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Questo articolo / intervista ha visto la sua prima stesura nel lontano 2005. A distanza di tanto tempo, il bisogno di fornire (soprattutto a me stesso) nuove risposte alle tante nuove domande, mi ha indotto a rimetterci mano.

BUONA LETTURA

“I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere le vittime e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé medesimo, e che, se dice il contrario, mente”. (Marcel Proust)

Caro dottore, questa volta vorrei cogliere l’occasione della ricorrenza del giorno della Memoria per affrontare un tema controverso, che ho sempre ritenuto un aspetto di sottomissione: il rispetto! Ritengo, infatti che se gli esseri umani riuscissero a “respirare” questo termine fondamentale, le dinamiche fra i popoli, quelle interpersonali in genere e quelle interiori, sarebbero meno conflittuali e più inclini all’accoglienza empatica….

Effettivamente, questo termine dà adito ad interpretazioni che possono allontanare da principi di realtà. Grazie per aver posto l’accento su un elemento “guida” che potrebbe essere ritenuto un “faro” nella foresta della vita. Della tristissima ricorrenza del 27 gennaio ho avuto di parlare in un apposito editoriale, per cui diviene opportuno concentrarci su questo tema, nella maniera più ampia e oggettiva possibile.

Cominciamo subito. Che cosa significa la parola rispetto?

Volendo andare indietro nel tempo, possiamo renderci conto del fatto che, gli Antichi Romani, hanno unito la particella “Re” (che vuol dire, “nuovamente”) e “Spicere” (che significa, “guardare”) con l’intenzione, attraverso il neologismo (di allora) “Respìcere”, di ammonire i superficiali che pretendevano di esprimere giudizi su qualcosa o qualcuno, a prestare la dovuta attenzione, prima di trarre conclusioni affrettate.

A distanza di tanto tempo, con questo termine, la lingua Italiana intende un sentimento di riguardo e considerazione nei confronti di persona ritenuta degna. Le faccio presente che, per essere degni di rispetto, bisogna essere persone normali e per bene, non c’è bisogno di eccellere in qualche campo, basta non essere maleducati e opprimenti.

Una questione di carattere, quindi?

Si, anche se non dobbiamo dimenticare che l’organizzazione e il funzionamento della nostra personalità, sono germogli potenziali contenuti all’interno di un seme che va curato per come Madre natura richiederebbe.

In che senso?

Nel senso che, i genitori (o chi ne fa le veci) hanno il compito di trasmettere al bambino (fin da quando è piccolissimo) la percezione di essere accettato e amato “incondizionatamente” ma, contestualmente (man mano che cresce), anche il principio delle regole in maniera che capisca la necessità di oscillare (nei suoi pensieri e nei suoi comportamenti) fra la voglia di appagare i propri desideri e il senso di responsabilità nel giusto condursi all’interno del rapporto con se stesso e di quello con gli altri. In fondo, queste sono le basi del rispetto.

Quindi, rispetto e stima non sono la stessa cosa?

Il più insignificante presente ha, rispetto al più insignificante passato, il vantaggio della realtà. (Arthur Schopenhauer)

É necessario, proprio in ossequio alle indicazioni riportate nei moderni dizionari, che questi due termini vadano considerati in maniera diversa. Noi abbiamo l’obbligo di imparare a rispettare chiunque ma, la stessa cosa, non vale per la stima che, invece, bisogna conquistarla in base a degli indici di positività e costruttività che tengono conto sia di principi morali che etici: la stima, infatti, (fornendo la base dell’autostima corretta) consente di dare un valore ad una persona, dal momento che risulta da una valutazione delle qualità percepite in maniera corretta, utili per sé e non dannose per gli altri. In sostanza, una considerazione positiva generale che un essere umano può avere di chi se lo merita, ovviamente.

Nessun uomo impegnato a fare una cosa molto difficile (e a farla molto bene), perde mai il rispetto di se stesso. (George Bernard Shaw)

Scusi per la divagazione… ma quali sono gli indici di stimabilità di un individuo?

