Posted on

La speranza è un sogno ad occhi aperti. (Aristotele)

Quante speranze “a vuoto” nella mia vita, finora, dottore! Forse avrei bisogno di diventare un po’ più realistica. C’è un legame fra la speranza, l’illusione e la delusione?

Certo… e anche molto “lineare”.

E come posso fare, per saperne di più?

Lavorare, come facciamo di solito quando vogliamo risolvere un problema: capire i significati dei termini cui ci riferiamo, “attendere” reazioni emotive che nascono in conseguenza di quello su cui ci siamo “interrogando” e dar loro la possibilità di “esprimersi”. Solo così, si avrà la possibilità di rimuovere interferenze accumulate negli anni e che non ci hanno consentito di esprimerci al meglio delle nostre potenzialità, sia fisiche che mentali.

Va bene, “decodifichiamo” dal vocabolario. Il termine “speranza” deriva dal francese e dal latino e significa “aspettativa di un cambiamento futuro in bene”.

Quindi, aspettativa positiva di un cambiamento futuro. Andiamo avanti.

Illusione” deriva dal latino (illusus = ingannare) e significa “rappresentazione ingannevole proveniente da errore dei sensi o da artifizi altrui”. Infine, il termine “delusione” deriva dal latino (delusionem = burla) e identifica “il mandare a vuoto, il venir meno alle aspettative”.

Iniziamo dal concetto di speranza: quale stato d’animo rispecchia e come andrebbe vissuto?

Vorrei fare una premessa: molto dipende da come ci è stato reso possibile imparare a “costruire” un corretto esame di realtà e di come abbiamo imparato a poter fare a meno di ciò che si chiama “ideale dell’Io” (illusione, appunto).

La speranza è uno stato d’animo di attesa nei confronti di qualcosa di positivo che ci auguriamo che accada, ben consapevoli che non dipenderà da noi, ma da eventi esterni; finché qualcosa può dipendere dal nostro operato, piuttosto che sperare, è meglio agire. Quando, invece, ciò è al di fuori delle nostre decisioni e del nostro modo di agire, allora si può parlare “correttamente” di speranza.

Ad esempio, un contadino può sperare che le piogge saranno sufficienti ad irrigare i propri campi; egli non potrà controllare le precipitazioni meteorologiche però, al tempo stesso, se si attivasse solo la speranza, nel caso in cui le aspettative andassero deluse, lui perderebbe tutti i suoi beni.

E cosa si dovrebbe fare, quindi?

Per esempio, cercare di capire cosa ricavare dall’esperienza. Per esempio, l’utilità di creare un sistema di irrigazione artificiale, sostitutiva.

Qual è l’atteggiamento mentale più corretto, in questi casi? Io mi arrabbio in situazioni analoghe.

Qui, entrano in gioco molti fattori. Giusto per citarne qualcuno: gli esempi comportamentali cui ha assistito fin da piccola. Inoltre, è importante quanto abbia, eventualmente, imparato a sviluppare sensi di colpa per non essere riuscita a rispettare aspettative altrui. Da questo (ma non solo da questo) determiniamo il nostro rapporto con le frustrazioni.

Al netto di quello di cui le ho appena parlato, la posizione più adeguata è quella più realistica, che tenga conto degli effettivi bisogni che è necessario appagare. Dopo essersi resi conto di aver fatto tutto il possibile, non è più il caso di arrabbiarsi, perché basta sapere in anticipo cosa potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi.

Nel caso precedente del contadino, se per lui quell’attività è l’unica fonte di guadagno e non ha soldi per procurarsi un impianto sostitutivo di irrigazione, come deve fare?

La Storia ci insegna che si arriva a capire (subendo o accettando) che si sopravvive imparando ad adattarsi alle necessità e alle difficoltà. Per cui, se gli sarà possibile, sarà opportuno rendersi conto del fatto che Deve sapere che, per quell’anno, “rischierà” (perché non è certa, l’assenza di precipitazioni piovose) e l’anno successivo, se le cose saranno andate bene, dovrà investire una parte dei guadagni per crearsi le condizioni di una minore dipendenza dagli eventi atmosferici.

