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Il parere di un Magistrato.


Con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati del Foro di Cosenza e il contributo scientifico della FAIP (Federazioni delle Associazioni Italiane di Psicoterapia e Counseling), della SFPID (Scuola di Specializzazione di Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico di Roma) e della S.I.M.P. (Società Italiana di Medicina e Psicoterapia), Mercoledì 17 Marzo 2010, presso il Tribunale di Cosenza, si è svolto l’interessante convegno dal titolo: “Counseling legale e Counseling familiare. Nuovi panorami nel Diritto”.

Sono intervenuti

  • il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, Avv. Oreste Morcavallo
  • L’avv. Simona Strano (in qualità di moderatrice)
  • Il dott. Carmelo Copani (già Presidente di Sezione del Tribunale di Cosenza e Giudice Tutelare)
  • La prof.ssa Sara Rosaria Russo (Psicologa Psicoterapeuta) Direttrice SFPID – Presidente SIMP – Vicepresidente FAIP
  • Il dott. Giorgio Marchese (Medico Psicoterapeuta)
  • L’avv. Maria Cipparrone (Avvocato – Counselor)

Benchè siano trascorsi quasi due anni, riteniamo utile riproporre l’intervento del Dott. Carmelo Copani, dal titolo: Counseling “tematiche giuridiche e aspetti connaturati alla psiche”


Al cortese invito dell’avv. Maria Cipparrone (counselor)- di prendere la parola in questo convegno, la mia prima reazione -lo confesso- è stata: “cos’è mai il counseling” e poi: cosa può mai relazionare un Giudice -ormai in pensione, in disuso direi- a giovani Avvocati su un nuovo istituto, dai contorni obiettivamente incerti e discussi?

Una domanda, la prima, resa ancor più inquietante dalla mia sconoscenza dell’inglesel Una delle mie tante lacune, forse ormai impossibile da colmare!

E, cocciuto qual sono, ma fidando delle mie reminiscenze giuridiche – ho dato inizio alla mia ricerca (al p.c.). Appresi così che il sostantivo counseling affonda le sue radici nel verbo latino “cum” e “solere” [alzare, sollevare con..] , ossia “consolare, confortare, venire in aiuto”, e quindi <aiutare altri a sollevarsi>, a superare una situazione di crisi. Un (volontario) cireneo?

Più tecnicamente, il counseling indica un’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente [soggetto debole], promuovendo atteggiamenti positivi, propositivi e stimolando le sue capacità di scelta in una situazione di emergenza prevalentemente psicologica.


II counselor è una nuova figura professionale che si aggiunge nel panorama ormai ricco, dei servizi di aiuto, di sostegno e di solidarietà alle persone in stato di disagio (esistenziale e/o sociale). Alle note figure degli assistenti sociali, dei consultori familiari, dei mediatori familiari, degli amministratori di sostegno, dei tutori e curatori, dei professionisti in genere psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, avvocati, etc.) si aggiungono quindi i counselor,recependo una figura che-partita dall’Inghilterra- sta avendo sempre maggiore successo!

Il tutto per un’assistenza all’individuo che, vorrei definire, “dalla culla alla tomba”! A 360 gradi!! [freedom from want=liberazione dal bisogno).

E ben venga, a Cosenza, il counseling -grazie all’avv. Cipparrone-, con l’augurio di una sempre maggiore sua diffusione e, soprattutto, utilizzo!

Ovviamente necessita tracciare i limiti di competenza, per evitare sovrapposizioni ed abusil

il counselor è un avvocato, ovviamente. Può anche esserlo, certo [come l’avv. Cipparrone), ma non lo è necessariamente! L’avvocato, a conoscenza delle norme, consiglia al cliente la via giudiziaria da percorrere per l’esito possibilmente positivo della sua prospettazione,della sua ansia.

  • Non è un medico che prescrive farmaci.
  • Non è uno psichiatra, che indaga le cause del problema per rimuoverle.
  • Non è neppure uno psicologo!

