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In che modo, l’ambiente, ci trasforma?

Neuroscienze – PNEI

Il seguente lavoro (presentato, a Roma, al primo Congresso Internazionale della Società Italiana di Psicoterapia), attinge, anche, ai numerosi articoli della sezione Neuroscienze di questo Magazine. Non si è voluto, con ciò, determinare un modello di “autoplagio” quanto, piuttosto, un modo per partire dalle acquisizioni precedenti e andare “oltre”, per presentare qualcosa che possa servire da base per muoversi con una certa facilità, nel sentiero complesso della mente umana.

BUONA LETTURA

L’essere umano è l’insieme di un corpo, un’anima ed un vestito. Cioè, l’insieme degli elementi che caratterizzano e qualificano ognuno di noi attraverso gli aspetti salienti della personalità.

La nostra storia, quella degli uomini e delle donne, è stata caratterizzata, da che se ne ha notizia, dal capire di cosa siamo composti nel “profondo” (che, i più, chiamano “Spirito”), a cosa possiamo riconoscere il valore della sacralità, per cosa vale la pena di vivere o morire.

Vari sono stati i tentativi portati avanti, per riuscire a dare risposte, dal sapore alchemico – esoterico.

Il XX secolo assiste alla nascita di due grandi modelli che influenzeranno il pensiero contemporaneo:

  • La psicoanalisi (con l’importanza dell’influenza ambientale);
  • Il DNA (con la conoscenza della sua struttura).

Per diverso tempo, questi due modi di “osservare” la persona, hanno prodotto divisioni antitetiche, creando due fronti: quello degli “innatisti” (secondo cui, ogni manifestazione organica e ogni tipo di comportamento, sono contenuti all’interno dei geni) e quello degli “apprendimentisti” (che, invece, sostengono il valore e l’influenza dell’ambiente esterno che, grazie all’apprendimento, “crea” la struttura della personalità).

Man mano che si sono sviluppati studi scientifici in grado di spiegare, con la Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), il dialogo fra organi e apparati, si è giunti ad accettare l’idea che genetica e ambiente, contribuiscono, insieme, alla costruzione dell’essere umano nel suo complesso. Infatti, in ciascuno di noi esiste una matrice genetica (portatrice di messaggi potenziali); gli stimoli esterni, influenzeranno il modo di leggere i geni, determinando una personalizzazione in funzione delle stimolazioni ambientali. Nasce da qui l’epigenetica.

Nel 1998, il premio Nobel Eric R. Kandel, esamina dettagliatamente le posizioni della psichiatria americana ad orientamento psicoanalitico e, contemporaneamente, riassume le più importanti scoperte della biologia molecolare. L’inquadramento concettuale di Kandel pubblicato dall’American Journal of Psychiatry, rappresenta un’imprescindibile possibilità di leggere unitariamente le neuroscienze e la psichiatria, separatesi agli inizi del secolo scorso. Eric R. Kandel, docente alla Columbia University di New York, premio Nobel per la Medicina e le Neuroscienze nel 2000 grazie agli studi effettuati sulla lumaca di mare Aplysia, è uno dei massimi esperti dei meccanismi cellulari e molecolari della memoria e del condizionamento.

Gli studi, iniziati nel 1963, renderanno l’Aplysia il mollusco più celebre delle neuroscienze, un animale dal sistema nervoso molto semplice con un comportamento modificabile attraverso sollecitazioni che inducono apprendimento e analizzabile nei dettagli a livello cellulare.


“Negli anni ’60 (del secolo scorso), la psichiatria americana ad orientamento psicoanalitico era diventata il modello prevalente per la comprensione delle malattie mentali e di alcune malattie somatiche. Il suo allontanamento dalla biologia era stato determinato in parte da cambiamenti interni alla psichiatria stessa, e in parte dal progresso delle neuroscienze. La biologia del cervello degli anni ’40 non era tecnicamente né concettualmente matura e la relazione tra cervello e comportamento era dominata dall’idea che diverse funzioni mentali non si potessero localizzare in regioni cerebrali specifiche. Si riteneva che la corteccia cerebrale fosse equipotenziale, con le funzioni mentali superiori diffusamente rappresentate. Questa posizione condivisa da psichiatri e biologi rendeva il comportamento non analizzabile secondo i metodi d’indagine propri della biologia empirica. Negli agli ’70 la psichiatria tornò a confrontarsi con le neuroscienze grazie ai nuovi trattamenti farmacologici che lavoravano in modo specifico. Parallelamente, negli anni ’80 si assiste alla scoperta delle relazioni anatomo-funzionali di differenti distretti cerebrali”.