È necessaria una importanza premessa: la stima, intesa proprio come “valore” che diamo alla nostra persona, si determina attraverso un passaggio elementare ma fondamentale: quello del “rispecchiamento”. Praticamente, lo sguardo della madre che (in momenti importanti come, ad esempio, quello dell’allattamento) si sintonizza con quello (un po’ perso) del proprio bambino e gli trasmette, come per magia, tutto il contenuto emotivo del proprio essere stata bambina e, partendo dal piace che ne è derivato, fa “sentire” il pargolo, l’elemento più importante al mondo.

Proprio in funzione di ciò, chi ha avuto la “fortuna” di ottenere questo “incrocio di sguardi”, si sentirà portatore di valori importanti, per cui avvertirà la necessità di essere disponibile, ad esempio a:

  • applicarsi con serietà ad un impegno di cui ci si è assunti la responsabilità;
  • superare i propri limiti personali (in termini caratteriali, di abitudini, di apprendimento, etc.),  per andare “oltre” senza propugnare ostentazione;
  • rendersi conto (in termini di realtà e in assenza di autoesaltazione) della validità che il proprio operato rappresenta all’interno del contesto di relazioni in cui ci si trova a vivere e ad operare;

In conclusione, migliorare se stesso, con costanza e perseveranza.

Questo, ovviamente, non può non tenere conto di come una persona è stata messa in condizione di esprimere al meglio i potenziali di cui dispone, a proposito di:

  • Identità
  • Uso di difese psicologiche o mature
  • Stato dell’esame di realtà, senza distorsioni percettive
  • Qualità delle relazioni oggettuali (intepersonali)
  • Qualità dell’aggressività
  • Valori morali
  • Modalità di adattamento

Infine, non può essere trascurato, sempre in termini di apprezzamento e stimabilità, quello che si chiama “Valutazione Globale del Funzionamento”, nel settore del Lavoro, degli Affetti e della cura di sé.

Vediamo se ho capito. Se una persona produce qualcosa di buono è stimabile ma, a prescindere da quello che fa nella vita, è da rispettare almeno fin quando non ci danneggia.

Un uomo è rispettabile solo in quanto porta rispetto. (Ralph Waldo Emerson)

Alla sua impeccabile affermazione, possiamo aggiungere che il rispetto, però, dovrebbe essere biunivoco. Due persone che si incontrano si dovrebbero rispettare vicendevolmente. Infatti, il termine rispetto, sul vocabolario etimologico della lingua italiana, deriva dal latino e significa, “aver considerazione di se stessi (prima) e degli altri (subito dopo)”; questo rientra in un concetto di egoismo positivo (che è parente stretto dell’altruismo), perché molte volte noi impariamo ad osservare delle regole che governano il rapporto con gli altri ma, altrettanto spesso, ci dimentichiamo della nostra persona. Ad esempio, il termine dignità, connota nobiltà d’animo, che induce a rifuggire da ogni bassezza per riuscire a darsi un valore.

E grazie a questo valore (che sarebbe auspicabile riuscire a riconoscere anche nelle azioni altrui), che accettiamo l’idea di porre attenzione e rispetto anche nei confronti di chi, appare come un essere insignificante ma che, ad un’osservazione più approfondita, scopriamo, magari, essere un eroe (piccolo o grande) in quella guerra quotidiana che combattiamo per evitare di smarrire il bandolo della motivazione esistenziale.

Nella comunicazione umana, quando nasce il rispetto?

In virtù di quanto esposto prima, nel momento che osserviamo i nostri caregiver fondamentali (i genitori e chiunque si sia preso cura di noi in maniera continuativa e significativa) e li imitiamo soprattutto, sentendoci rispettati. Per cui, l’auspicio è quello di ritrovarci, da piccoli, in un ambiente favorente in tal senso. Ovviamente, ci sarà da percorrere il cammino di crescita dal narcisismo iniziale che, se da una parte ci fa sentire importanti, dall’altra porta a considerarci “più” importanti degli altri

Tornando alla domanda iniziale, posso dirle che, per quanto riguarda il rapporto con noi stessi, lapidariamente posso concludere che, il rispetto, nasce con noi, lo perdiamo a seguito di condizionamenti autolesionistici e possiamo recuperarlo, attraverso un percorso di “ricrescita” personale; nel rapporto con gli altri, il rispetto si appalesa, quando raggiungiamo uno stadio maturo che ci aiuta ad uscire dalla base egocentrica narcisisitica (in base a cui, siamo convinti di essere al centro del Mondo) e ci faccia capire che, avendo bisogno di chi ci sta intorno, non possiamo calpestarlo o usarlo senza riguardi!

