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L’Universo non è più quello di un tempo. E non è ciò che sembra (Franz Wilczek)”.

Uscendo dal garage di casa mia, mentre pregusto la freschezza del mattino con un bel giro in bicicletta, ho incontrato l’inquilino del terzo piano che, approfittando del ruolo cui, a volte, mi “condanna” la mia professione di psicoterapeuta, si è sfogato lamentandosi per tutte le beghe che affliggono ogni Condominio che si rispetti.

Salvo, poi, non vedere alcuno, alle riunioni all’uopo dedicate…

Ripreso il manubrio in mano, pedalo in direzione del mio studio (Neverland Group, a Castrolibero) osservando la bellezza nascosta anche nelle più piccole manifestazioni di Madre Natura e rifletto sui motivi che spingono le persone ad impiegare male il tempo, esercitandosi in attività antitetiche come quella del parassitismo e, l’altra (necessaria ma “distraente”) che porta ad attivare i processi di disinfestazione.

La domanda che più frequentemente ascolto, è:  “Ma perché, ogni volta che si prova a realizzare un qualsiasi programma esistenziale, qualcuno complica quello che mi propongo di fare?” 

L’assonanza che, a quel punto, si genera nella mia mente crea un rapporto biunivoco fra i lestofanti di varia natura e quell’insetto succhialinfa che, gli esperti, chiamano “parassita”. 

In ognuno di noi, c’è un altro che non conosciamo.  (Carl Gustav Jung)

Chi ha inventato le complicazioni?

Sicuramente il buon Dio (o chi per lui). E non per sadismo, ovviamente. Semmai, con la diligenza del buon Padre di famiglia, costui ha messo le cose in maniera tale da evitare l’impigrimento per assenza di problemi.

A proposito di Padre (e di frustrazioni costruttive), la Psicoanalisi ha celebrato questo “ruolo” (o, per meglio dire, “funzione” che, in quanto tale è priva di connotazione di “genere” ma è fondamentale e complementare a quella materna) attraverso il meccanismo Edipico, ben sintetizzato dai “tre tempi” di Jacques Lacan.

Il primo tempo, della confusione simbiotica fra Madre e Bambino, con la prima che tende (simbolicamente) a voler riportare dentro di se’ il figlio e, quest’ultimo che la vorrebbe (altrettanto simbolicamente) “vampirizzare”…

Il secondo tempo, dell’apparizione traumatica e “interdittiva” della parola del Padre, che (simbolicamente) “risveglia” la diade madre – bambino dal “sonno incestuoso” con due “moniti” ben chiari: uno rivolto alla Madre (“Non puoi divorare il tuo frutto!”) e uno rivolto al figlio (“Non puoi tornare da dove sei venuto!”) che non mortificano tale relazione ma la liberano da perversioni incestuose…

Il terzo tempo, della “donazione” paterna, che si pone a cavallo fra il “Desiderio” e la “Legge” rendendo possibile, nel figlio, la reazione di binari di regole non imposte ma capite e accettate

Ricorda che non ti insegnerò nulla che non sai dentro, ti farò solo ricordare …! (Tony, Navigatore dell’Universo – dal film Gattaca)

LA PAROLA PATERNA, PERÒ, NON GODE DI UN’AUTORITÀ AUTONOMA MA NECESSITA DI UN RICONOSCIMENTO AUTOREVOLE DELLA MADRE CHE LA VALIDA (O MENO) ATTRAVERSO COME LA SPIEGA AL PROPRIO FIGLIO.

Quindi, per ben funzionare, una frustrazione (o una “complicazione”) ha bisogno di un “doppio codice” (interdizione e donazione) in cui, il senso di “pigra beatitudine” concessa dalla Madre ha avuto un ruolo enorme: se la Madre, ovviamente, è stata all’altezza del compito.