Il quadro concettuale presentato da Kandel è costituito da cinque principi che rappresentano, in forma semplificata, il pensiero corrente dei biologi cellulari, sulla relazione tra mente e cervello, su base epigenetica:

  1. Tutti i processi mentali, anche quelli psicologici più complessi, derivano da operazioni del cervello. Il principio centrale di questo punto di vista è che, ciò che noi chiamiamo “mente”, va considerato, in realtà, la gamma di funzioni svolte dal cervello. Le azioni del cervello, sono alla base non solo di comportamenti motori relativamente semplici (come il camminare e il mangiare) ma, anche, di tutte le azioni cognitive complesse, consapevoli e inconsapevoli, che noi associamo a un comportamento specificamente umano (come, ad esempio, il pensare, il parlare, o creare opere d’arte). Di conseguenza, i disturbi del comportamento che caratterizzano la malattia psichiatrica sono disturbi delle funzioni cerebrali anche quando, le loro cause sono chiaramente di origine ambientale. Conoscenze parziali di come funzionano i geni hanno generato due malintesi: il primo è che i biologi siano convinti della rigida determinazione dell’azione genica; il secondo è che i geni abbiano la sola funzione di trasmettere l’informazione ereditaria da una generazione all’altra. È necessario definire le due funzioni del gene. La prima è la funzione modello (trasmissione), che fornisce alle generazioni successive le copie di tutti i geni presenti nell’individuo. Il modello può essere alterato solo da mutazioni, rare e spesso casuali. Questa funzione è al di fuori di interferenze individuali o sociali. La seconda è la funzione trascrizionale che si riferisce alla capacità di un dato gene di dirigere la produzione di specifiche proteine in una data cellula. Questa funzione esercita un’attività di regolazione sensibile a fattori ambientali
  2. I geni e i loro prodotti proteici sono determinanti importanti del modello di interconnessione tra neuroni nel cervello sia dal punto di vista strutturale che da quello funzionale. I geni (e specialmente le loro combinazioni), quindi, esercitano un controllo significativo sul comportamento. Dunque la genetica contribuisce allo sviluppo delle più importanti malattie mentali.
  3. L’alterazione dei geni, da sola, non spiega tutta la variabilità di una data malattia mentale. Un contributo molto significativo proviene anche da fattori sociali o dello sviluppo. Proprio come le combinazioni di geni contribuiscono al comportamento, compreso quello sociale, così il comportamento e i fattori sociali possono esercitare retroattivamente delle azioni sul cervello fino a modificare l’espressione genica e di conseguenza la funzione di cellule neuronali. L’apprendimento, incluso quello risultante da una disfunzione comportamentale, produce alterazioni nell’espressione genica. Così tutta la “cultura” è in definitiva espressa come “natura”.
  4. Alterazioni nell’espressione genica indotte dall’apprendimento, danno luogo a cambiamenti nei modelli di connessione neuronale. Questi cambiamenti non solo contribuiscono alle basi biologiche dell’individualità ma sono probabilmente responsabili dell’insorgenza e del mantenimento di anomalie del comportamento indotte da circostanze sociali.
  5. La psicoterapia produce modifiche a lungo termine nel comportamento, probabilmente mediante l’apprendimento, provocando modifiche nell’espressione genica che alterano la forza delle connessioni sinaptiche e causando modifiche strutturali che alterano i modelli anatomici di interconnessione tra cellule nervose del cervello. Il miglioramento delle tecniche di visualizzazione cerebrale, dovrebbe eventualmente permettere una valutazione quantitativa del risultato della psicoterapia. Il concetto nuovo, emergente dalle ricerche nel campo della biologia molecolare è che il genoma presenta una variabilità di espressione molto più plastica di quello che si poteva immaginare un tempo. È importante sottolineare che nell’Homo Sapiens le regioni codificanti per le proteine rappresentano appena il 2 % del genoma totale, costituito, secondo recenti stime da circa 35.000 – 40.000 geni. Le sequenze di genoma non codificanti invece rappresentato più del 98 %, ed il 50 % di esse è costituito da sequenze ripetute (trasposoni, pseudo-geni, sequenze ripetute semplici, duplicazioni segmentali). Il genoma non codificante tuttavia non viene più considerato come “DNA spazzatura”, ma come una componente che svolge importanti ruoli di controllo e di regolazione dell’espressione genica attraverso meccanismi di tipo “epigenetico”. C’è quindi uno spostamento di accento verso quella che oggi viene definita la genomica funzionale.

Alla luce delle costanti acquisizioni nel campo delle neuroscienze, della biologia cellulare e molecolare e della genetica, uno degli interrogativi che ci si pone, è quello di capire in che modo, l’interazione fra psicoterapeuta e analizzato, determini un influenzamento costruttivo e preventivato e quale sia il meccanismo di azione che lo sostenga.

Molti Neuroscienziati come, ad esempio, il premio Nobel Gerald Edelman (Un Universo di coscienza – Einaudi ed.) o Antonio R. Damasio (L’errore di Cartesio – Adelphi ed.) ritengono che la base di tutto, la cosiddetta “coscienza nucleare” possa avere origine nel dialogo fra le microparticelle che risiedono nel DNA degli atomi di neuroni e nevroglia dei centri nobili cerebrali. Tali informazioni verrebbero poi trasmesse alle cellule degli altri grandi apparati (endocrino e immunitario) per creare un feedback, cioè una comunicazione biunivoca e continua fra i tre grandi sistemi (nervoso, endocrino e immunitario). Grazie a questo, una grande massa di cellule (nervose, endocrine ed immunitarie) si può autoconfigurare in modo da creare le condizioni per la realizzazione di un’identità strutturale in grado di riconoscersi come entità a sé, rispetto all’ambiente da cui giungono segnali e sollecitazioni e generare il mondo delle emozioni (che abbia come sede di partenza l’area cerebrale talamo – corticale).

Se dovessimo spiegare cos’è la psiche, come la definiremmo? E che differenza c’è con la mente e la personalità?

