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La pratica forense è compatibile col lavoro dipendente?

L’esercizio
della professione di avvocato è
“incompatibile
con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul
bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle istituzioni
pubbliche di beneficenza, della Banca d’Italia, del gran magistero
degli ordini cavallereschi, del Senato, della Camera dei deputati ed
in generale di qualsiasi altra Amministrazione od istituzione
pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle provincie e
dei Comuni. È infine incompatibile con ogni altro impiego
retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di
assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o
letterario
, come dispone l’art. 3 del r.d.l. n.
1578/1933, al fine di garantire lo svolgimento dell’attività
di difesa nell’interesse del cliente prevenendo condizionamenti.

Detta
incompatibilità, però, non vale anche per gli
aspiranti avvocati,
come precisato dalla Corte di Cassazione,
Sezioni Unite con sentenza n.28170/2008
, con cui è stato
accolto il ricorso di un carabiniere, contro il provvedimento di
cancellazione dal Registro Speciale dei praticanti avvocati per
supposta inconciliabilità dell’impiego pubblico con lo
svolgimento della pratica professionale.

Invero,
secondo la Suprema Corte non è ravvisabile alcuna
incompatibilità tra chi sta imparando la professione, e che
ancora non espleta alcun mandato difensivo, ed il lavoro dipendente.
Infatti,
le
incompatibilità previste per gli avvocati “
possono
essere estese ai soli praticanti ammessi al patrocinio”
,considerato
che servono ad assicurare l’indipendenza dello svolgimento del
mandato professionale, ma non anche ai praticanti non ammessi al
patrocinio, che possono essere iscritti nell’apposito registro
speciale anche se legati da un rapporto di lavoro con soggetti
pubblici o privati, essendo loro impediti l’assunzione e
lo svolgimento del mandato difensivo.

Erminia
Acri-Avvocato