Piace qui ricordare una recente pronunzia del Tribunale di Ravenna, che ha acquistato autorità di giudicato. Trattavasi di un abuso della professione di psicologo da parte di un neuropata che affermava di praticare counseling [caso Abela]. E si è ribadito che se la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona e al gruppo [quindi= con somministrazione di test per individuare particolari aspetti del funzionamento della psiche], il counseling è invece un incontro tra due persone [il counselor e il cliente] che grazie ad un dialogo orientato,instaurano una relazione che favorisce nel cliente la capacità di individuare, riconoscere e ristrutturare il disagio estrapolando dal cliente stesso le risorse che occorrono per superarlo.


In definitiva il counselor -come figura intesa nella sua autonomia- non è orientato (al contrario dello psichiatra, dello psicologo, del medico, dello psicoterapeuta) alla “cura” del paziente, bensì al potenziamento delle sue capacità di scelta La risposta -in conclusione- non viene data dallo specialista ma dallo stesso cliente alla luce del “proprio” bagaglio culturale!

Non è quindi un consigliere, né un consulente!

Le parole counseling e counselor non possono essere tradotte correttamente in italiano perché si rischia che la nuova figura entri in conflitto con altri ruoli professionali!

Ovviamente se il counselor ha già una sua professione di base, di partenza [l’avvocato (come l’avv. Cipparrone), lo psicologo (come la prof.ssa Russo), il medico (come il dott. Marchese)], gli effetti della sua attività non potranno non trarre un maggiore beneficio per il cliente

Si tratta di un percorso basato sull’ascolto attivo. E’ l’individuo stesso che, attraverso la presa di coscienza delle proprie problematiche, individua possibili soluzioni e strategie di cambiamento.

Nel counseling non si impongono regole o restrizioni ma si favorisce il raggiungimento delle capacità di autocontrollo nei rapporti personali, familiari e sociali, e il mantenimento nel tempo dei comportamenti acquisiti.

Alla base v’è quindi l’ascolto e il dialogo. E mi sovviene qui Socrate [vi è qui – in quest’aula- il suo ritratto, la sua ermeneutica. E’ stato ritenuto – non vi è nulla di nuovo sotto il sole!- il

primo grande counselor della storia. E’ riuscito a trasferire al piano dell’anima ciò che sua madre, Filarete, faceva sul piano fisico: l’ostetrica! L’ostetrica non può decidere il preciso momento del parto, né come il parto avverrà, né come sarà il bambino che nasce [colore degli occhi? della pelle (ricordate la canzone napoletana?) ]; può solo assecondare e aiutare ciò che naturalmente sta avvenendo. E’ un tramite. Come la levatrice aiuta la partoriente a portare alla luce il bambino, il counselor -con metodo socratico- aiuta il cliente a portare alla luce il proprio problema [che è spesso una sofferenza!] perché lo valuti lui stesso nelle sue reali dimensioni.


Concludendo il counselor si adopera acchè il soggetto trovi in sé, le energie per uscire dal problema che I’opprime

Ma ATTENZIONE= non si può e non si deve aiutare chi non voglia essere aiutato. II cliente va rispettato e non va influenzato dal counselor nelle sue decisioni e/o nelle sue scelte.

II counselor deve rispettare il cliente, e avere la capacità di essere neutro e di non interferire, non giudicare, non suggerire ma solo di accompagnarlo facendo leva sulle sue risorse. Portare avanti un metodo di auto guarigione del cliente!!

Questo lo “spazio”, che può sembrare forse troppo angusto, del counselor che va protetto! In tale scenario quali sono i campi di azione del counselor?

Ad oggi, in Italia, il counseling non è una professione regolamentata: lo Stato non indica cioè i requisiti minimi necessari per esercitarla. Non esiste alcuna normativa di riferimento, nessun percorso formativo obbligatorio, né tanto meno l’obbligo del professionista d’iscrizione ad un qualche albo professionale. In questo quadro -è stato detto- chiunque può definirsi counselor ed asserire di esercitare il counseling.

E’ un fatto, però, che la sua presenza si incontra ormai in tutti i settori del sociale: dalla famiglia alla scuola, dalla medicina alla società, in tutte le sue articolazioni.

Dopo questo excursus generale, occorre domandarsi se e quale spazio ha il counseling nell’ambito giudiziario.