Con il termine “psiche”, gli antichi greci identificavano quel “soffio” da cui ogni cosa traeva vita, principio. Se provassimo ad immergerci con l’immaginazione, per un attimo, all’interno del nostro corpo, fra i vari tipi di cellule che lo compongono, arriveremmo alla conclusione che, ciascuna di esse, è in grado di realizzare strategie funzionali in grado di garantirle la sopravvivenza e, al tempo stesso, la propria specifica operatività “istituzionale”. Valga per tutte, il pensare alle cellule dell’apparato nervoso e a quelle del sistema immunitario. In pratica, ogni cellula risulta essere capace di elaborati di pensiero “elementari”.

Com’è possibile?

Ogni singola cellula (tranne i globuli rossi), contiene un “nucleo” capace di trasmettere informazioni fondamentali, allocato nel suo DNA.

Ma dove si creano questi messaggi?

Il DNA, risulta essere composto da un certo numero di molecole le quali, a loro volta, alla stregua di un muro, rappresentano l’assemblaggio di un certo numero di “mattoni” atomici. Ogni singolo atomo, proprio come un mattone di terra rossa, può essere “frantumato” nei suoi costituenti pulviscolari: gli elettroni, i protoni e i neutroni. Sia i protoni che i neutroni, a loro volta, sono composti di particelle chiamate “elementari”: sei tipi di quark differenti.

Queste piccolissime particelle, all’interno di quella zona centrale dell’atomo che (come la sua omologa cellulare) si chiama nucleo, mediante il loro movimento di tipo ondulatorio e rotatorio, generano e trasmettono (mediante la formazione di campi elettromagnetici) le informazioni “basali” che, a loro volta, verranno inviate agli elettroni che orbitano al loro esterno, affinché le trasportino agli atomi vicini e da qui, lungo la molecola che li contiene; tali dati, scorreranno all’interno del DNA per potere essere inviati (tramite l’RNA) nel citoplasma della cellula, per metterla in condizione di operare al meglio. (attraverso le proteine codificate dal DNA).

Ogni cellula, poi, dialogherà con i propri vicini e consentirà un’unità di intenti lungo tutto l’organo di pertinenza e si metterà in contatto con il resto dell’organismo, mediante microparticelle (in grado di generare “onde” di informazione) che viaggeranno in maniera chimica o elettrica.

Se questo “linguaggio” un po’ troppo “elettromagnetico” crea scombussolamento nel considerare l’essere umano come una sorta di enorme campo di correnti (che producono onde come quelle del mare), basti pensare che tutto, in Natura, dai raggi gamma, fino alle onde radio, passando per lo spettro del visibile, si genera dal movimento “elettromagnetico” di piccolissime particelle (che, nel loro movimento, diventano “onde” che creano “campi di interazione”).

Le oscillazioni delle aree cerebrali

“Un lavoro tutto italiano (M. Rosanova, A. Casali, V. Bellina, F. Resta, M. Mariotti, M. Massimini. Natural frequencies of human cortichotalamic circuits. The Journal of Neuroscience, June 17, 2009. 29 (24): 7679-7685) permette, attraverso l’uso combinato di due tecniche strumentali, di registrare le oscillazioni naturali che avvengono nelle aree della corteccia cerebrale umana, aprendo una nuova via diagnostica per individuare quelle zone interessate da varie patologie neurologiche.L’elettroencefalografia (EEG) spontanea ed in condizioni di veglia registra frequenze diverse nelle differenti regioni del cervello umano. Per esempio, quando un soggetto chiude gli occhi in stato di relax, l’area occipitale tipicamente oscilla alla frequenza di 10 Hz, mentre la corteccia sensorio-motoria mostra ritmi più veloci ( 20 Hz). Il ritmo spontaneo dell’EEG è abbastanza variabile e la sua topografia può cambiare radicalmente nello spazio di un secondo se, per esempio, il soggetto apre gli occhi oppure compie un movimento. Per cui è difficile stabilire solo con l’EEG come i differenti circuiti corticali sono sintonizzati per generare oscillazioni ad ogni particolare frequenza.

La frequenza di sintonizzazione di un sistema può essere determinata inducendo delle perturbazioni e andando a registrare le oscillazioni che ne seguono. Questo approccio viene usato in fisica, in geologia e anche per accordare gli strumenti musicali. In questo lavoro, i ricercatori usano un approccio combinato di stimolazione magnetica transcranica (TMS) ed elettroencefalografia ad alta densità, a perturbare direttamente differenti regioni del sistema umano corticotalamico e a misurare la loro naturale frequenza. La TMS evoca oscillazioni nella banda á nella regione occipitale, nella banda â nella corteccia parietale e oscillazioni veloci â/ã nella corteccia frontale. Ogni area corticale tende a preservare la sua naturale frequenza quando viene stimolata dalla TMS a differente intensità. La variazione di oscillazione riflette l’esistenza di meccanismi fisiologici abbastanza riproducibili negli individui e rappresenta inoltre la prima diretta caratterizzazione delle proprietà elettrofisiologiche delle 3 aree associative della corteccia cerebrale umana. Ancora più importante, sottolineano i ricercatori, nei soggetti sani ogni modulo corticotalamico è normalmente sintonizzato a produrre oscillazioni a frequenza specifica. La possibilità di misurare la naturale frequenza in ogni area della corteccia cerebrale potrebbe rappresentare un valido e flessibile strumento per monitorare lo stato dei circuiti talamo corticali nei pazienti affetti da diverse condizioni patologiche”. (Dr.Fernanda Annesi – Biologo C.N.R. /Counselor )

L’epigenetica

Bruce H. Lipton è un’autorità mondiale per quanto concerne i legami tra scienza e comportamento. Biologo cellulare per formazione, ha insegnato Biologia Cellulare presso la facoltà di Medicina dell’Università del Wisconsin e si è dedicato, in seguito, a ricerche pionieristiche alla School of Medicine della Stanford University. È stato ospite di decine di programmi radiotelevisivi ed è un conferenziere di primo piano.

