Nell’età evolutiva.
COUNSELING
La genitorialità rappresenta una situazione evolutiva strettamente legata alla storia infantile ed adolescenziale: la capacità di effettuare costruzioni precostituite sul funzionamento genitoriale dei propri genitori costituisce un importante presupposto rispetto all’elaborazione di progetti e desideri riguardo alla propria genitorialità e influenza le modalità di accudire e interpretare gli stati emotivi e dei bisogni del proprio bambino. L’evidenza che la genitorialità rappresenta la continuità dell’esperienza familiare o una sorta di opposizione ad essa è alla base degli interventi sui conflitti della genitorialità.
Sulla base delle interazioni ripetute con le principali figure dell’accudire un bambino costruisce la propria rappresentazione di sé, dell’altro e del mondo esterno; per questo i genitori hanno una fondamentale importanza nell’organizzare la personalità del bambino, e ci si chiede in che modo una genitorialità disturbata possa correlarsi con l’eventuale evoluzione patologica dei figli.
In altre parole, la genitorialità e l’età evolutiva rappresentano due momenti del ciclo di vita fortemente interconnessi e interagenti tra loro. I due individui in gioco, il genitore e il bambino, seppur distinti nella loro individualità personale e di ruolo, sono considerati in ugual misura attivi partner costruttori della stessa interazione.
Tra i protagonisti di quest’interazione, esiste una circolarità di influenzamenti e adattamenti reciproci che rendono il binomio genitore-bambino o la triade mamma-papà-bambino quali unità di funzionamento interattivo che rendono fortemente interdipendenti lo sviluppo psicologico e fisico del figlio e quello del genitore nella sua funzione genitoriale e di adulto. Infatti, la funzione genitoriale così come esercitata dal genitore può avere molteplici influenze sia sullo sviluppo della prole in generale che sulla modalità in cui verrà interiorizzata ed esercitata a sua volta la funzione genitoriale dei figli. Allo stesso modo, lo sviluppo e le caratteristiche del figlio hanno degli effetti importanti sulle modalità di assunzione della funzione genitoriale e dell’integrazione di questo ruolo nella propria identità globale di adulto.
E’ possibile pensare che se a volte i disturbi gravi della relazione madre-bambino derivano dalla conflittualità genitoriale preesistente, altre volte vengono provocati dalle caratteristiche del bambino e dalle vicende prenatali che rendono il genitore “perturbato e perturbante” (è quello che può succedere, ad esempio, nei genitori di figli prematuri e affetti da handicap), altre volte ancora dal contesto di vita in cui si colloca la loro relazione.
Nessun bambino possiede già alla nascita quei comportamenti che riteniamo desiderabili, ma tutti li apprendono se un adulto dotato di amorevole pazienza glieli insegna. Non è facile e nessuno, ancora oggi, si preoccupa di addestrare i genitori a questo compito arduo. Ciò non toglie, però, che non si possano trovare stimoli anche per chi, genitore o insegnante, si trovi di fronte a bambini meno problematici.
La capacità di autoregolazione è la facoltà della persona di regolare autonomamente il proprio comportamento. Essa si sviluppa nel bambino tra in età infantile ed è necessaria la presenza attiva degli adulti. Essi devono fornire al bambino dei binari da seguire che non li costringano a compiti troppo difficili né gli lascino assoluta libertà. Il bambino deve imparare cosa fare in ogni contesto e quali sono le conseguenze del suo comportamento. Regole eccessivamente rigide o difficoltose rendono il bambino insicuro e non obbediente e gli adulti sfiduciati.
Le punizioni dirette (es. quelle fisiche) spesso non sortiscono i risultati desiderati e, più spesso ancora, servono solo ad abbassare l’autostima del bambino. Risultano più utili le punizioni preventivamente "concordate" con il bambino: egli deve essere consapevole delle conseguenze spiacevoli del suo comportamento e deve vedersi comminata la punizione con regolarità e obiettività. Bisogna evitare di seguire il primo impulso o di dimenticare la punizione quando ci vuole, ma l’educatore deve divenire sistematico e obiettivo.