Infatti noi esistiamo in quanto altri, con noi e prima di noi, hanno contribuito a creare le condizioni più idonee.

Come si sviluppa il rispetto?

In un certo qual modo, ho già risposto prima. Il rispetto, si sviluppa attraverso corretti principi (acquisiti con l’Apprendimento mediante, soprattutto, buoni esempi di vita) per cui, più si impara a diventare egoisti in maniera positiva e non prevaricante (in grado di cogliere opportunità senza diventare opportunisti), più (e meglio) si rispetta se stessi e gli altri.

Quanti tipi di rispetto esistono?

Fondamentalmente uno che presenta, però, tre sfaccettature in grado di inquadrare i momenti diversi della comunicazione: il rispetto verso se stessi, il rispetto verso un altro individuo e il rispetto nei confronti della collettività. All’interno di questo trittico, si configurano tutte le possibili forme di relazione: famiglia, amicizia, lavoro, etc.

Abbiamo parlato di rispetto e di Egoismo Positivo, possiamo approfondire?

Attraverso l’egoismo positivo ci si rispetta adeguatamente. In pratica, il rispetto è conseguenza dell’egoismo positivo. Quest’ultimo è il “motore” che determina la necessità di rispettare se stessi e gli altri. Se io ho chiaro il principio della necessità di tutelare me stesso attraverso anche il trattar bene gli altri, creo le condizioni di “crescita tutelata”, al riparo dagli attacchi altrui.

Io, in verità, ero convinta che rispettare gli altri significasse sottomettersi a loro!

In pratica si considerano le esigenze degli altri e si confrontano alle proprie generando uno modello di vita in base al quale, su ogni scelta possibile prevale il non danneggiare e, ovviamente, il non essere danneggiati.

Che ruolo occupa il rispetto, nello sviluppo della personalità?

Dal momento che “rispettare” significa trovarsi in diretto rapporto con la logica ( e con tutto il potenziale geneticamente innato), con i buoni elaborati di pensiero e un idoneo  funzionamento dell’IO (che prevede la mediazione fra ciò che si vuole e la valutazione in termini di fattibilità, nel rispetto delle “Legg”)i: a queste condizioni saremo in grado di seguire una strada corretta come se fosse un filo di Arianna, (quello che si stende quando si entra in un labirinto e offre una guida sicura per potersi muovere). Il corretto rispetto di sé, comporta, per forza la necessità di cercare le migliori forme di adattamento con gli altri, senza vincitori né vinti. Ecco, a queste condizioni, avremo, finalmente, delle persone veramente mature.

Esisterà un rapporto fra il Rispetto e la Libertà personale?

Libertà trae la sua radice etimologica dal latino ed equivale alla condizione di fare ciò che piace e che fa star bene. Però, siccome è un po’ rischioso dare ad ognuno la possibilità di comportarsi come più gli aggrada, perchè potrebbe tramutarsi in un danno nei confronti altrui, la condizione di persona libera, richiede molta maturità. Questo è alla base di ogni principio democratico,

La Libertà è un valore per il quale si è sempre lottato molto e ci si è sacrificato altrettanto ma, nella Società occidentale in cui viviamo, possiamo ritenerci persone “Libere” e capaci di seguire la strada del Rispetto reciproco?

Io sono un uomo libero solo in quanto riconosco l’umanità e la libertà di tutti gli uomini che mi circondano. Rispettando la loro umanità, rispetto la mia. (Michail Bakunin)

Dall’errato rapporto col concetto di libertà nascono problematiche che, dal semplice osservare la vita con occhi meno “sorridenti”, possono sfociare in conflittualità gravi per se stessi e per gli altri.