Le sue rivoluzionarie ricerche sulla membrana cellulare hanno precorso la nuova scienza dell’epigenetica e hanno fatto di Lipton una delle voci più note della nuova biologia.

Il professore sostiene di aver scoperto (in qualità di ricercatore) qualcosa che modifica la visione dei meccanismi biologici attraverso i quali le cellule ricevono ed elaborano le informazioni: infatti, piuttosto che controllarci, i nostri geni sono controllati, sono sotto il controllo di influenze ambientali al di fuori delle cellule, inclusa l’attività del pensiero.

Tali tesi sono sostenute e ampliate da vari studiosi internazionali come il prof Adrian Bird dell’Università di Edinburgo

e Michael Meaney Direttore Associato del Research Centre, Douglas Institute

 che ha intuito aspetti interessantissimi, insieme al collega Moshe Szyf Work. Questi autorevoli scienziati, insieme a tanti altri esperti, portano avanti esperimenti per dimostrare in maniera sempre più evidente che i geni imparano dai messaggi che arrivano mediante il meccanismo dell’apprendimento. Tale nuovo modo di intendere le neuroscienze ha contribuito all’esplosione di interessi sui cosiddetti meccanismi epigenetici di regolazione del cervello. Questi meccanismi molecolari alterano l’attività dei geni senza modificare la sequenza del DNA. Uno dei meccanismi epigenetici più noti è la metilazione del DNA, alterazione chimica, molto studiata, tra l’altro, nei tumori.. In sintesi si è giunti a “suggerire” che l’epigenetica potrebbe spiegare come le esperienze di vita precoci possono lasciare un marchio indelebile nel cervello e influenzare entrambi il comportamento e la salute fisica in tarda età. Questi effetti sono trasmissibili alla prole.

La posizione di Erik Kandel, già espressa, viene sintetizzata nella seguente slideIn sostanza, anche grazie agli studi del medico ricercatore italiano Giovanni Russo, si è arrivati a capire che, il meccanismo, dovrebbe avvenire, più o meno attraverso la seguente procedura:

  • Dal mondo esterno della cellula (che può essere il resto dell’organismo o ciò che sta fuori dalla persona), giungono sollecitazioni captate da recettori sensoriali specifici che generano sensazioni corrispondenti;
  • Queste sensazioni, attraverso le vie di conduzioni afferenti, giungono al Talamo, da dove verranno inviate alla zona corticale di corrispondenza;
  • Giunte a destinazione, vengono confrontate con elementi di similitudine per stabilire (attraverso una verifica che chiama in campo anche l’ipotalamo) di cosa si tratti, in base ad un criterio di valutazione che rispetti i parametri “utile/non utile – piacevole/sgradevole – logico/non logico” vengono scomposte;
  • Da qui, nascono le percezioni, cioè quel riconoscimento di una sollecitazione a cui viene data una contestualizzazione spazio temporale per stabilire come reagire, attraverso una processazione che segua una procedura che preveda, rispettivamente, una raccolta di dati (che riguardano un determinato argomento e che sono stati precedentemente memorizzati e adeguatamente archiviati) una elaborazione dei medesimi (nel campo psicobioelettromagnetico localizzato nel nucleo degli atomi e nello spazio interazionale degli elettroni che si trovano nelle molecole del DNA e della membrana delle cellule neuronali e nevrogliali), una scelta (in base agli elementi che si possiedono ed alle capacità riflessive), una verifica (del lavoro realizzato, mediante l’intervento della logica che, in caso di necessità, suggerisce eventuali correttivi), un’associazione (dei vari elementi elaborati) e, infine, una strutturazione di un concetto completo che, consenta valutazioni adeguate;
  • A questo punto, entra in gioco la capacità individuale di adattamento, in base a cui il segnale di partenza (che genera campi elettromagnetici in grado di influenzare i nostri mediatori di informazione), viene modulato (grazie a neurotrasmettitori e neuromodulatori) e, a volte, anche modificato.
  • Ciò che resta del segnale (o, meglio, quello che diventa) si trasforma, trasportato da mediatori bioumorali (flussi elettrici e chimici) sulle cellule bersaglio, in un elemento che attiva dei recettori di membrana ( che sono una sorta di antenna) in grado di consentire (attraverso un meccanismo simile ad un sistema di ingranaggi) l’apertura o la chiusura di canali di membrana attraverso cui passano sostanze specifiche, presenti nel liquido interstiziale (e veicolate dai vasi sanguigni) che entrano, in questo modo, nel citoplasma intracellulare;
  • Tali sostanze, raggiungono i cromosomi e modulano la lettura genetica, attraverso lo srotolamento di porzioni di cromatina che viene letta a stampo (con l’RNA) in quelle zone dove l’Eterocromatina diventa Eucromatina;

In pratica, bisogna immaginare il DNA avvolto su rocchetti di Istoni come un capello intorno ad un bigodino; in base a quale parte viene “srotolata”, è possibile che avvenga la lettura tramite l’RNA che poi, uscendo dal nucleo ed entrando nei ribosomi, induce la produzione di proteine.

