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Difendersi
dal mobbing (1).


Aiutare
le vittime del mobbing: questo è lo scopo dei Centri di
Ascolto Antimobbing, presenti in Italia ad iniziativa di sindacati,
associazioni nate con la finalità specifica di assistere i
lavoratori vittime di mobbing, e, da qualche anno, anche di enti
pubblici.

L’aiuto
è fornito attraverso un’attività di informazione nei
confronti del mobbizzato e di intervento specifico nei singoli casi,
ad opera dei responsabili dei Centri, con il supporto di esperti
(medici, psicologi, avvocati).

Come
orientare la vittima di mobbing?

  • Sostegno
    psicologico per comprendere le cause del mobbing e stabilire un
    piano individuale per affrontare adeguatamente la situazione

  • invito
    a raccogliere tutti i documenti relativi ai danni psicofisici subiti

  • invito
    a rivolgersi al medico competente e ai Rappresentanti dei lavoratori
    per la sicurezza (Rls)

  • invito
    a fare un resoconto scritto di ogni azione mobbizzante subita (data,
    ora, luogo, persone presenti e descrizione dei fatti)

  • invito
    a raccogliere documenti, e-mail, appunti e qualsiasi altro scritto
    che attesti le azioni mobbizzanti

  • invito
    a cercate alleati (colleghi disposti a testimoniare: magari tra gli
    Rsu-rappresentanti sindacali unitari- o tra gli Rls o tra lavoratori
    in pensione)

  • invito
    ad effettuare in forma scritta, con raccomandata a.r., ogni
    richiesta diretta all’azienda

  • invito
    a consultare un legale per eventuali azioni civili e/o penali

  • invito
    ad evitare assenze per malattia se non per il tempo strettamente
    necessario, salvo i casi in cui il mobbizzato sceglie di lasciare
    quello specifico luogo di lavoro, avendo un’alternativa immediata.

Azioni
civili a disposizione del mobbizzato.


Azione
contrattuale:
il diritto al
risarcimento del danno deriva dall’inosservanza, da parte del datore
di lavoro, degli obblighi di protezione previsti dall’art. 2087
cod. civ., che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale del lavoratore, ma anche di
tutela della professionalita’ prevista dall’art.2103 cod. civ.,
che sancisce il divieto di trasferimento del lavoratore, se non per
provate ragioni tecniche, organizzative e produttive, e l’obbligo di
adibirlo alla mansione per la quale è stato assunto, o alla
mansione superiore avendola acquisita.

Nel
caso di condotte mobbizzanti lesive della professionalità del
lavoratore in violazione dell’art.2103 cod. civ. (trasferimento,
demansionamento), oltre al risarcimento dei danni, il lavoratore può
rivolgersi al giudice per chiedere il ripristino della precedente
posizione di lavoro.

Trattandosi
di azione contrattuale, può essere proposta nei confronti del
datore di lavoro, persona fisica o ente con personalità
giuridica.

Onere
della prova. Il lavoratore deve provare l’inadempimento del
datore di lavoro agli obblighi derivanti principalmente dall’art.
2087 c.c. e dalle altre norme richiamate, ossia: le azioni illecite
poste in essere dal datore di lavoro, il danno subito ed il nesso di
causalità tra le condotte mobbizzanti ed il danno –
almeno in termini di alta probabilità-. Il lavoratore non deve
dimostrare, come invece nella responsabilità aquiliana, anche
la sussistenza della colpa del datore di lavoro inadempiente. Su
quest’ultimo infatti, grava l’onere di provare di aver
adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del
danno o che il danno non è riconducibile all’inosservanza
degli obblighi di protezione delle condizioni di lavoro del
dipendente.

L’azione
contrattuale si prescrive in dieci anni.

Azione
extracontrattuale:
le condotte
mobbizzanti possono dar luogo ad una responsabilità di tipo
extracontrattuale, fondata sul generale divieto del neminem laedere
ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., che pone l’obbligo del
risarcimento del danno a carico di chi, con una condotta dolosa o
colposa, cagiona un danno ingiusto ad altri. Tale azione può
fondarsi anche sulla violazione dell’obbligo di vigilanza sui propri
dipendenti da parte del datore di lavoro, di cui all’art.2049 cod.
civ., che pone a carico di quest’ultimo una responsabilità
indiretta per il fatto commesso dal proprio dipendente.

Può
essere proposta nei confronti del datore di lavoro, che risponde sia
per fatto proprio ai sensi dell’art. 2043 cod.civ. sia per i
fatti illeciti commessi dagli altri dipendenti, ai sensi dell’art.
2049 cod.civ., e nei confronti degli autori materiali della condotta
mobbizzante, diversi dal datore di lavoro che rispondono direttamente
ai sensi dell’art. 2043 cod.civ.

