi resta? Attimi. Troppo poco.

Non mi riesce di cucire un bel vestito, soltanto con dei ritagli. Razionalmente, valorizzo ogni scampolo ma, mettendo in gioco i miei sentimenti, divento un bulimico emozionale. Non ho problemi nella digestione.

Quando arrivammo sul crinale, quel che ci si parò davanti, ci tolse il respiro: lungo l’intero orizzonte, al di sopra di un oceano di monti e valli, al di sopra di banchi di nuvole, ancor più in alto, là dove il mondo sembrava ormai finito, svettavano, a perdita d’occhio, montagne impervie che luccicava sullo sfondo d’azzurro. “Dica la verità, quelle sono dipinte?” dissi, rivolto al Vecchio che ci aspettava, fermo, davanti al portico di casa. Fece un gran risata. “Certo, è il Divino artista a farle. E ogni giorno, me le dipinge diverse”. Poi, guardandomi fisso, aggiunse: “La verità? Perché, voi, siete in cerca della verità?”

Come potevamo dire di no?

“La verità è come la bellezza. Non ha limiti. Non può essere imprigionata nelle parole o nelle forme. La verità è senza fine”. (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – Tea Ed.)

Capita. Vele ferme, assenza di vento, cercando qualcosa da inventare, con un solo giorno di autonomia e l’obiettivo a poco più del passo della tua gamba. Capita. Giorni di quelli che vorresti non avere mai, senza nulla da scrivere sul tuo personale libro di bordo, a galleggiare su inutili dubbi.

Giorni, che “io non ci sto!”. Notti buie a scandire questo tempo, maledetto e senza Storia.

E poi, finalmente, accorgerti di avere ragione, felice di ciò che sei e, solo a quel punto, disponibile all’intesa, senza museruola alle ambizioni. Capita anche di smarrirti, fino a rischiare di non amarti più. Con la stanchezza lì, a suggerirti di staccare la spina.

Spesso, chi ci vuole bene, ci invita a non demordere nel cercare di realizzare i sogni di quando eravamo bambini. Io credo, invece, che, nel momento in cui riusciamo a vivere nella maniera più giusta e sensata, saranno “quei” sogni a venire verso di noi, così da non doversi più affannare ma, soltanto sederci e assaporare…

Buon giorno. Una fine non è mai tale. È sempre un inizio di qualcosa che ancora non conosciamo. Ma la fine d’anno è più banale. Sappiamo già che ci aspetta. Dipenderà da noi tentare di cambiare la tanta prosa quotidiana che tenterà di sommergerci in qualche favilla di poesia. Se riusciremo in questo, nel 2023, avremo la luce necessaria per continuare il nostro faticoso cammino.

Un abbraccio affettuoso e grazie di cuore per avermi inserito in questo tandem editoriale che intellettualmente mi tiene sveglio e mi dà l’illusione di essere ancora utile a qualcosa. Mentre la “natura naturans” mi ammonisce benevolmente: ricordati, mi dice, che di primavere ne hai già 77 e molti di questi anni sono stati autunno e una decina, certo, crudo inverno. Sii saggio e sappi che ogni giorno sarà non una saldezza ma, tramite le avvisaglie del corpo, un avvicinarsi all’interruzione.

Lo so, lo so, risponderò, ma lo spirito mi dice di non tener conto di questo e di obbligare il corpo a dare tutto quel che ha.

Non avrò vergogna a raschiare nel barile in cerca degli ultimi fuochi della vitalità.

È una visione amara e folle. Ma chi con precisione certosina è in grado di separare “follia” da “banale normalità”?

Mentre scrivo, sento la campana di Sant’Aniello che chiama a raccolta chi vorrà andare. Da laico non mi sento chiamato ma invitato a riflettere di come sia vasto il pensiero umano in tutte le sue riflessioni e notare che come senzienti siamo arrivati a molto. Solo che dopo il molto che ci hanno consegnato che ci sarà?

Il non saperlo, però, non ci avvilirà. Resterà in noi sempre la curiosità di guardare al di là della ostacolante collina che ogni giorno sporcherà il nostro orizzonte.

Affettuosi auguri

Queste, le profonde, commoventi, riflessioni del mio Amico Enzo Ferraro.

Ecco, è come il dono più bello, quello che mi sussurra:

Hai mai provato a guardare il cielo con gli occhi di un pittore? Secondo te, cosa pensa, di fronte al mare, un viaggiatore che va alla ricerca di una nuova libertà? Sei riuscito a concretizzare qualcuno dei programmi che ti eri proposto, nei momenti in cui, hai maggiormente creduto in te stesso? Quali che siano le risposte, a te che hai avuto la pazienza di leggermi fin qui, voglio proporre un esperimento:

Immagina la felicità che ti pervade, ogni volta che riesci in qualcosa per cui hai sudato e sofferto…

Immagina una carezza che, dalla nuca, scenda fino ai tuoi talloni…

Immagina un bacio che assaggi ogni parte di te…

Immagina il sorriso di chi è felice di rivederti…

Immagina l’abbraccio di chi non vede l’ora di accoglierti…

Che sensazioni hai vissuto, in quel breve istante in cui ti sei connesso col tuo “Io” più profondo? 

Grazie, Enzo, questa è la vita che vorrei.

Può essere, anche, quella di chiunque. L’importante, è riuscire a meritarla.

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