In questo modo, il segnale che risulta dal meccanismo dell’adattamento operato dalla mente, “orienterà” la lettura modulata, a parità di DNA. Questo è il meccanismo epigenetico. Durante un percorso di psicoterapia, il segnale, può essere indotto anche da quello che dice lo psicoterapeuta (e da come lo dice). In funzione del transfert, l’analizzato, attiverà un cambiamento su base epigenetica.

Prima di mostrare, nel dettaglio, tale meccanismo, qualche altra precisazione indispensabile…

In ogni cellula c’è attività psichica, ma questo non basta per metterci in condizione di capire chi siamo; infatti, la consapevolizzazione di esistere, ci è resa possibile dal lavoro congiunto di neuroni e nevroglia ubicati nelle zone nobili del sistema nervoso.

Attualmente, in base ai risultati raggiunti dai ricercatori contemporanei, si può affermare che l’attività della nostra coscienza (consapevole o meno) è possibile dal momento che vengono coinvolte alcune zone peculiari del nostro cervello, fra cui:

  • sei strati cellulari della corteccia cerebrale (o neocorteccia);
  • la formazione reticolare mesencefalica (collegata al talamo e, da qui, alla corteccia), con i suoi nuclei della colonna mediana (per la cognizione delle sensazioni; raggruppa i nuclei del rafe che partecipano alla stabilizzazione del tono dell’umore, grazie all’azione della serotonina), mediale (che riceve informazioni in grado di modificare attenzione e stato di veglia) e laterale (con il nucleo Peduncolo Pontino del Tegmento – PPT e il locus coeruleus che mediante l’azione di noradrenalina ed acetilcolina, si attivano in presenza di stimoli significativi e partecipano nel meccanismo della formazione della memoria);
  • talamo ippocampo (considerati la “porta” della coscienza).

Quindi, mentre in ogni cellula riscontriamo attività psichica, la personalità, intesa come il risultato organizzato di strutture pensanti “nobili” in grado di consentirci la consapevolizzazione di esistere, o come quell’insieme dei processi e delle funzioni sensoriali, intellettive, affettive, volitive, ecc., mediante cui l’individuo ha esperienza di sé e della realtà, si determina per l’accensione di specifici gruppi cellulari del sistema nervoso.

Il dialogo “interno”

La corteccia associativa, è maggiormente connessa rispetto al resto e i meccanismi di neurotrasmissione assumono un’importanza ancora superiore a quella che hanno nelle aree sensoriali e motorie. In breve, la coscienza sorge laddove i sistemi corticale e limbico determinano stretti legami di collaborazione anatomo – funzionale. Per la realizzazione di questo processo psico-organico, è necessario che ognuna dei circa 50 miliardi di cellule nervose della corteccia cerebrale sia connessa a migliaia, se non a decine di migliaia, di altri neuroni. Gli oltre 500.000 miliardi di connessioni che si realizzano all’interno della corteccia cerebrale, costituiscono una cifra supera di moltissimo il numero delle vie di ingresso e uscita. Detto in altri termini: se pure la corteccia cerebrale è in collegamento con il resto del cervello (e attraverso gli organi di senso e l’apparato motorio con il corpo e l’ambiente) “essa parla essenzialmente con se stessa”.

Benché i neuroscienziati siano in grado di indicare (almeno in linea generale) dal punto di vista sperimentale quali funzioni espletino le diverse zone di elaborazione cerebrale, non è stata ancora chiarita del tutto la natura fisica della coscienza, a meno che non ci rifaccia alle teorie psicodinamiche come quella di Giovanni Russo che intravede l’origine del tutto nelle dinamiche di interazione che si generano all’interno degli atomi, fra le varie microparticelle. Una risposta adeguata, sul piano dei macrosistemi neurologici, potrebbe venire dall’osservazione delle sincronizzazioni delle cellule neuronali e nevrogliali della corteccia e delle sinapsi correlate, sotto il controllo della formazione reticolare, del talamo, dell’ippocampo e del sistema limbico. Dal momento che abbiamo più volte affermato che il sistema “essere umano” è caratterizzato dal dialogo fra i tre grandi apparati psico-organici (neurologico, immunitario ed endocrino), possiamo concludere che la realizzazione dello stato di coscienza e dei diversi stati di consapevole ed inconsapevole sono possibili grazie agli elaborati complessi realizzati nella corteccia e nelle aree della subcorteccia sulla base della sincronizzazione cellulare.

Quel propulsore chiamato “identità”

Il concetto di Identità deriva dal latino identitatem (da idem, stesso, medesimo) ed individua la relazione tra un essere umano e se stesso.

La prima formulazione del principio di identità è di Aristotele ed ha costituito, fin da subito, il presupposto fondamentale di ogni dimostrazione logica.

L’essere umano sviluppando la propria personalità, si esprime prevalentemente mediante la propria identità (colloquio con se stesso), per poi estrinsecarsi al mondo esterno mediante l’individualità (comunicazione con un altro individuo) e la collettività (comunicazione con il gruppo del contesto di riferimento).