Onere
della prova.
Il
lavoratore deve dimostrare la condotta illecita, il danno, il nesso
di causalità tra la condotta ed il danno, nonchè la
colpa o il dolo dell’agente.

Prescrizione:
si compie in cinque anni salvi i casi in cui il fatto si considerato
dalla legge reato.

Azione
ripristinatoria
: diretta ad
ottenere una sentenza che annulli l’atto lesivo (ad es.,
demansionamento, trasferimento, dimissioni forzate, ecc.) e
ripristini la situazione antecedente ad esso.

Azione
cautelare:
diretta a prevenire,
inibire o far cessare la condotta mobbizzante con i provvedimenti
d’urgenza necessari per la salvaguardia dell’integrità
psicofisica del lavoratore.

Affinché
possa essere emesso il provvedimento cautelare, occorre:

  • che
    la condotta dell’azienda configuri una palese violazione di norme
    imperative di legge (fumus boni iuris),

  • che
    il diritto invocato sia minacciato da un pregiudizio imminente ed
    irreparabile durante il tempo necessario a farlo valere in un
    giudizio ordinario. Spetta al lavoratore dimostrare gli

    elementi concreti su cui si fonda il pericolo (periculum in
    mora).

Giudice
competente per materia:

  • per
    le
    azioni proposte dal lavoratore contro il datore di
    lavoro
    è indiscussa la
    competenza del Tribunale in funzione di Giudice Unico del Lavoro,
    sia con riferimento alla responsabilità contrattuale sia con
    riferimento alla responsabilità extracontrattuale;

  • le
    azioni promosse dal lavoratore contro superiori e
    colleghi
    , secondo la
    giurisprudenza, rientrano anche tra le controversie di lavoro e
    sono, perciò di competenza del Tribunale in funzione di
    Giudice Unico del Lavoro (<<
    controversie
    relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 409 n.
    1) c.p.c. debbono intendersi non solo quelle relative ad obblighi
    caratteristici del rapporto di lavoro, ma anche quelle per le qu
    ali
    la pretesa fatta valere si colleghi direttamente a detto rapporto,
    nel senso che questo pur non costituendo la causa petendi di tale
    pretesa si presenti come antecedente e presupposto necessario, non
    meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla
    quale viene invocata la tutela giurisdizionale. Pertanto rientra fra
    le predette controversie ed e’ quindi devoluta alla competenza del
    pretore in funzione di giudice del lavoro quella con la quale il
    lavoratore richiede il risarcimento dei danni per comportamento
    ingiurioso del proprio datore di lavoro e del superiore gerarchico,
    deducendo come causa petendi la violazione dell’art. 2087 c.c. che
    impone all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e la
    personalità morale del prestatore di lavoro e l’abuso del
    potere disciplinare>>. Sentenza Cassazione Civile Sezione
    Lavoro, 15 gennaio 1998, n. 308);

  • per
    le
    a
    zioni
    proposte dai congiunti del lavoratore,

    la giurisprudenza ritiene sussistente
    la
    competenza del Giudice del Lavoro ove i congiunti facciano valere in
    giudizio, in qualità di eredi, situazioni soggettive di cui
    era titolare il lavoratore (azioni proposte “iure ereditario”).
    Per le azioni proposte “iure proprio”, ossia come
    soggetti estranei al rapporto di lavoro, dai congiunti del
    lavoratore deceduto, anche se la morte del dipendente sia derivata
    da inadempimento contrattuale del datore di lavoro verso il
    dipendente ai sensi dell’art. 2087 c.c., si ritiene che sia
    competente il Giudice Ordinario perché si tratta di un’azione
    fondata sulla responsabilità extracontrattuale di cui
    all’art. 2043 c.c., <<rappresentando il rapporto di lavoro la
    mera occasione della responsabilità oggetto
    dell’accertamento>> (Cassazione Civile Sezione Lavoro, 4
    settembre 1999, n. 9539).

Giudice
competente per territorio:

Il
lavoratore può adire, alternativamente, il giudice del luogo
in cui è sorto il rapporto -ossia dove si è concluso il
contratto di lavoro-, o quello del luogo in cui si trova l’azienda o
una sua dipendenza nella quale il rapporto ha effettivo svolgimento.
Se non è possibile ricorrere ai suddetti fori, la competenza è
determinata secondo le regole generali di cui all’art.18
cod.proc.civ., che così dispone: <<Salvo che la legge
disponga altrimenti, e’ competente il giudice del luogo in cui il
convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono
sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora. Se il
convenuto non ha residenza, ne’ domicilio, ne’ dimora nella
Repubblica o se la dimora e’ sconosciuta, e’ competente il giudice
del luogo in cui risiede l’attore>>
.

Per
i rapporti di lavoro con pubbliche amministrazioni, è
competente il giudice del luogo in cui ha sede l’Ufficio della
stessa presso la quale il dipendente presta o prestava servizio al
momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Erminia
Acri-Avvocato