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C’è, nei reconditi del proprio io, un’ancestrale paura del buio, retaggio che ci portiamo dentro fin dagli albori della umanità; e, pur non di meno, c’è, nel mistero della notte, un “sentire” che travalica il tempo e lo spazio:la memoria corre, trepida, a rivivere

indefiniti istanti di gioia, ed il volto dell’amata illumina il vuoto dell’anima.-

Sono trascorsi appena sei mesi dall’evento luttuoso, eppure, per me, tutto è fermo a quel mattino di giugno, allorché anche il sole turbava la tragedia che vivevo, mentre, tutt’intorno, ogni realtà perdeva valore.

I giorni trascorrono monotoni, uguali, ravvivati, soltanto, dalla presenza dei figli: la più bella, la più splendida eredità che tu, Teresa, mi hai lasciato.

Ma è la notte che aspetto, quando ogni rumore, pur inavvertito nel giorno, diventa messaggio di mistero e la mano scivola, lieve, ad accarezzare il cuscino che conciliava il tuo lieve e ritmato respiro.

Si ipotizza che l’anima abbandoni il corpo solo quando si spegne l’ultima sinapsi cerebrale: se così è, allora, negli istanti in cui fluttuavi nell’asettica stanza dell’ospedale, ci hai visto, disperati, lamentare il dolore che la tua dipartita ci ha procurato; deve essere estasi indicibile il mistero dei giardini eterni, se ti hanno consentito di preferirli al nostro soffrire…………..

Non è la funerea materialità della tomba che consente ” la corrispondenza d’amorosi sensi ” tra il defunto e chi gli sopravvive: sono i nostri pensieri che, nel ricordo, richiamano la persona amata, quasi come preghiera che corre tra la terra e il cielo.

Forse a questo alludeva il Leopardi quando concludeva il suo “l’Infinito “, perchè, anche per me ” il naufragar m’è dolce in questo mare.”

 Giuseppe Chiaia alla sua Teresa. (4 dicembre 2010)