Per identità intendiamo la comunicazione continua e costante, consapevole ed inconsapevole (prevalentemente), che ogni essere umano ha con se stesso.

Ogni manifestazione comportamentale, ogni sbalzo d’umore, ogni stato d’animo dipende da questo continuo dialogo con se stessi che, inoltre, consente un tratto di continuità fra presente e passato, del nostro mondo inconsapevole che sfugge al controllo del “consapevole.”

Questa sorta di comunicazione “profonda” ci consente di riconoscerci ogni giorno (consapevolizzazione dell’io), e di adattarci ai cambiamenti che avvengono istante per istante, lentamente, relativi alla nostra personalità, sul piano psicofisico; ecco perché ci accorgiamo delle nostre trasformazioni, solo osservando una nostra vecchia fotografia oppure rileggendo nostre riflessioni che avevamo messo su carta, nel passato.

Tutto ciò serve ad evidenziare un aspetto molto importante.

Poiché i cambiamenti avvengono molto lentamente, al punto tale da non accorgersene, ciò induce a riflettere sulla circostanza che, anche se si volesse accelerare tale processo, ciò non sarebbe possibile, perché si genererebbe una sorta di confusione che produrrebbe una inevitabile crisi esistenziale, al punto da non riconoscersi più.

Pertanto, sia dal punto di vista corporeo che psicologico, è necessario abituarsi ai cambiamenti stessi ricordandosi che la manifestazione visibile di ogni trasformazione, secondo leggi di Natura (che governano l’Universo intero), avviene lentamente, senza forzature, altrimenti si avrebbe una reazione di rifiuto verso se stessi.

Ma cos’è un’idea?

Il termine deriva dal Greco, e significa “vedere, conoscere”. In sostanza, costituisce la strutturazione mentale completa di qualcosa o qualcuno, in base a cui produciamo giudizi, valutazioni… ed emozioni corrispondenti.

In pratica, le cose stanno in questi termini: dal mondo esterno, sotto forma di messaggi di vario tipo, giungono stimolazioni che arricchiranno di esperienze i depositi della nostra memoria contribuendo a strutturare, in tal modo, la personalità. Gli apprendimenti acquisiti, costituiranno la base per formare le idee relative ai diversi elaborati. Nel momento che comunichiamo verbalmente quello che pensiamo (in base alle idee prodotte), si manifesta il carattere nelle sue diverse sfaccettature. È giocoforza concludere che, per modificare quello che non va, del nostro modo di essere e di comportarci, bisogna agire a livello dei contenuti depositati in memoria e, quindi sulle idee di base. Questo comporta delle difficoltà: in effetti, spessissimo capita di difendere le proprie idee dal possibile cambiamento.

Come mai?

Difendendo una nostra convinzione, tentiamo di proteggere l’intera personalità (evitando, in tal modo, di mettere in discussione l’autostima). Inoltre, molti degli apprendimenti che ci fanno soffrire ci sono stati forniti, prevalentemente, attraverso il canale affettivo; a queste condizioni, cambiare idea, equivale a tradire il sentimento nei confronti di chi ci ha tramandato quell’esperienza. Chiaramente, questa posizione, per quanto fisiologica, incide sulla rigidità caratteriale in maniera inversamente proporzionale alla maturità ed all’equilibrio raggiunto. Una cosa è certa, fintanto che si difende un’idea “a spada tratta”, non si potrà cambiare e, quindi, migliorare.

Infatti, come è stato riportato in altri articoli precedentemente pubblicati, ogniqualvolta riceviamo degli Input, veniamo investiti da una miriade di microparticelle che veicolano l’onda di pressione (acustica, ottica, tattile, etc.) dentro cui viaggia il messaggio. Queste particelle di energia, si scontrano con i dati contenuti nella nostra memoria, relativi a messaggi simili (come contenuto). La Fisica moderna ci dice che, da tale scontro, si producono delle nuove particelle le quali, per trovare una corretta collocazione, devono aspettare che altre particelle “escano” dal sistema.

“Se ti fornisco un messaggio e tu difendi le tue idee, le “nuove particelle” formatesi nel campo di elaborazione della tua mente, non troveranno spazio” (Giovanni Russo).

Bisogna fare spazio, liberarsi delle vecchie idee: a queste condizioni potranno avvenire i cambiamenti. I messaggi del mondo esterno, entrano nel campo di elaborazione del Pensiero (che, in base alle ipotesi del ricercatore Giovanni Russo, dovrebbe essere all’interno del nucleo dell’atomo e fra il nucleo stesso e le orbite elettroniche di alcune cellule particolari) trasportati dagli elettroni del campo elettromagnetico, giungendo ad interagire con l’interazione forte e debole del nucleo dell’atomo.

Per cambiare un’idea, quindi, è necessaria un’attivazione del mondo interno, in quanto solo l’interazione forte del nucleo dell’atomo, potrà modificare il “dialogo” fra protoni e neutroni. Qualunque messaggio o “consiglio” del mondo esterno, penetrando tramite l’interazione elettromagnetica, infatti, non potrà mai scalzare un dato pertinente all’interazione forte: è la fisica che ce lo spiega!E allora?

Una cosa è scientificamente provata… e cioè che attraverso un buon percorso di psicoterapia, si possono creare le condizioni per favorire una profonda revisione, con viraggio positivo, delle proprie idee e del proprio carattere.Vogliamo entrare, allora, nelle “stanze” del lavoro analitico seguendo la modalità psicodinamica personalizzata secondo la metodologia di Giovanni Russo?