Che vuol dire?

Ognuno di noi è sottoposto a delle regole da rispettare, sia sociali che naturali. Per quanto riguarda le prime, è facile rendersi conto di quali siano le codificazioni con cui incontrarsi o scontrarsi (a seconda dei momenti e delle circostanze): per non correre rischi, basta essere edotti sulle leggi più comuni e sui principi più elementari del galateo.

La “libertà” sta dietro un portale con un uscio dischiuso. Tutto sta a vedere quanto pesa questo portone, quanta energia abbiamo a disposizione, quanto crediamo in noi stessi e quanto siamo in grado di goderci, egoisticamente (ma senza danneggiare nessuno), la nostra presenza.

Un’ultima cosa. Nel proprio lavoro, l’analista in che modo usa il rispetto?

Nel riconoscere, nell’altro, un portatore di richieste inespresse che potrebbero essere esternate anche in maniera apparentemente incongrua. Inoltre, una manifestazione importante di rispetto consiste nel mostrare pazienza nei confronti del proprio analizzato quando, quest’ultimo, evidenzia (mediante comportamenti consapevoli o meno) la necessità del rispetto di una tempistica che, a volte, potrebbe essere (erroneamente) intesa come lenta e “snervante”.

Prima di salutarci, vorrei sottoporre alla sua attenzione qualche altra considerazione per “sentire”, ancora meglio, il termine “Rispetto”…

Perché gli uomini si trovino a dover condurre in porto quell’inestricabile avventura che connota gli elementi salienti della parabola esistenziale, ancora non ci è dato saperlo.

Siamo giunti alla conclusione, invece, che, nel tempo a nostra disposizione, è necessario realizzarsi mediante un lavoro che ci riconosca un’adeguata dignità, delle relazioni affettive e una buona gestione del proprio tempo libero nel quale prendersi cura di sè. Come dimenticare, a tal proposito, (e lo riporto spesso, nei miei dialoghi) la fenomenale lezione di Tonino Capone (filosofo elettrauto) e dei suoi memorabili 24 gettoni di libertà?

“La vita quotidiana” dice Tonino “è come il Monopoli: all’inizio ogni giocatore riceve dal banco ventiquattro gettoni di libertà, un gettone per ogni ora del giorno.

Il gioco consiste nel saperli spendere nel modo migliore.

Noi per vivere abbiamo bisogno di due cose: di un po’ di soldi, per essere indipendenti dal punto di vista economico e di un po’ di affetto, per superare indenni i momenti di solitudine. Queste due cose però non le regala nessuno: te le devi comprare e te le fanno pagare a caro prezzo con ore e ore di libertà.

I meridionali, per esempio, sono portati a desiderare il posto sicuro, lo stipendio fisso tutti i ventisette. Non dico che si tratti di un mestiere stressante, tutt’altro, però in termini di libertà l’impiego è un impegno tra i più costosi che esistono: otto ore al giorno significano otto gettoni da pagare, senza considerare gli straordinari e un eventuale secondo lavoro.

E veniamo all’amore: anche in questo caso l’uomo si orienta per una sistemazione di tutto riposo, si trova moglie e spera di ottenere da lei quello stipendio affettivo di cui sente il bisogno.

Pure questa soluzione ha il suo costo: nella migliore delle ipotesi sono altre ore di libertà che vanno a farsi benedire. La moglie aspetta il marito che appena finito l’orario di ufficio e lo sequestra. A questo punto facciamoci i conti: otto ore per il lavoro, sei per la moglie, ne restano ancora dieci e bisogna dormire, lavarsi, mangiare e andare su e giù con la macchina tra la casa e il posto di lavoro” 

(Luciano de Crescenzo Storia della filosofia greca, Mondadori Editore – MILANO 1986).

Si ringrazia Erminia Acri, per la formulazione delle interessanti e motivanti domande senza le quali, questo lavoro difficilmente avrebbe visto la luce.

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