E subito evidenzio -attesa la mia esperienza- che il campo proprio del Giudice Tutelare è proprio quello che offre più spazio di intervento per il counselor Certamente non mi sembra esservi spazio in sede penale, in quello civile o fallimentare o di esecuzione mobiliare o immobiliare, ecc. Qui le norme non lasciano spazi vuoti, per il principio di completezza dell’ordinamento giuridico. Dura lex sed lex! Rileva solo il “fatto”, la condotta conforme o non conforme alla norma, con gli effetti consequenziali (al limite, in penale, il gioco delle attenuanti!). Vi sono “regole” del vivere civile che vanno rispettate, sotto pena di sanzioni!

Epperò -in sede civile- vi sono pur sempre spazi “NEUTRI” in cui l’individuo può esplicitare la propria condotta allorchè la norma si limita a tracciare solo i limiti, i binari esterni di illiceità o illegittimità.

Si pensi, ad esempio, ai rapporti familiari: ogni componente interagisce con il coniuge, con i figli, coi genitori, coi parenti anche acquisiti. E impatta -direttamente o meno- con problematiche familiari, sulla salute, sulla scuola, ecc. Certo la Costituzione nel suo titolo li* (artt.29 e segg.) afferma,ad es., che il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; che è dovere mantenere, istruire ed educare i figli; che lo Stato protegge la maternità e tutela la salute. E il codice civile pone prescrizioni che però non colmano tutti gli spazi liberi che vanno così riempiti da ogni soggetto per conseguire la massima ottimizzazione possibile, il migliore risultato.

E qui entra in gioco il counselor.

– Se i rapporti dei genitori con i figli, e costoro coi primi e tra di loro, sono freddi ed asettici, pur non violando gli obblighi di legge (ad es.:assistenza, abitazione;fedeltà?) , lo Stato si disinteressa della particolare vicenda non indicando un precetto e una sanzione! Che vengono posti solo se vi è un “interesse” meritevole di tutela per l’ordinamento.

– Se una donna o, ancor più una minorenne [quest’ultima, col consenso dei genitori] interrompe la gravidanza nella sua prima fase, quali “interessi” lede? [sappiamo che il diritto è un sistema di protezione di interessi che lo Stato ritiene meritevoli di tutela]. La condotta è lecita e la soluzione dell’interruzione non pregiudica terzi. [sul punto dirò oltre]

– E il suicidio – se ben si riflette- è un fatto asettico per l’ordinamento giuridico, se è volontario e non è istigato da terzi! E se l’ammalato -compos sui- è affetto da gravi patologie e sceglie di non assumere medicinali o di non effettuare trasfusioni [testimoni di Geova], sarà certo necessario il suo consenso informato, ma decide lui!

Non v’è una legge che imponga di “amare”! Forse potrebbe ravvisarsi un tale comando nell’art. 2 della Cost. che fa riferimento all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Ma trattasi di norma programmatica!

Ed allora affrontiamo il problema sul piano giudiziario, che mi appare onestamente complesso!.

Il counselor <colloquia> con il cliente -portatore di problematiche- che volontariamente s’è offerto alla sua capacità ed esperienza professionale.

E’ un <colloquio> di aiuto! Si è detto che non è una discussione, non è un’intervista, non è un interrogatorio, non è un discorso dell’intervistatore, non è una confessione, non mira a una diagnosi!! Mira invece ad “abilitare” il cliente a prendere-da solo- una decisione riguardo a scelte di carattere personale o a problemi angustianti .

Occorre però restare ben attenti Poiché con le domande il counselor può pur sempre influenzare -sia pure inconsapevolmente- il cliente [ripeto che il counselor , tout corut, DEVE DARE INFORMAZIONI E NON GIA’ CONSIGLI! ] Quando si danno consigli, si indicano al cliente azioni specifiche da compiere; l’informazione, al contrario, consiste in conoscenze, alternative o fatti che il cliente può ritenere utili per effettuare una scelta I

Mi rendo conto che tale posizione potrebbe, a volte, sembrare ” ipocrita”I Mi spiego. Le domande servono per capire l’interlocutore e fargli operare una scelta “razionale”. II cliente dirà delle sue ambascie. Ma il counselor deve solo limitarsi a sentirlo passivamente, come da ascoltatore indifferente? Non dovrà porre domande, sia pure generiche, sul perché del problema postogli, e prospettare tutte le soluzioni del caso, giuridiche ed antigiuridiche? Quindi anche quelle che lo stesso Interrogante ritiene dannose, a breve o lungo termine?