Al tempo stesso, dovrà essere ben consapevole che, nel caso in cui le cose non andranno come lui s’aspetta, dovrà risolvere diversamente, magari emigrando in altri lavori, ruoli o… Paesi.

Prenderlo in considerazione per tempo, ti mette nella condizione di decidere se agire o meno in un determinato settore lavorativo e, anche, di stabilire che tipo di contromisure adottare nel caso di eventi negativi. Così non resterai deluso o, quantomeno, non ti coglieranno impreparato gli accadimenti frustranti.

Ma il rischio di non raggiungere una buona qualità di vita, non comporta disturbi proprio per il mancato appagamento?

Nel tempo, non immediatamente. La vita è fatta di priorità. Se lei, quando prende una decisione riguardante delle scelte da fare carica il momento di eccessiva tensione, perché lega a quell’accadimento la sua qualità della vita e la sua salute, presente e futura, avrà sovradimensionato il tutto. Bisogna, invece, ridurre l’importanza di un accadimento: si sceglie e, nella peggiore delle ipotesi, si ricomincia daccapo.

Io pensavo che, per poter parlare di condizione di buona salute, si dovesse fare riferimento ad una situazione di benessere psicofisico, che richiede anche qualche comodità; perciò ritenevo che chi non appaga anche i bisogni primari ma non indispensabili, vive male.

A lungo andare può compromettere la sua salute se non appaga anche i bisogni primari: Ma, ripeto, a lungo andare. Non è un discorso immediato.

Ed io, non ho dei disturbi?

Ha dei disturbi non perché non sia riuscita a soddisfare completamente i bisogni primari necessari allo sviluppo di un’identità corretta e matura, ma perché è cresciuta in un ambiente dove ha imparato ad allarmarsi oltre misura, per una reazione eccessiva ad eventi, tutto sommato, non così rilevanti.

Ma, anche in quell’ambiente, non è che non mangiano e non dormono, eppure producono tanti disturbi..

…per un modo errato di affrontare la vita.

Quindi si può vivere, col minimo indispensabile, a dimensione corretta?

L’importante è non perdere di vista la percezione delle proprie aspirazioni, dei propri “sogni”, della ricerca del senso della vita che si individua (anche e soprattutto) attraverso il lavoro e l’Amore.

Però, se una persona è abituata a vivere con certi standard di vita, nel momento in cui la condizione peggiora, non starà male per lo scombussolamento?

È una questione di immaturità e di cattive abitudini. Se vendessimo l’apparecchio con cui registriamo questi dialoghi, col ricavato, un bambino, in Africa, potrebbe vaccinarsi contro una malattia virale; eppure noi non lo consideriamo neanche un grande prodotto, tanto che io pensavo di cambiarlo! Quanti maglioni slabbrati ci rifiutiamo di indossare, eppure sarebbero indispensabili per chi soffre il freddo e non ha nulla con cui coprirsi!

Per tornare al ragionamento di partenza da cui è scaturito tutto il discorso, illudersi, comunque, è sbagliato?

L’illusione è il risultato di valutazioni scorrette riguardanti la previsione di un evento.

Ad esempio, io mi illudevo di poter trarre vantaggio in tempi rapidi da una nuova collaborazione lavorativa.

La previsione era sbagliata, in relazione alla sua scarsa o nulla esperienza in merito.

Ma per miei errori di valutazione?

Per suoi errori di valutazione legati all’assenza di esperienza nel settore specifico. Oggi sarebbe in grado di stabilire dei tempi più lunghi. La scorsa volta parlavamo comunque dell’utilità di questo tipo di operazioni, che potrebbe tornarle utile anche per altri versi, ma lo sta scoprendo giorno per giorno.

Lo potrà insegnare ai suoi figli. Lei sta inventando tutto da sola, non ha avuto alle spalle un predecessore e, quindi, sta raggiungendo dei traguardi, pagandoli cari, perché ci impatta con la sua pelle. Cercare di raggiungere dei buoni traguardi professionali senza avere alle spalle esperienze e conoscenze, costa molto e richiede dei tempi lunghi.