Mi presi in mano e mi guarii io stesso.  Scoprii, per così dire, di nuovo la vita, me stesso incluso. Gustai tutte le cose buone, anche le piccole cose. Feci della mia volontà di vita, la mia filosofia.  Un uomo può indovinare i rimedi contro le ferite e utilizzare a suo vantaggio le disavventure.  Ciò che non lo uccide, lo rende più forte. (Friedrich Wilhelm Nietzsche, Ecce Homo)

Come spesso dico (e scrivo), di questo se ne erano (a loro tempo) accorti gli antichi romani che pensando ai bisogni da appagare, li definivano  come “attenzione e cura” ma, anche, come impedimento: una sorte di codice biunivoco abbastanza vicino al concetto di “doppia afflizione”.

Perchè “doppia”?

La prima, riguarda il “sentire” la carenza; la seconda viene fuori, prepotente, nel momento in cui ci accorgiamo che, per andare incontro all’obiettivo, dopo aver stabilito la strategia adeguata, dobbiamo fare i conti con gli ostacoli che si mettono in mezzo fra noi e la risoluzione del problema.

Però, Madre Natura, ci ha messo in condizione di poter fronteggiare situazioni del genere. Infatti, la nostra attività di pensiero si esplica, principalmente, mediante il meccanismo della riflessione. E riflettere significa, testualmente, esaminare e valutare attentamente per assemblare idee, prelevando dati parcellari dal deposito della memoria, per studiare le migliori strategie al fine di risolvere i problemi che nascono quando si cerca di appagare un bisogno e si tende verso il mondo del Desiderio inteso come un ritorno alle Leggi Universali di realizzazione.

Desiderare, infatti viene dal latino “siderare”, cioè “fissare attentamente le stelle”, da cui (come simbolicamente ricavare dalla suggestiva immagine di copertina) trarre ispirazione in quanto libri di Storia, dal momento che, prima di diventare ciò che siamo, eravamo ammassi di plasma incandescente (stelle, appunto)

E infatti, il parassita ha una funzione biologica e sociale. Nelle piante, così come nelle altre forme viventi, si sviluppano reazioni per rinforzarsi e fronteggiare il problema (estinguendosi, in caso di fallimento, a favore di presenze più idonee).

Dal punto di vista psicologico, adattarsi al meglio o compensare le frustrazioni, genera un’implementazione di aspetti che conducono verso eccellenze che, se da un lato squilibrano (ad ogni aspetto positivo, sviluppato in eccesso rispetto alla media, corrisponde un lato deficitario compensatorio), dall’altra fungono da stimolo per la continuazione del progresso (ognuno ammira, infatti, i cosiddetti geni, ignorando i loro aspetti retrivi).

Il disagio e la paura

Non si possono, tuttavia, ignorare tutti quei fattori di destabilizzazione che alimentano insicurezze di vario genere. Come si può restare, ad esempio, indifferenti, all’osservazione di come si sia distrutto il “modello Sanità”, in gran parte d’Italia per cui, chi si ammala, spesso (e soprattutto in questo periodo pandemico), è meglio che attenda il compimento del proprio destino in casa propria (fra mura amiche) piuttosto che avventurarsi nei gironi ospedalieri di Dantesca memoria?

Come non lasciarsi condizionare dai pettegolezzi sadici che filtrano dal mondo dell’economia, in base ai quali, per l’ingordigia di qualcuno, piangeranno i figli della maggior parte dei cittadini onesti?

“L’arroganza che deriva dall’età deve essere placata dall’insegnamento della giovinezza”. (Edmund Burke)

Quanti Soloni farebbero meglio a ritirarsi, dignitosamente!

Come fare per imparare ad osservare la realtà nella maniera più completa? Nella mia corteccia associativa (quella che raccorda le informazioni giunte, in memoria, dalle varie vie sensoriali), appaiono le immagini sfocate dei fantasmi che hanno rubato a piane mani, nella cosa pubblica e che sono diventati ectoplasmi fuggiti o incarcerati sciogliendosi, in fondo, come neve al sole…

E sarebbe questa, l’espressione del potere? Ed è questo il mondo in cui folle ingenue continuano a credere?

