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 Non è vero che le parole non contano. Le parole accarezzano, graffiano e qualche volta uccidono. Poi ci sono quelle che mancano, che fanno male per non essere mai state pronunciate… (Angelo De Pascalis)

Cari Lettori, il Tempo è calcolato coi numeri, contato in secondi e, sotto forma di esperienza, “eternato, coi racconti, negli anni. La Vita (che, pure, il Tempo “misura”), invece, è un’altra cosa: si valuta in battiti del cuore, si conta con le emozioni e si racconta attraverso il linguaggio dell’anima.

C’è chi sostiene che, simbolicamente, rappresentiamo possibilità senza confini diventando, al tempo stesso, responsabili “infiniti” di queste possibilità.

Allora, forse, è per questo che (un po’ come le tartarughe o le lumachine) portiamo con noi la casa della nostra anima. E quindi, il nostro esistenziale, diviene una simbolica ricerca di arricchimento e di abbellimento di questa casa “interiore”.

E sulla suggestione di queste osservazioni, ci siamo venuti sempre più convincendo che la mitezza è il modus vivendi et operandi più efficace e denso di risultati in un mondo pur così violento e sanguigno nel quale ci è capitato di fare il nostro “involontario” viaggio sulla terra.

Qualcuno sorriderà e penserà che una tale proposta non è “adatta” ad una così controversa epoca storica. E invece ci sforzeremo, in modo quanto più possibile sintetico, di mostrare che è, forse, l’unica per rapportarsi con la realtà che ci circonda e fortemente ci condiziona nel bene e nel male.

Il termine “mite” deriva dal latino Mitis (che significa “tenero, maturo”) e connota la persona che ha carattere dolce e umano, disposto alla pazienza e all’indulgenza.

Il mite, quindi, si pone in maniera antitetica a tante tipologie umane con cui ogni giorno veniamo a contatto. Il mite non è un arrogante né un prepotente, non è neanche un “remissivo” o un umile.

La differenza tra mitezza e umiltà è netta e sostanziale.

L’umile può essere considerato un testimone, nobilissimo e senza speranza, di questo mondo, il mite, invece, è l’anticipatore di un mondo migliore.

L’umiltà è qualcosa che riguarda se stessi, la mitezza è un modo di vivere verso l’altro.

Il mite, inoltre, si distingue anche dal tollerante.

La tolleranza ha, infatti, sempre limiti, per così dire, obbligati e prestabiliti,

la mitezza è “una donazione senza limiti”. La mitezza porta, con sé, la semplicità.

Se non si è semplici, non si può essere miti. Ma semplicità non è ingenuità.

Certo, non è facile essere miti nel rapportarsi con gli altri, anche e in particolare con gli uomini spesso “gommosi” delle Istituzioni e del Potere.

I tempi non sono tranquilli: tutt’altro.

Per questo può far sorridere la proposta di una convivenza mite basata sul pluralismo e sul rifiuto di ogni spirito di sopraffazione.

“L’uomo talvolta crede di essere stato creato per dominare, per dirigere. Ma si  sbaglia: egli è solamente parte del tutto. La sua funzione non è quella di  sfruttare, bensì è quella di sorvegliare, di essere un amministratore. L’uomo  non ha né potere, né privilegi. Ha solamente responsabilità”. (Orens Lyons Onondaga)

La profondità concettuale della mitezza sta proprio nella sua “provocatio” e nel suo essere una virtù che propone un nuovo “abito” comportamentale per contribuire a rendere più abitabile e vivibile “questa aiuola che ci fa tanto feroci”.

La mitezza, per la forza morale e agonistica che porta con sé, si stacca totalmente dalla rassegnazione e si pone come consapevole impegno nel rifiutare l’ingiustizia e la violenza, mantenendo la calma, sforzandosi di leggere la realtà con equilibrio e dispiegando altresì disinteresse, generosità, solidarietà, integrità morale.

Importante è sottolineare che la mitezza è una virtù che tende ad andare in profondità e si presenta come virtù sociale e acquista valore ed evidenza solo alla presenza dell’altro.

La strada verso il cambiamento, che non ha scorciatoie credibili, passa dalla mitezza. La mitezza è il contrario dell’arroganza nella quale ci imbattiamo tutti i giorni.

Il mite si sforza però di muoversi nel pessimismo dell’intelligenza, avendo come forza propulsiva l’ottimismo della volontà. Il mite, è bene sottolinearlo, non ostenta nulla. Chi ostenta anche una virtù, infatti, finisce col muoversi nel campo che vuole sconfiggere e mutare.

Il mite non chiede, né pretende, reciprocità alcuna.

Il suo è un abito mentale, un nuovo modo di porsi nei riguardi degli altri. Il mite è ilare perché è intimamente convinto che il mondo da lui vagheggiato sarà migliore di quello in cui è costretto a vivere.

“Strano, vagare nella nebbia! Pieno di amici mi appariva il mondo quando era la mia vita ancora chiara; adesso che la nebbia cala non ne vedo più alcuno. Saggio non è nessuno che non conosca il buio che, lieve e implacabile, lo separa da tutti. Strano, vagare nella nebbia! Vivere è solitudine. Nessun essere conosce l’altro, ognuno è solo”. (Hermann Hesse)

Cari Lettori, dicono che, “Domani”, saremo ciò che, “Oggi”, abbiamo scelto di essere…

Affermano che la vita sia un dono che il Cielo ci offre come tempo di passaggio verso destinazioni infinite..

