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Avrei voluto parlare dell’amplificazione delle frequenze deboli, ma invece qui di primo mattino, con davanti un inaspettato limpido raggio di sole, mi ritrovo ad ascoltare le voci accoglienti che mi riportano in un passato lontano.

Può essere che le cose si intreccino, forse discendono l’una dall’altra e riuscirò a parlare di entrambi.

Sono veramente così legata al passato? Be’, credo sia imprescindibile dal nostro presente ed indispensabile al futuro immediato. Eppure…

Si, mi lascio spesso andare al profumo dei ricordi, non esclusivamente con nostalgia, ma imbevuti di sane emozioni da “spremere”. Da cui nutrirsi.

Le coincidenze. E di cosa si parla quest’oggi? Andata e ritorno. Avrò mille spunti da coltivare e da sviluppare.

Comincio dal vento nei capelli.

Dalla libertà conquistata sulle due ruote del primo motorino, comprato con tanti sacrifici e finalmente arrivato nel tardo pomeriggio di una bella e prematuramente calda primavera. Il colore non era proprio quello desiderato, ma nuovo e poco visto. Emozionata, entro nel grande magazzino denso di odore di gomme nuove e scoppiettanti pedalate. Salgo su e parto, col vento nei capelli. La città degli anni ’80, così diversa da oggi, mi appariva nuova da quella prospettiva: i posti, le vie, le piazze da un’altra angolazione sfuggivano alla velocità che riuscivo a controllare pur guardando.

Si, eravamo noi quelli dei pattini a rotelle non in linea, che improvvisavamo corse e sfide al più bravo e sempre pronti a tenderci la mano. Al tramonto nella piazza più amata fra i rami degli alberi riuscivi ad apprezzare quell’ultimo raggio denso di aria pura che respiravi a pieni polmoni e ti sentivi felice del momento.

E le partite a rincorrere una palla? Quella arancio vera però, non come quelle che si trovano oggi, che nulla hanno a che vedere con l’originalità ed il profumo della plastica. Con il sole più potente, sotto il temporale più insistente nulla riusciva a trattenerci: ragazzi, ragazze, bambini, adulti tutti insieme azzerando qualsiasi conto con l’età.

Il primo bacio giù al portone, l’emozione dentro il petto, la sensazione di aver sfondato un’altra porta.

Noi, ancora noi con la pizzetta in mano a passeggiare per il corso, una veloce raccolta a far si che anche quello meno provvisto potesse arrampicarsi su per il bancone di quel primo posto nuovo che, nel centro della città, ancora vive. Ma non è più lo stesso.

Noi che andavamo alle feste di casa con la discomusic sotto il braccio. Tutti in comitiva pronti ad animare la serata, anche la meno probabile a divertirsi, quella in cui poco ti muovevi se prima non spostavi, un po’ sfacciatamente, il tavolo verso il muro. Ed in quella piccola pista organizzata al momento, la musica, la nostra musica, risuonava indisturbata e invitava tutti al ballo. Il primo lento, stretti stretti in un’altra dimensione, solo noi e il nostro abbraccio.

La piazzetta in bianco e nero…

La piazzetta con gli spalti per il tifo…

Quella un po’ nascosta per i primi innamorati.

La domenica di festa la annunciava il profumo in cucina. La stessa identica pietanza, ma sempre buona e come se fosse ogni volta il primo gusto. Poi, alla fine del pranzo, immancabili le pastarelle, anche quelle prese ad un orario stabilito nel negozio storico, dove quando entravi ti si chiamava per nome, col sorriso accogliente di chi ben ricordava.

Le campane in lontananza, una corsa veloce, presto a casa. È arrivato ormai il momento.

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Quanto tempo che è passato?

Quest’oggi decido che me ne vado a rivedere tutto quanto ho appena scritto, a lasciarmi sfiorare dal profumo e dai ricordi, a sorridere apprezzando quel che è stato con la certezza che il futuro è anche e soprattutto nel passato.

Fernanda (3 marzo 2014)

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