Due persone di fronte, una (apparentemente) normale chiacchierata: all’inizio uno ascolta e l’altro “libera la mente dai suoi pensieri, attraverso un fiume di parole…poi, man mano che continuano le sedute, il dialogo diventa sempre più intenso “tecnico” e ricco di domande.

Cosa succede nella mente dell’analista

Quando una parola raggiunge le sue vie uditive, l’onda acustica di pressione stimola l’orecchio interno e, con esso l’intero meccanismo di trasduzione del segnale, da acustico in neuropsicologico (attraverso l’Organo del Corti, via via lungo le fibre nervose, fino all’area uditive della corteccia cerebrale, a livello temporale). In sostanza, il pacchetto di informazioni trasmesso mediante la fonazione, arriva nei centri di elaborazione del pensiero, dove viene riconosciuto per ciò che vuole esattamente significare. In parole povere, si cerca, nei depositi della memoria, qualcosa che possa aiutare a capire il contenuto del messaggio.

Quando le Emozioni sono a prevalenza positive si raggiunge la Solidità la quale promuove una condizione di stabilità idonea al lavoro programmato.

  • Ascoltando i discorsi del proprio analizzato, nella mente dell’analista si attua il meccanismo dell’esplorazione delle idee e la loro scomposizione, mediante un’attività del Pensiero, chiamata Riflessione.
  • Avvenuta questa scomposizione negli elementi parcellari costitutivi (i dati parcellari), si richiamano dati parcellari analoghi depositati precedentemente nella memoria, per poter effettuare una comparazione che porterà ad una serie di valutazioni.

Durante questa fase possono emergere (dall’inconsapevole) dei ricordi della vita dell’analista, che, se per caso, sono portatori di conflitti non ancora risolti, possono turbare il lavoro analitico (e la tranquillità personale del professionista!).

In questo momento, come spiegato più volte dal dott. Giovanni Russo nelle sue pubblicazioni, l’analista procede ad una analisi dei problemi dell’analizzato e anche dei suoi perché, mentre avviene il confronto (fra i dati parcellari giunti da fuori e quelli preesistenti in memoria): in questo modo, si può affermare che, la professione di psicoterapeuta sia fra le poche professioni che costringe chi la esercita, a maturare continuamente, durante l’espletamento delle proprie mansioni.

Cosa succede nella mente dell’analizzato (tratto da “Una psicoterapia ad Indirizzo psicodinamico EUR Ed. – Roma 2001

Premettiamo che la comunicazione fra analista ed analizzato, avviene in maniera prevalentemente inconsapevole (da parte di quest’ultimo) ed è “condita” da piccolissimi movimenti ed ammiccamenti del volto che, osservati correttamente, possono evidenziare, la trasformazione dell’analizzato attraverso delle tappe ben precise, che possono essere così riassunte: CONFRONTO, RICONOSCIMENTO, AGGIUNTA, ACCORPAMENTO, RIGETTO, RINFORZO, NUOVA TRACCIA MNESTICA, NUOVA COMUNICAZIONE.

Il dialogo tra analista e analizzato segue dei percorsi e delle dinamiche (fatti di parole, di segni, di mimica facciale e di movimenti temperamentali) che, pur non essendo dichiarate dai due colloquianti, hanno delle precise condizioni che entrambi osservano e su cui si trovano d’accordo perché l’analista, utilizzando la Logica, promuove l’attivazione della Logica dell’analizzato.IL CONFRONTO

L’idea conservata in memoria verrà raffrontata con l’idea giunta dal mondo esterno e, se verrà identificata come simile, si avrà il riscontro, confermato da un segno temperamentale dell’analista (uno sguardo particolare, un ammiccamento, un sorriso, etc.), che diverrà familiare nel tempo e potrà essere accettata per il Riconoscimento.

IL RICONOSCIMENTO

A questo punto, se l’Idea precedentemente depositata nella memoria era corretta, è possibile che si determini il rinforzo della medesima, sia nella mente dell’analista che in quella dell’analizzato. Chiaramente, in caso di idee non valide, l’analista fornirà spiegazioni adeguate. Se questo meccanismo sarà ripetuto, l’idea sarà fissata in modo indelebile nella memoria, determinando un concetto STABILE.Sarà questa la prima idea STABILE che l’analista avrà trasmesso alla nuova costruzione di solidità che l’analizzato dovrà costruire dentro la sua mente.

Da ora in avanti, si produrrà l’AGGIUNTA

Questo vuole dire che si aggiungono nuovi dati parcellari (elementi costitutivi fondamentali) a quelli preesistenti, producendo l’arricchimento della memoria in funzione della Idea pervenuta.

Durante queste dinamiche del riconoscere e dell’aggiungere, l’analista può avere la funzione di modello ideale su cui l’analizzato trova rassicurazioni per gli elaborati delle sue idee. L’analizzato, a sua volta, è stato indotto dal suo analista a promuovere una verifica di Logica: il risultato di tale lavoro mentale rinforzerà le proprie convinzioni corrette, aumentando la sua sicurezza.ACCORPAMENTO

Durante questa fase, si aggiunge (a livello di struttura energetica subprotonica intranucleare), l’idea pervenuta dal mondo esterno all’idea preesistente nel mondo interno. l’Accorpamento, quando le capacità di scelta dell’analizzato sono “deboli” oppure non sono tali da sapersi, in un particolare momento, opporre, avviene perché quest’ultimo subisce. In questo caso è necessario che l’analista spieghi che ciò è sbagliato e che il sistema migliore consiste in un modulo di integrazione, che prevede una scelta “libera” e non condizionata, anche se più “sofferta”.