I nostri modelli del mondo, sono costruiti con strumenti per l’elaborazione dei segnali progettati dall’evoluzione per filtrare un Universo brulicante di informazioni e ottenere un piccolo numero di flussi di dati in ingresso. Questi modelli, più familiarmente, si chiamano vista, udito, olfatto e così via. La vista ci consente di campionare la radiazione elettromagnetica che passa attraverso un minuscolo foro presente nei nostri occhi, raccogliendo soltanto un arcobaleno limitato di colori all’interno di uno spettro molto più ampio. Il nostro udito monitora la pressione dell’aria nei timpani e l’olfatto fornisce una strana analisi chimica dell’aria che colpisce le membrane nasali. Altri sistemi sensoriali (come il tatto e il gusto) forniscono informazioni approssimative sulle accelerazioni, sulle temperature e su varie sostanze chimiche che interagiscono con il nostro corpo. Tali meccanismi sensoriali hanno caratterizzato l’essere umano da sempre. Come è stato possibile evolversi? Con i congegni che potenziano i nostri sensi (come, ad esempio, il microscopio). Ma il congegno che, di più, potenzia i nostri sensi, è la mente. (Franz Wilczek – Premio Nobel 2004 per la Fisica)

Grazie a questo formidabile elemento intracerebrale, ad esempio, Galileo ha intuito che si poteva puntare un cannocchiale “potenziato” verso il cielo e, grazie a questo, si è capito che, tutto, non iniziava e non finiva con noi e che, quindi, altre realtà esistevano al di là della semplice percezione soggettiva. La nostra mente, infatti, è capace di valutare la più piccola sfaccettatura di ogni singolo evento, per riuscire ad individuare gli elementi cui riferirsi, per guidare aspettative e progetti secondo precisioni matematiche che non tengono conto delle isterie collettive.

Si salveranno solo i flessibili e i diversamente agili, quelli con le prospettive e i pensieri ampi. Si salveranno quelli che sbagliano in fretta e fanno, delle cadute, slanci; i domatori del pessimismo, i navigatori disancorati e gli apprendisti stregoni in generale. Si salverà chi accorda il respiro e i pensieri al presente, chi ascolta fino in fondo prima di parlare, chi sa che l’acqua arriva sempre al mare e non impreca contro il buio ma si fida del tunnel, perché sa che la luce non va cercata fuori ma accesa dentro. (Manuela Toto)

Che strano…

Immerso nei miei pensieri solo adesso mi rendo conto di aver trascorso una giornata di impegni lavorativi e di trovarmi sulla via del ritorno avendo pedalato oltre l’autonomia della bicicletta a “pedalata assistita” e trovandomi nella condizione di dover affrontare condizioni altimetriche non favorevoli.

Lao Tse significa vecchio (lao) maestro (zi), o anche “vecchio bambino”; quindi, in accordo con lo spirito taoista, una denominazione che può indicare tutti o nessuno, o più semplicemente può indicare la “sapienza” che giace, più o meno addormentata, nel cuore di tutti gli uomini. La tradizione vuole che questo appellativo fu dato ad un maestro in carne e ossa che visse ai tempi di Confucio e che è considerato l’autore del Tao Te Ching, (Classico della Via e della Virtù, nonché uno dei padri del Taoismo.

Sapete cos’ha detto, costui?

“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla!”

E allora riscopro il piacere di passeggiare con la mia e bike accanto e potendo contare sui quadricipiti femorali tonificati dai tanti chilometri percorsi, andando incontro a Sirio (una delle stelle più brillanti nel cielo) e provando a sintonizzarmi con i suoi misteri che in fondo essendo, lei, una “progenitrice”, diventano anche i miei.

Ma, questa, è un’altra storia.

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per gli aforismi proposti e all’amico Sirio con cui ho discusso della stella di cui porta il nome