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È il peso delle frustrazioni, negate, relegate a ruolo scomodo, nemiche del nostro tanto desiderato benessere.

Il nostro tempo non prevede spazio per questa reale, tangibile e necessaria componente della nostra esistenza.

Costante presenza, quotidiana nelle sue innumerevoli manifestazioni, rende migliore la nostra vita.

È vero, siamo nati per godere, ma il piacere non è sempre diretto e chiaramente percepibile; le elaborazioni del nostro pensiero devono poter analizzare le situazioni che viviamo e richiedono la nostra attenzione, per trarne vantaggio e utilità nel raggiungimento e il mantenimento di quell’equilibrio psicofisico che determina una vita migliore.

Le frustrazioni, scomode, dolorose, sono giustamente e naturalmente evitate dal nostro innato senso di protezione, ma su apprendimenti sbagliati e scorretto sviluppo della propria identità i sintomi di una vita sofferente sono scontati.

La non accettazione del dolore produce dolore, ossia per evitare la sofferenza del mancato appagamento di un bisogno o desiderio (frustrazione) creiamo situazioni, fasi transitorie che prolunghiamo con enormi disagi e uguali se non maggiori sofferenze.

Sembra non esserci scampo dunque, dobbiamo soffrire!

Non è proprio così, siamo esseri umani, quindi capaci di modificare, adattare, capire, pensare e produrre pensieri corretti, siamo in grado di capovolgere le situazioni, abbiamo gli strumenti per lavorare correttamente sulla reale possibilità di elaborare e modellare il dolore sull’impronta della nostra personalità.

Ampliando la conoscenza, studiando di sé e dell’uomo, delle sue potenzialità per vivere giustamente nel rispetto e l’accettazione contrapposti al rifiuto e alla rinuncia di ciò che è, esiste e non può essere cancellato, ignorato o inutilmente rimandato a risoluzioni che, prima o poi, chiederanno un prezzo molto più alto da pagare.

Procurarsi le conoscenze adatte per affrontare con forza neutrergica, e quindi lucida, quelle sofferenze che gelosamente custodiamo in cassetti, ormai straboccanti, spesso per tutta una vita.

Scomoda, falsa, all’insegna di un’ipocrita, effimera e apparente felicità, mantenendo un’identità pigra e impigrita da una facile, continua rinuncia che ci rende incapaci di avere buoni rapporti con noi stessi pretendendo di averli poi con gli altri.

Non ci amiamo!

Non ci amiamo abbastanza da capirci ed aiutarci ad individuare, affrontare e superare il dolore, non abbiamo il coraggio e il rispetto che necessitano perché non godiamo della sana competizione con noi stessi per il miglioramento, non godiamo dell’enorme, unico, vero piacere di vincere ogni giorno la battaglia dell’armonia e del benessere psicofisico per svegliarsi con la voglia di affrontare il mondo.

C’è un sottile, ma infinito piacere nell’assaporare l’aroma di quel prezioso elemento chiamato soddisfazione: di sé, del proprio operato, del proprio sapere e dell’uso, tutto personale, soggettivo, unico, e per questo prezioso, che ne facciamo.

È questa differenza che differenzia rendendoci non etichettabili, marchiabili da ciò che invece ci accomuna tutti nella sua oggettività: le frustrazioni.

Ci sono per tutti, tante, ma se impariamo a riconoscerle, classificarle, analizzarle, sapremo come metabolizzarne le arrecate sofferenze per far spazio a quella conciliazione con noi stessi che solo la conoscenza ci può dare e che è la sola a soddisfare il bisogno di pace e tranquillità interiore migliorando la qualità delle nostre tracce mnestiche e della nostra vita.

Dora Principe

Cosenza, lì 15.03.2002