E’ questo il punto che – lo confesso- m’inquieta ove il counselor non abbia già una sua professione di base [qui, ribadisco, v’è la presenza di un avvocato, di un medico e di uno psicologo]. Epperò mi tranquillizza la consapevolezza che questo mio dire è rivolto in primis ad esperti in diritto, ad Avvocati che hanno anche il dovere professionale di indicare al cliente delle scelte conformi alle norme e possibilmente non dannose per i terzi!

Mi preoccuperei, invece, se il counselor svolgesse tale impegno senza una professione autorizzata di base. In fondo: perché il cliente sceglie di recarsi dal counselor tout court, e non da un tecnico del diritto? Probabilmente vuole idee più chiare, si è detto.


Ma il counselor non sentirà il dovere di indicare la via migliore per risolvere il problema?

E poi, anche nel porre le domande in un modo invece che un altro, non influenzerà indirettamente il cliente? [esempio: hai parlato coi tuo ragazzo? Lasciando intendere la necessità di tale colloquio]. Ed allora occorre con umiltà riconoscere che una tale influenza può a volte anche esplicitarsi, per cui la professione del counselor -ove sia sganciata dalla professione di base- mi appare irta di difficoltà sul piano professionale. Non senza sottacere il rischio che il counselor possa essere coinvolto in sede penale ovviamente ove vi possa essere un tale rilievo! Si pensi ad eventuali ipotesi di concorso in reati Ovviamente qui mi limito solo a porre il problema.

Tanto esposto, passo ad una rapida carrellata delle varie fattispecie.

1) Partirei dalla crisi della coppia, con le inevitabili ripercussioni sui figli.

E qui si riaffaccia un mio sogno di sempre! Avevo da decenni sostenuto che prima di adire il giudice della separazione (ossia il Presidente del Tribunale per l’obbligatorio tentativo di conciliazione) che intervenisse un organo – che avevo indicato nei servizi sociali- per mediare e trovare soluzioni condivise e pedagogicamente accettabili. Allorchè ho svolto funzioni presidenziali avevo “raccomandato” – poiché il colloquio con il Presidente non può non essere limitato a pochi minuti, a poche battute- che vi fosse previamente una relazione dei Servizi Sociali che illustrasse lo scenario e le posizioni, e indicasse eventuali accorgimenti utili. Purtroppo tale iniziativa è rimasta sulla carta, anche se era a mia conoscenza che in qualche Tribunale veniva richiesto alla coppia di attivarsi presso un Centro per dirimere previamente le problematiche non solo giuridiche. A distanza di decenni forse è giunto il momento di colmare questo vuoto: il counselor può svolgere quest’opera di audizione intelligente della coppia facendo sgorgare dalla stessa audizione – proprio su iniziativa dei coniugi- le soluzioni utili alla coppia stessa e ai figli.

Dicevo il 30.5.1998, ossia otto anni prima della riforma di cui alla L.8.2.2006 n.54 sull’affido condiviso: La crisi del matrimonio comporta una “violenza” dei genitori verso !figli, costretti a subire passivamente -con effetti spesso devastanti- le incomprensioni, le prepotenze, le gelosie dei primi! Gli errori dei genitori si ripercuotono sempre sui figli, e a tali errori dovrebbe porre rimedio il giudice (attinto da una presunzione giuridica: l’essere questi presumibilmente più “saggio” e in condizione di meglio “comprendere” la coppia e tutelare al meglio gli interessi dei figli!). Il giudice, sull’affidamento dei figli, non ha criteri predeterminati. Non può riferirsi esclusivamente: a)al principio paterno assegnazione al padre, asse portante della famiglia); b)al principio materno (la mamma come figura di riferimento concreta e quotidiana); c) favorire il genitore incolpevole (collegato con istanze punitive o premiali per i rapporti pregressi dei genitori); d)al principio dello status quo (lasciare le cose come stanno a/ momento della decisione). Il giudice – combinando tutti i predetti criteri- deve valutare l”interesse” del minore. Il suo è un giudizio di “probabilità” (proprio come al lotto?) e richiederebbe per la sua riuscita che siano noti tutti i possibili effetti sul minore di ogni ipotesi, e le probabilità che ciascun effetto possa in concreto verificarsi. Un’impresa disperatal Inoltre la valutazione del giudice è connessa alla visione che ha della vita, dei suoi modelli culturali, del suo credo religioso, delle sue scelte ideali. V’è quindi un estremo soggettivismo nella sua valutazione! V’è poi la necessità che il minore sia messo nelle condizioni di esercitare le proprie scelte, senza subire preventivi condizionamenti, Ma questa è una via pericolosa! E’ illusorio pensare che il minore non sia influenzato da una dei genitori, sol perché… offe di più! Soluzione ideale sarebbe quella di consentire al figlio di frequentare, senza condizionamenti, entrambi i genitori, V’è quindi la necessità di una specializzazione del giudice e di avvalersi di psicologi, sociologi, assistenti sociali, specialisti in psichiatria infantile. E oggi, all’elenco degli specialisti, aggiungerei il counselor

