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…fra i due litiganti, il terzo non “gode”


 

Colloqui riservati – 47

Caro Dottore, vorrei farle qualche domanda su un caso particolare che mi si è presentato nel mio lavoro. Si è rivolto a me un giovane padre (di 24 anni) chiedendomi di assisterlo nella procedura di separazione personale dalla moglie e fornendomi una serie di motivazioni per le quali vorrebbe che la figlia di soli 2 anni sia affidata a lui e non alla madre, come solitamente capita quando si tratta di figlio così piccolo. Inizialmente, d’accordo col difensore della madre, avevamo pensato ad un affidamento congiunto, in base al quale la bambina avrebbe vissuto, a mesi alterni, col padre e con la madre, però, poi mi sono state fornite altre informazioni che mi hanno fatto ripensare circa l’opportunità di una soluzione che avrebbe soddisfatto entrambi i genitori, ma non le esigenze della bambina di vivere e crescere in un ambiente sano.

Mi sembra opportuno, innanzitutto, premettere la storia di questa giovane coppia. Si tratta di due ragazzi che “si sono messi insieme” (come si dice comunemente), e dopo poco tempo, hanno dovuto affrontare (all’età di 22 anni ciascuno) il problema di una gravidanza indesiderata: la ragazza voleva abortire, ma il ragazzo ha voluto che non lo facesse. Quindi, si sono sposati e sono andati a vivere presso i genitori del ragazzo, i quali sono stati disponibili a mantenere la giovane coppia ed a mantenere e curare la nipotina, che, in pratica, è stata allevata dalla nonna, visto che, sin dai primi giorni di vita, ha dormito con la nonna e non con la madre (che dormiva in una stanza addirittura del piano inferiore dell’edificio d’abitazione) e che la nonna provvedeva a darle da mangiare con la frequenza necessaria, a lavarla, vestirla, assisterla.

La madre (la cui famiglia ha un livello socio-culturale molto basso e grosse difficoltà economiche) non solo voleva abortire all’inizio della gravidanza, ma durante il corso di essa ha provato, più volte, a provocarsi una interruzione della gravidanza tirandosi pugni sulla pancia e, poi, dopo la nascita della figlia, si è sempre disinteressata delle esigenze della bambina, mostrando fastidio di fronte al suo pianto, arrivando persino a stringerle fortemente le mani pur di farla smettere di piangere.

Premesso ciò, vorrei sapere se, sul piano naturale, è veramente la madre più idonea ad allevare e curare un figlio piccolo, rispetto al padre?

La mamma, in genere, ha un maggiore grado di accettazione nei riguardi del figlio perché è stata disponibile a portare avanti tutta la gravidanza, e ad avere delle limitazioni, vuoi il peso, vuoi l’ingombro, poi l’allattamento, il cambio dei pannolini. I primi due anni di vita sono molto difficili. Quindi, da questo punto di vista, è più la mamma che sta vicino al figlio. Nel nostro caso, invece, ci troviamo di fronte una disperata incapace di assumersi qualsiasi responsabilità

Ma, in genere, il figlio è più legato alla madre per il fatto di essere stato nel suo ventre e per le cure che riceve da quando viene al mondo?

Per tutto ciò che ha avuto e continua ad avere, attenzione, però, perché possono capitare delle condizioni differenti, in cui il padre è più presente della madre e, quindi, s’inverte la situazione. La legge non è rigida dal punto di vista naturale.

Sono proprio questi elementi che, secondo me, mancano negli operatori del diritto e che, invece sarebbe necessario acquisire per non usare pregiudizi!

Ma se uno spiega al giudice che la mamma cercava di abortire tirandosi dei pugni, che ha dimostrato di essere inaffidabile, immatura, che aspira ad avere una vita migliore e con la figlia le si creerebbe un ostacolo, come fa, il giudice, a ritenerla idonea?

Se una madre, durante tutta la gravidanza, ha dimostrato un rifiuto verso la figlia…..

…non era pronta per avere un figlio…

Sì, ma lei mi ha spiegato che i figli, mentre sono nella pancia, risentono di queste situazioni, di conseguenza questa bambina può aver avuto dei traumi?

Può averli avuti, ma, se non li manifesta in questo periodo, si faranno sentire molto più in là, attraverso dei disturbi più gravi.

Il fatto che la madre, tuttora, si lamenti del fatto di non aver abortito, perché se lo avesse fatto, ora non vivrebbe la situazione in cui si trova, cosa lascia intendere? Che il rifiuto verso la figlia c’è ancora?

Lei rifiuta tutta la situazione.

Questa mamma cerca di fare “dispetti” al marito: ad esempio, qualche giorno fa il marito avrebbe dovuto portare la bimba a fare un trattamento medico e poi portarla alla moglie, che, al momento, vive presso la propria madre, e, per le prese di posizione di questa donna, che ha preteso che la figlia le venisse portata entro una certa ora, la bimba non ha fatto il trattamento medico.

Anzitutto, verifichi la veridicità dell’evento. Comunque questo è un altro elemento che mette in evidenza la pericolosità di questa donna, perché è vendicativa nei confronti del marito ed utilizza la figlia… e questo non è possibile. Bisognerebbe togliere la bimba ad entrambi i genitori ed affidarla a chi se né occupato (la nonna paterna), se è una cosa possibile.

Sì, è una cosa possibile, perché prima il giudice deve accertare se è idoneo uno dei genitori e, in caso negativo, il figlio è affidato a terzi. La mamma, apparentemente, non è idonea.