RIGETTO o RIFIUTO…

dell’idea proveniente dal mondo esterno, potrà avvenire quando, secondo l’analizzato, le proprie idee sono chiare e non armonizzano con i messaggi dell’analista. Questo è uno dei momenti più interessanti ed impegnativi, per quest’ultimo, perché ha l’obbligo di non infastidirsi e di continuare nelle spiegazioni, anche in maniera incisiva, se è il caso.

Come si fa a “tenere a bada” prima di eliminarla del tutto, la parte di noi “negativa” che può lavorare “contro” ed essere causa di comportamenti lesivi per sé e per gli altri?

Si può evitare che questa componente conflittuale agisca, a condizione di mantenersi attivi dal punto di vista neutrergico razionale, attraverso lo studio continuato anche se a basse dosi. In questo modo, i flussi energetici di microparticelle che costituiscono la nuova informazione, costruttiva e positiva (che sono, in realtà, Onde elettromagnetiche che trasmettono flussi di particelle con caratteristiche fisiche come spin, frequenza e lunghezza d’onda, in grado di condizionare le tracce mnestiche costituite da altre particelle aventi caratteristiche fisiche differenti), influenzeranno, dal punto di vista delle caratteristiche fisiche, le particelle che servono a costruire le vecchie idee, impedendo loro, di “resistere” a lungo. Nel tempo, cambieranno anche le matrici delle idee, perché noi in memoria abbiamo le particelle e le matrici delle idee: le particelle le differenziamo con l’arrivo di nuove particelle energetiche che cambiano le caratteristiche di frequenza, le matrici, invece, ci vuole più tempo per modificarsi.

Cosa sono le matrici?

Rappresentano lo scheletro su cui si innestano le particelle per formare un’idea. Proponendo un esempio culinario, volendo realizzare un dolce, potremo agire su due grandezze differenti: lo stampino e gli ingredienti. Gli ingredienti sono rappresentati dalle particelle del nucleo atomico, lo stampino, è costituito da una struttura rigida su cui si “montano” le particelle, per dare vita ad un’idea stabile e ripetibile (entro certi limiti). È, quindi, una questione di tempo. Le particelle cambiano più velocemente, infatti basta attivare la neutrergia ed è quello che avviene all’interno di un colloquio da parte dell’analista: il risultato è che l’analizzato esce dallo studio del professionista tutto contento e trasformato (in termini di umore e voglia di vivere propositiva)… e non è una finzione, ma uno stato reale della persona. Però, bisogna lavorare per trasformare lo scheletrato e, nel contempo, mantenere attiva la propria mente, studiando, perché, altrimenti, le “vecchie” particelle prendono il sopravvento sul cantiere di lavoro e riprodurranno delle idee secondo il vecchio sistema. Quando il lavoro analitico non è completo, la sensazione di benessere e “innovazione” può, frequentemente, dar luogo all’illusione di essere cambiati definitivamente… senza grandi risultati e disillusioni dolorose.

Creazione di una nuova TRACCIA MNESTICA

Nel caso in cui l’Idea del mondo esterno risulti essere nuova (cioè non esistente nella memoria), la mente dell’analizzato, a livello inconsapevole, procederà alla fissazione della nuova idea in una traccia mnestica appositamente generata. Anche in questa evenienza l’intervento dell’Analista risulta utile: infatti, quest’ultimo, dovrà prima verificare la nuova idea e poi facilitare la sua assunzione mediante un meccanismo di rafforzamento.

La pazienza nella ripetitività rappresenta l’elemento fondamentale dell’opera dell’analista. Tutte queste dinamiche costituiscono il lavoro fattivo dell’analista durante il procedimento di analisi.

L’analisi condotta nella maniera più idonea, darà all’analizzato, come risultato finale :

  • L’arricchimento delle idee nuove.
  • La verifica delle idee antiche e le sue modificazioni.
  • L’accorpamento ed il rinforzo sulle idee già corrette.
  • Il sostegno e l’appoggio per rifiutare le idee scorrette e non permettere di dovere subire ancora.

LA NUOVA COMUNICAZIONE rappresenta il compimento ultimo di un percorso analitico, in cui si avrà “una persona nuova” e migliore, in grado di saper produrre Salute (Stato di benessere fisico, sociale e mentale) e Benessere (Condizione temporanea conseguente allo stato di equilibrio metabolico psicofisico che deriva dall’appagamento dei propri “bisogni”)

“La natura è grande nelle grandi cose, ma è grandissima nelle più piccole” (Bernardin de Saint-Pierre).

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Dr. Giorgio Marchese (medico psicoterapeuta) – Docente di Fisiologia Psicologia c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico – Roma 2011

Si ringraziano Fernanda Annesi (Biologo C.N.R. / Counselor) e Paolo Chiaia (Counselor – Musicista) per la collaborazione offerta nella ricerca bibliografica, nella scelta delle slide e per gli spunti di ricerca e di riflessione offerti.