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Le prime scuole furono quelle degli Scribi che sorsero in seguito all’invenzione della scrittura, avvenuta circa 4000 anni a.C. Tali scuole, diffusesi in Mesopotamia, Egitto, Cina, erano per pochi, infatti, servivano a preparare i funzionari, cioè coloro che partecipavano alla vita politica ed economica negli importanti agglomerati urbani.

Per la maggioranza della popolazione, invece, continuava a valere il vecchio tipo di educazione, familiare e artigiana, basato sulla trasmissione orale e sull’apprendimento di attività pratiche.

Con il progredire della società, le categorie emergenti in relazione alla diffusione del sapere e della cultura furono: i Magistrati e i Sacerdoti, che erano al servizio del Re.

I Magistrati furono i primi storici e letterati, mentre i Sacerdoti furono i primi Astronomi e Alchimisti.

Con queste categorie, nacque la cultura scritta e al servizio della cultura scritta nacquero le scuole.

La scrittura parve, dapprima, quasi opera di magia, avente carattere sacro. Tutto concorreva a rendere la scrittura un’abilità riservata a pochi addetti, perché difficile e complicata. Con l’invenzione del nuovo alfabeto Fenicio, invece, di 600/700 segni come nell’accadico, (la forma più antica di scrittura cuneiforme, che i Babilonesi e gli Assiri avevano appreso dagli Accad, cioè il popolo che abitava le regioni del Tigri e dell’Eufrate) ne erano sufficienti solo 24.

La scrittura assai facilitata, dunque, non sarebbe più stata appannaggio per quei pochi appartenenti alle classi privilegiate, ma sarebbe diventata alla portata di tutti.

Prima che ciò avvenisse, tuttavia, sarebbero passati molti secoli.

I metodi educativi e la loro evoluzione storica.

La metodologia educativa si occupa, non solo, dei modi di trasmissione dei contenuti dell’apprendimento, ma anche di tutte le altre componenti che mirano alla formazione dell’individuo, e sottintende, di conseguenza, un’organizzazione complessiva che prevede luoghi, oggetti, momenti, attività, persone ed esperienze specifiche.

Naturalmente l’efficacia di un metodo, dipende dalla sua continuità e dalla sua integralità, cioè dalla capacità di adattarsi alle varie fasi dell’età evolutiva e ai vari aspetti della personalità.

La storia dell’educazione rivela reciproca dipendenza tra Pedagogia, metodi educativi e vita sociale.

Fin dai tempi più antichi, l’educazione si era modellata sulla società. Allora non esisteva certo una pedagogia come scienza dell’educazione, ma esisteva una sorta di pedagogia inconsapevole e implicita, che si tramandava con poche regole di comportamento verso i più piccoli e verso i ragazzi fino all’adolescenza, età, dopo la quale, si entrava rapidamente nel mondo adulto.

I bambini imparavano a parlare, ascoltavano i racconti e i miti, apprendevano le tradizioni del gruppo e le fondamentali regole di condotta, acquisivano alcune abilità manuali e i più grandicelli badavano ai minori, le bambine, invece, iniziavano precocemente quella vita che avrebbero più o meno condotto per sempre.

I ragazzi, spesso, si riunivano in gruppi, dapprima per gioco e poi per attività comuni. Il contenuto dei giochi era competitivo e consisteva nel mettere in luce le proprie abilità.

Un’educazione di questo tipo, aveva come obiettivo, quello di mettere ciascuno in grado di inserirsi, appena possibile, per età e per capacità, nella società esistente:

  • sia in senso di socializzazione, perché ognuno doveva diventare un membro efficiente nel gruppo;
  • sia di inculturazione, perché per far questo, ognuno doveva apprendere alcune tecniche materiali, usi e costumi, tradizioni e idee che costituivano la cultura del popolo di appartenenza.

Il metodo di questa pedagogia, era il metodo dell’esempio, ossia la ripetizione, l’imitazione. Chi non sa segue le orme di chi già sa, per risparmiare errori, fatiche e tempo.

Ma nonostante il quadro idealizzato, per i due terzi della popolazione, che era costituita da schiavi, contadini, artigiani e mercanti, non c’era altra prospettiva che continuare il lavoro dei padri, imitandolo e possibilmente migliorandolo.