Ma gli altri come fanno?

Per saperlo dovrebbe chiedere a loro. Lei sta scoprendo che molti commettono imbrogli che rasentano o superano l’aspetto penale. Anche quello è legato all’apprendimento, perché l’hanno dovuto imparare. Comunque, se lei 4 anni fa avesse avuto l’esperienza di oggi, attualmente avrebbe ottenuto risultati più che lusinghieri.

Sì, però, io ho scoperto, in modo indiretto, certi sistemi lavorativi che non immaginavo e di cui nessuno mi ha mai parlato!

E sarebbe stato come riferirle: “Io, in genere, il sabato sera, vado in chiesa, apro la cassetta delle offerte e prendo i soldi che vi trovo!”.

Certo, però non immaginavo proprio che certi sistemi non proprio regolari fossero così generalizzati!

Ma perché lei è vissuta in una famiglia composta da persone rigide, precise, tendenzialmente oneste nel rapporto con gli altri, disoneste nel rapporto con se stesse e, quindi, non le sono arrivati sentori del vivere comune. Per concludere il “trittico” (Speranze, Illusioni e Delusioni), la delusione, invece, è la condizione legata a quello che si prova quando c’è un saldo negativo tra l’aspettativa ed il risultato.

Questo può dipendere sia da manchevolezze proprie che del mondo esterno?

In realtà, la manchevolezza principale è, comunque, dovuta al non essersi saputi dimensionare correttamente rispetto alle possibilità di esito negativo.

Per evitare di trovarsi in queste condizioni, allora, non bisogna fare valutazioni illusorie. Una persona che ha poca esperienza, come può sperare di riuscirci?

Intanto, è bene fare le esperienze e, di conseguenza, pagare prezzi alti. Per come si trovava lei, come apprendimenti familiari, avrebbe potuto fare solo l’impiegata… e con un certo tipo di frustrazioni, per cui non sarebbe rimasta contenta lo stesso. La libera professione è quella che dà i maggiori vantaggi, ma bisogna imparare a “professarla”.

Colloquio intenso: come possiamo salutarci?

Con un aforisma che ci aiuta a capire le motivazioni in base alle quali percepiamo il tempo a nostra disposizione, in maniera molto relativa: “Il tempo che abbiamo quotidianamente a nostra disposizione è elastico: le passioni che sentiamo lo espandono, quelle che ispiriamo lo contraggono; e l’abitudine riempie quello che rimane”

Molto profondo, mi è piaciuto!

E allora gliene cito un altro, più in tema con l’argomento di oggi: “Promettiamo in base alle nostre speranze e manteniamo le promesse in base ai nostri timori” (François de La Rochefoucauld).

Inoltre, se ha pazienza, potrei raccontarle un aneddoto “immaginato” da Luciano de Crescenzo, nel suo “Caffè sospeso”

SOCRATE – “Mio caro Fedone, è da questa mattina che discutiamo se la fame sia per l’uomo un bene o un male: io penso che essa stimoli la creatività e tu invece la temi come il peggior nemico per la vita dello spirito. Ora, tanto per restare in argomento, che ne diresti di placare il nostro appetito con un buon pasto alla trattoria di Sarambos?”

FEDONE – “Senza dover camminare fino a fuori le mura, forse potremmo, da buoni filosofi, consumare un pasto veloce proprio in questa zona”.

SOCRATE – “Che io sappia, qui dove siamo, non c’è alcuna taverna che possa darci qualche galletta di maza o un mezzo chilo di sardine”.

FEDONE – “Guarda davanti a te, o maestro, e ti accorgerai che in pratica siamo già arrivati: la vedi tu quella fila di ragazzi che aspetta lungo il marciapiede? Ebbene, sappi che essi stanno per entrare in un luogo dove si mangia senza mai indugiare al piacere”.