A queste condizioni, nascere e morire diventano due punti fermi intorno ai quali ruota il cerchio di una Vita troppo grande per essere pienamente compresa se non traendo spunto dall’osservare quei libri di Storia che sono le Stelle da cui, tutti, deriviamo e che ci consentono, sul piano puramente energetico di sentire il proprio “infinito” nella migliore mitezza.

Ecco il motivo per cui, a noi…

Piacerebbe vivere in una Società non condizionata dalla paura, in cui leader politici e banche centrali, spingano l’economia attraverso la formazione di una classe dirigente capace di restare tetragona ai colpi di ventura e, nel contempo, in grado di individuare aree di effettivo bisogno, da colmare attraverso linee di prodotti e servizi mirati. 

Piacerebbe conoscere “amministratori dei destini del mondo” non afflitti dall’ansia di venire scalzati da persone più “fresche”, più “attente” e più innovative. 

Piacerebbe ascoltare le coscienze “dire” che, con il miglioramento della Scuola, si crea un “ambiente” ottimale e si vive “positivo”! 

Piacerebbe osservare i popoli opulenti della Società del terzo millennio in grado di capire che il fenomeno dell’immigrazione di massa possa diventare un’occasione di scambio proficuo, utile e costruttivo, attraverso la predisposizione di strumenti atti a favorire un’integrazione concreta che induca i poveri della nuova era a “donarci” le loro conoscenze ed il patrimonio della propria cultura, per crescere e migliorare insieme. 

Piacerebbe sapere che esiste, da qualche parte nel mondo, qualcuno in grado di trasformare, per davvero, il concetto di solidarietà da mero assistenzialismo a punto di partenza per la valorizzazione delle risorse umane (soprattutto delle persone in difficoltà) per ridurre il fenomeno della dipendenza ed aumentare l’autonomia propositiva e realizzativa.

“Ogni evento, anche nella nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altri migliaia di effetti”. Tiziano Terzani

La Storia ci ha insegnato che, spesso, ogni volta che un grande uomo è all’opera, ipocriti ed invidiosi, cercano di abbattere il suo sistema di “governo” per potere “saccheggiare” ciò che ha costruito. 

La saggezza popolare ci tramanda “adagi” che spiegano come protezionismo e salvaguardia di privilegi, al riparo del motto “vinca il migliore”, non hanno mai contribuito alla crescita di un popolo, ma sono stati perpetrati alla stregua di “sacre scritture”. 

Bisognerebbe spiegare agli egocentrici che i “portatori sani” di ideali fuori dal comune rappresentano l’arma in più per affrontare e vincere una impegnativa scommessa: contribuire alla preparazione di una Società che “cresce”. 

Gli si dovrebbe dire che la paura di non essere all’altezza del compito, è solo il risultato di un cattivo rapporto con la propria identità. 

Li si potrebbe tranquillizzare chiarendo loro che la scorretta competizione con gli altri, lo stress da ansia prestazionale, l’invidia per i successi altrui, la carenza di sicurezza, la crisi dell’autostima, possono essere affrontate e risolte attraverso un processo di crescita maturativa che porta ad una collaborazione, in un gruppo in cui ognuno è leader di sé, ma pronto alla gregarietà per il raggiungimento di obiettivi comuni. 

Si potrebbe continuare, auspicando un maggior spirito di competizione con se stessi tendente al superamento dei propri limiti perché, in Natura, non sopravvive il più forte, ma chi elabora la migliore strategia. E allora, grazie a corrette capacità di riflessione, si possono elaborare progetti mirati per vivere e lavorare in conciliazione e benessere…nel rispetto di una solidale politica sociale ma, soprattutto, di un pizzico di “sano” egoismo! 

A quel punto, rinfrancati dalla consapevolezza che ognuno può diventare artefice positivo del proprio destino, comincerebbero a sostenere la necessità di mettere al servizio di tutti, le ricerche, le conoscenze e gli studi realizzati costantemente da chi vuole contribuire al conseguimento di nobili obiettivi, per consentire ad ogni uomo e ad ogni donna di poter imparare a mostrare le capacità più evolute. 

Quando tutto questo accadrà, ci ritroveremo, insieme, ad appagare le nostre necessità senza inibire i processi evolutivi di un contesto proiettato verso traguardi sempre più pragmaticamente tesi ad un miglioramento della qualità della vita, in un mondo perfetto.

Cari Lettori, in conclusione di questo editoriale dedicato ai puri di spirito che possono permettersi di trasmettere la mitezza senza tentennamenti, l’invito è quello di soffermarsi sulla significativa immagine di copertina e, chiudendo gli occhi, ascoltare questa bellissima canzone dal titolo evocativo: Guardastelle.

Siamo certi che le emozioni imprimeranno, sulla retina, colori senza pari.

Da qui, mi piace calcolare le distanze

Da qui, proiettarmi nello spazio siderale

Da qui, da qui, da milioni ad occhio e croce di persone

Da qui, ho conosciuto la costellazione

Da qui, senza mai guardare dentro un cannocchiale

Perché la mia vista vede, è una lente naturale

E ho fantasia e posso anche volare

La fantasia lo sai ti fa volare

Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te

Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle, il buio più non c’è

Da qui, mi stacco da terra ad immaginare

Da qui, chissà se c’è un mistero grande da scoprire

Da qui, una libera preghiera per una pace da inventare

Ho fantasia e posso anche volare

La fantasia, lo sai ti fa volare

Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te

Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle, bruciano per te

Sotto il cielo la terra, ogni uomo una stella

Una speranza sospesa, tra la scienza e la guerra

Una speranza sospesa, tra la scienza e la guerra

Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te

Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle, è un cielo di fiammelle…

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere suggerito molti degli interessanti aforismi inseriti nell’articolo.