Per il restante terzo, che si potrebbe dire privilegiato, era previsto un rigoroso periodo di formazione e ciò riguardava i maschi, obbligati ad una preparazione, innanzitutto militare, e, poi relativa all’amministrazione della collettività, che comprendeva la conoscenza delle leggi, la partecipazione alle assemblee, ecc.

La famosa educazione Spartana.

Quella spartana era una società rigidamente stratificata in classi, basata sui soggetti più forti, (gli altri venivano lasciati morire).

La città di Sparta, infatti, non aveva mura né fortificazioni importanti, giacché le mura erano costituite dai “petti dei suoi cittadini”.

Ai fanciulli si chiedeva di competere senza lamenti e di sopportare freddo, caldo e disagi; dopo i sette anni, cominciava l’addestramento severo, veniva insegnato a leggere ed a scrivere, ma l’educazione letteraria si limitava a poche memorie degli eroi e ad inni patriottici, accompagnati da sobria musica idonea a rincuorare e non a corrompere. Verso i sedici/ venti anni iniziava il vero addestramento militare, con la vita in caserma, dove si era costretti a dormire su un giaciglio di canne ed a cibarsi di un rancio che nulla concedeva al gusto.

Si dice che le madri spartane, consegnando lo scudo al figlio giovinetto, gli dicessero di tornar dalla battaglia “o con questo o su di questo”, perché perdere lo scudo e le armi era somma vergogna, mentre lo scudo poteva essere usato come lettiga funebre per l’eroe morto in battaglia.

Platone, di sentimenti aristocratici, non poteva nascondere il suo giudizio critico sulle ristrettezze dell’educazione spartana, che, secondo il filosofo, era forgiatrice di caratteri più che di intelligenze.

L’educazione ad Atene.

Mentre l’educazione spartana, con le sue durezze plasmava i caratteri, quella ateniese tendeva a forgiare le intelligenze.

L’ambiente ateniese si presentava diverso da quello spartano. Sparta, infatti, aveva l’aspetto di un grosso villaggio, fra il verde e le pietre grigie delle colline. Atene, invece, era una splendida città, adagiata fra il colle dell’Acropoli, incoronata dai templi e dal colle del Licabetto, vasta e popolosa, aperta sul mare ed ai traffici. Ma oltre all’aspetto esterno, Atene presentava un ambiente sociale e culturale diverso, perché più ricco di scambi culturali con altri popoli. Anche l’ideale di Atene era stato aristocratico, ma più nel senso di una costante tendenza all’eccellenza che nel senso di una chiusura Oligarchica (olìgoi = i pochi). C’erano state, anche, in Atene grandi famiglie tendenti a monopolizzare il potere, ma la diversa struttura della società non aveva consentito il diffondersi di tale fenomeno.

Per lunghi periodi, Atene ebbe governi democratici.

In questo mondo più ricco e vario, era possibile anche coltivare le arti della pace; gli ateniesi furono i primi del mondo antico a circolare non armati, perché concepivano la guerra al servizio della pace.

L’educazione per i fanciulli ateniesi iniziava a sette anni. Lasciati i giochi e i quartieri delle donne, iniziava la loro formazione, che comprendeva la lettura, la scrittura su una tavoletta di legno coperta di cera affumicata. Sulla tavoletta, il maestro graffiava leggermente la cera, tracciando i segni che lo scolaro poi ripassava più a fondo, copiava e imparava a memoria. L’istruzione prevedeva, infine, lo studio dei Poemi Omerici.

Al maestro di grammatica si affiancava il maestro di cetra e di ginnastica, perché la musica e la ginnastica conducevano all’armonia dell’anima e del corpo. La danza rappresentava la raggiunta armonia psicofisica.

Tutto ciò rappresentava, per i greci dell’età classica, il fine della “Paidèia”, cioè dell’educazione propriamente detta.

Esso rimarrà ben oltre l’età ellenistica e romana, fino al rinascimento italiano ed ai tempi moderni, come modello insuperato di educazione “Umanistica”.

Dott.ssa Oretta Lanternari – 23 febbraio 2011

Bibliografia

G. Reale – D. Antiseri – M. Laeng, Filosofi e Pedagogia dalle Origini ad Oggi, Editrice la Scuola, Vol. I°, 1985.

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