SOCRATE – “Sono lieto che tra i giovani sia sorta una corrente di pensiero contro le lusinghe della tavola”.

FEDONE – “Codesto nuovo modo di cibarsi è chiamato fast food, espressione barbara che che nei Paesi ad di là delle colonne di Ercole sta per “cibo veloce”. Si dice che in tutto il Paese siano più cinquecentomila i ristoranti che hanno già deciso di trasformare i loro locali in fast food”-

SOCRATE – “E cosa offrirebbero da mangiare?”

FEDONE – “In genere carne tritata ai ferri e patate fritte”.

SOCRATE – “Per quanto mi riguarda, non ho paura di provare, mio buon Fedone, uniamoci ordunque ai giovani e speriamo che gli Dei apprezzino il nostro sacrificio!”

FEDONE – “Ti avviso, o Socrate, che, non essendo tu allenato a codesto tipo di alimentazione, potresti in seguito avere problemi di carattere digestivo!”

SOCRATE – “Non dire sciocchezze, o Fedone! Durante l’assedio di Potidea mangiai cose ben più disgustose. Piuttosto dimmi: che cos’è questo strano odore che impregna l’aria?”

FEDONE – “In vertà lo ignoro: potrebbe essere l’olio fritto delle french fries o di sudoredei clienti, ma tu maestro non dartene pensiero giacché è proprio l’odore che avverti ad attirare i giovani nel fast food”.

SOCRATE – “Ho capito: questi giovanotti devono essere tutti filosofi cinici. Ricordo che una sera invitai il loro capo Antistene a un banchetto in casa di Agatone: si trattava di un pranzo di nozze dove venivano servite anguille del lago Copaide e vino di Rodi. Ebbene, sai tu cosa mi rispose il vecchio pazzo? Che avrebbe preferito morire, piuttosto che provare del piacere!”

FEDONE – “Quello è sempre stato un esaltato”.

SOCRATE – “Forse è come tu dici, o Fedone, però io adesso, negli occhi del giovane che mi sta accanto, scorgo lastessa voglia di soffrire che vedi sul volto di Antistene. Sono così sicuro di me che vorrei sincerarmene subito…” “Dimmi, mio giovane amico: perché mai vuoi mortificare il tuo gusto? Sei forse anche tu un seguace di Antistene?”

RAGAZZO – “De chi?”

SOCRATE – “Di Antistene di Atene, il cinico”.

RAGAZZO – “Il batterista degli Squallor?”

SOCRATE – “Ora che ci penso, Antistene potrebbe anche essere stato uno Squallor da ragazzo, ma non è di questo che voglio parlare. Ciò che invece vorrei sapere è perché tu, che dall’aspetto sembri un benestante, preferisci soffrire insieme ai tuoi amici”.

RAGAZZO– “E a te che te frega?!”

SOCRATE – “Dai tuoi modi aggressivi deduco che sei un cinico”.

RAGAZZO – ” ‘A Coma Profondo, ma chi è ‘sto Antistene?! E lassame perde’! “

SOCRATE – “Ho paura, caro Fedone, che ci siamo sbagliati di grosso: costoro non sono filosofi. Sono solo giovani schiavi, ridotti in questo stato pietoso da un feroce trattato di pace. Evidentemente gli americani, allorché vinsero la Seconda guerra mondiale, imposero delle condizioni che noi ignoriamo e che ancora oggi gravano sui popoli vinti!”

FEDONE – “Fino a questo punto!”

SOCRATE – “D’altra parte anche gli ateniesi hanno sempre infierito sugli sconfitti con pene e umiliazioni. Agli egineti fu amputato il pollice destro perché potessero manegiare il remo ma non la spada e alla gente di Samo venne impresso sulla fronte con il ferro rovente il disegno di un piede, per ricordare loro che sarebbero sempre vissuti sotto il tallone di Atene. Al confronto cosa vuoi che siano cinquemila fast food, un paio di Rambo, una bevanda gassata e gli applausi registrati delle soap opera?”

(Luciano de Crescenzo – Il caffè sospeso -Mondadori 2008 )