Anche le reazioni ai comportamenti positivi si devono gestire con molta accuratezza, poiché da esse dipende la probabilità che il bambino consolidi il comportamento desiderato emesso raramente. In questi casi ci si deve ricordare sempre di premiare il comportamento in maniera esplicita dicendo chiaramente che si è contenti e che il bambino viene premiato perché ha fatto una determinata cosa. L’esempio esplicito nel quale si mostra chiaramente e semplicemente cosa e come si deve fare, è uno strumento fondamentale a cui è necessario dedicare tutto il tempo necessario, mostrando attenzione verso il bambino che sta imparando. È altresì fondamentale premiare esplicitamente e sempre anche i piccoli passi.
L’aggressività infantile è una problematica abbastanza ricorrente nei bambini odierni ed è legata, principalmente, all’intolleranza verso le frustrazioni. Spesso, però, è il sintomo di un disagio ben più profondo o è una richiesta d’attenzione. Quando l’aggressività si manifesta in maniera forte ed intensa potrebbe anche essere il sintomo di una patologia psicologica. In ogni caso prima ancora di punire e reprimere bisogna ascoltare non solo ciò che il bambino dice a livello verbale ma anche tutto quello che non dice.
Negli ultimi anni i disturbi emotivi sono stati al centro dell’interesse pubblico, e la comprensione della vita emotiva del bambino si è notevolmente ampliata in seguito al diffondersi di nuove conoscenze sul funzionamento della mente e sui meccanismi sottostanti le diverse emozioni. Si è potuto constatare che il bambino non è un agente passivo agli stimoli esterni, ma al contrario, assume un modo attivo nella costruzione della sua realtà. Molti dei nostri contenuti mentali sono il frutto dell’elaborazione di ciò che ci è pervenuto per mezzo degli organi di senso in seguito all’esperienza. Non si può parlare di sviluppo della personalità e maturità psicologica senza tener conto del fatto che il mondo interno e gli aspetti affettivi ed emotivi del bambino che si sono strutturati in seguito alle prime vicissitudini relazionali, contribuiscono a determinare ogni atto di pensiero e le possibilità che ha l’individuo di percepire, conoscere e porsi nei confronti della realtà. In questa prospettiva, ha senso ipotizzare che il processo di crescita cognitiva possa essere incrementato dalla relazione con un adulto attento a cogliere e pensare le emozioni implicate nei processi di apprendimento del bambino. Ogni nuova esperienza stimola il soggetto a mettere in gioco le proprie conoscenze e i propri assetti mentali per poter assimilare il nuovo sapere, è un lavoro di ristrutturazione analogo a quello che affronta il bambino quando rinuncia alle acquisizioni del camminare carponi e accetta l’insicurezza di un periodo in cui le competenze precedenti non servono più e, oltretutto, sono ancora strutturate quelle necessarie ai nuovi equilibri del camminare. Si può iniziare a comprendere come il disagio psichico, sia un potenziale di crescita mentale se non viene evaso, allontanato ed in seguito elaborato. Ci si rende conto come un notevole numero di bambini e adolescenti, sviluppino un apparato mentale che non è in grado di contenere ed elaborare gli aspetti più difficili dell’esperienza. Tali sentimenti invadono gli spazi ed i processi della conoscenza al punto di soffocare la speranza, di trovare dentro di sé uno spazio sufficientemente adeguato a vivere la quotidianità. Una volta che le emozioni di odio, rivalità, invidia, gelosia hanno riassunto una certa violenza nel mondo interno, evocano distruttività, senso di colpa, depressione ed insuccesso scolastico. Inoltre, questo disagio, accompagnato da atteggiamenti di ritiro e assorbimento in se stessi o con comportamenti provocatori e aggressivi, rendono il genitore o l’insegnante impotente. Il modo in cui il bambino parla a se stesso, interpretando e valutando la realtà circostante, può costituire un mezzo efficace per potenziare la sua capacità di affrontare varie situazioni problematiche. Il ricorso al dialogo interiore si è rivelato estremamente utile nell’aiutare i bambini con problemi di tipo interiorizzato quali ansia, fobia, tristezza, bassa autostima. L’utilizzo sistematico di un dialogo interiore costruttivo, è una risorsa preziosa che mette in grado di dare il meglio di sé stesso senza essere vittima di eccessive tensioni emotive. Ciò riflette la tendenza ormai ampiamente diffusa in ambito psicologico ed educativo a focalizzare l’attenzione sui meccanismi cognitivi piuttosto che su ipotetici fattori inconsci. Imparare fin da bambini le strategie di pensiero positivo e razionale costituisce un potente strumento che aiuta a diventare, una volta adulti, persone realizzate e serene.
Marco Marcelletti