2) II counseling è poi una risorsa anche per gli insegnanti: il counseling scolastico si fonda sullo sviluppo dell’educazione affettiva-relazionale nella scuola attraverso un insieme di atteggiamenti e comportamenti utili per ribaltare momenti di crisi, incomprensioni, insofferenze, delusioni, al fine di scongiurare l’innesco di situazione conflittuali. Agevolare la comunicazione tra insegnanti ed alunni attraverso modalità comunicative, facilita la creazione di un clima di relazioni favorevole sia alla crescita personale che a un sereno apprendimento.

3)SI parla del counseling anche per aiutare l’interlocutore a interrompere il vizio del fumo !

4)Altro settore di intervento è quello dell’affido familiare di un minore ad una famiglia. Un colloquio preventivo del minore e delle famiglie (di origine e di destinazione) al quale viene affidato appare opportuno ed anzi necessario per appurare “compatibilità” ed interessi.

5) Interruzione di gravidanza, specie di minori= è noto il dramma di tante giovani infradiciottenni che interrompono la gravidanza con il consenso dei loro genitori, o che si rivolgono ai servizi sociali per chiedere l’autorizzazione del G.T. all’interruzione senza il consenso di uno di essi o perfino contro il loro consenso. Certo i S.S. si attivano, ma un’attività di un couseling non è affatto superflua, sia prima della richiesta al Giudice che dopo l’autorizzazione a decidere. Penso alle problematiche legate al periodo post-interruzione ed alle ripercussioni sul piano psicologico della minorel Ma penso,ancor prima e di più, alla problematica se il nascituro sia portatore di un interesse autonomamente tutelabile=interesse alla vita!! Come si pone il counselor nel prospettare al cliente tale interesse del concepito, senza un supporto di base? Se è un avvocato valuterà gli aspetti legali, se medico quelli sanitari, se psicologo quelli dei risvolti alla stessa clientel

6)problematiche delle patologie non tanto psichiche quanto fisiche della persona. E’ questo un settore di grande interesse. Il paziente si sente spesso solo , trascurato dai suoi familiari; spesso abbandonato in un istituto di riposo, lontano dai suoi affetti

7)penso ancora ai giocatori d’azzardo, ai prodighi, agli alcolisti, al tossicodipendenti


8)penso ai trattamenti sanitari obbligatori ,nel periodo successivo al loro ricovero in una struttura ospedaliera

9)penso ai donatori di organi (es. rene)!

Ognuno di questi casi meriterebbe un esame approfondito che ovviamente non è possibile in questa sede. Mi basta solo avere tracciato -a volo d’uccello- I vari campi di intervento del counselor con la sua intelligente opera di comprensione del problema e di indicazione degli scenari perché l’interlocutore operi -consapevolmente- la scelta, che è e rimane, solo sua!!

Certo si richiedono nell’operatore – nell’approccio col cliente- conoscenze approfondite di tutte le problematiche sottese o collaterali [es.: legali, di medicina, di psicologia, ecc.], specie quelle collegate alla psiche dell’interlocutore, prospettando anche l’opportunità, e perfino la necessità di una psicoterapia.

Non è un’attività facile. Ma è un settore dove si ha modo di esplicitare efficacemente l’AMORE verso il prossimo, e di contribuire -pur se in minima parte- alla soluzione di problematiche che travagliano questa complessa e complicata società.

Grazie per l’attenzione prestata

Carmelo Copani