Io noto che gli avvocati che si dichiarano esperti di queste problematiche non hanno un’adeguata formazione e preparazione, non per gli aspetti giuridici, ma per quelli psicologici. Ad es. ho incontrato una collega che non riesce ad accettare l’idea che una figlia venga affidata al padre e “tolta” alla madre, perché ha lei figli piccoli…Quindi non riesce ad essere obiettiva, pur affermando che lei avrebbe più titolo a parlare e sostenere tale posizione proprio perché è mamma!

Bisognerebbe risponderle: “Il fatto che tu sia mamma non c’entra, anzi è un’aggravante perché non sei distaccata dal problema, quindi, essere mamma non ti aiuta perché ti fa vivere da dentro il problema e non ti consente di distaccarti, come dovrebbe fare un professionista. Tu sei mamma, ma quella non è una mamma come te, di conseguenza non puoi fare una valutazione su cosa faresti tu, perché quella è una disperata. Allora, solo perché sei mamma lei deve avere in affidamento al bambina e, magari, le viene una crisi depressiva, va sulla ferrovia si butta sotto un treno con la bimba. Questa donna ha cercato di uccidere la figlia prima che nascesse, chi ci garantisce che non potrebbe ucciderla anche adesso?”. Ci sono tanti elementi perché questa madre non abbia in affidamento la figlia, basta dire che ha tentato di sopprimerla più volte.

Come le dicevo, avevamo pensato di trovare un accordo nel senso che la bimba stesse un mese con un genitore ed un mese con l’altro, almeno finché non potrà scegliere lei stessa…

Come? Tutta la vita un mese con uno ed un mese con l’altro? E poi quando andrà a scuola? E poi, dopo che, trascorso un mese, la bambina si è affezionata ancora di più alle persone con cui è stata, la si porta in un altro posto e, dopo un mese, dopo che si riaffeziona agli altri, la si sposta di nuovo…..immagini i pianti e altro!

E se si riducesse il tempo: 15 giorni con uno e 15 con l’altro?

Se fosse più grande, si potrebbe prevedere un affidamento congiunto, facendo scegliere alla figlia presso quale genitore stare e quanto, ma, essendo piccola, non è possibile. Quanto alla riduzione del tempo a 15 giorni presso ciascun genitore, ciò renderebbe più frequente il trauma. Un conto è dire alla bambina “Andiamo da nonna?” e andarci se lei dice “Sì”; un conto è dire: “Andiamo da nonna?” e, se lei risponde di no, dirle: “No, ci vai lo stesso”. Poi, comincia ad ammalarsi per non spostarsi. Se la nonna paterna è disponibile a prendersela, bisogna fare di tutto perché la bimba le sia affidata, dando la possibilità alla mamma di vederla quando vuole. La bimba non è un oggetto e, poi, bene o male, dalle persone con cui sta che messaggi vuole che riceva? E, quindi, comincia a dire “Io ora vado dall’orco”, poi va nell’altra casa e riceve messaggi negativi sulla famiglia dell’altro genitore.

E se l’avvocato della mamma insiste affinché la bimba venga affidata, appunto, alla sua assistita, perché, come mamma, non le pare concepibile togliere una figlia così piccola alla madre?

Basta dirle: “Dovresti capire proprio perché sei mamma. La prenderesti una baby sitter che stringe i polsi di tua figlia per farla stare zitta? La prenderesti una baby sitter che ha provato ad abortire tirandosi i pugni sulla pancia? Certamente no, allora, visto che sei mamma, riflettici”. Questa mamma non solo non è idonea, ma può costituire un pericolo per la figlia: ha tentato di ucciderla quando era in utero, nessuno ci garantisce che non succederebbe ancora. Dà alla figlia cibo avariato. Sono tutti segnali. Basta spiegarlo al giudice e dirgli: “Che vogliamo fare? Vogliamo assistere a qualche episodio che qualche giorno sul giornale esce fuori che la bambina è stata uccisa?” Già un danno alla bambina è stato fatto perché non ha una mamma. Può essere una mamma una persona che cambia la figlia e la lascia sporca? Una che dà caramelle alla figlia e la figlia rischia di affogarsi? Non può essere nemmeno una sorella maggiore! Non potrebbe neppure fare la baby sitter!

Ma come si può arrivare ad utilizzare una bambina come strumento di vendetta?

Succede spesso.

Ma poiché, comunque un genitore è legato affettivamente ad un figlio, non si rende conto che lo danneggia? Non se ne rende conto o non gliene importa delle conseguenze?

Dipende dall’interesse personale.

Questa ragazza ha voglia di vendicarsi.

Può pure prendere la figlia e lanciarla contro il marito, usandola come corpo contundente.

Bene, allora farò presente queste circostanze e l’esigenza che la bambina cresca nell’ambiente più idoneo.

Anche se la bimba avesse 15 anni, se vivesse un po’ in un posto ed un po’ in un altro, sarebbe una spaesata. Lei ha bisogno di un ambiente, come l’animale di una tana. Al giudice si può aggiungere “Siamo sicuri che non la consegniamo sulla strada della droga, questa bambina? In un ambiente degradato come quello, siamo sicuri che non la utilizzano come corriere o non inizia a drogarsi? Gente che vive in quelle condizioni che cosa può insegnare? In un mondo come questo che è altamente pericoloso”.


In questo caso, se si affidasse la figlia in modo alternato ai due genitori, quest’ultima potrebbe andare incontro a seri traumi psicologici. Rischierebbe di chiudersi in se stessa e non legarsi più a nessuno, in quanto consapevole del fatto che, sistematicamente, perderebbe questa figura di riferimento affettivo. La legge consente di decidere per un essere umano cui stai praticamente firmando una condanna di suicidio, di droga, di vita infernale.

Una persona che non sviluppa affettività, che si guarda da tutti, che cresce in un ambiente povero, la prima cosa che fa è: prostituirsi (usa gli altri). La seconda cosa che fa: si droga, perché non ha nessuna prospettiva. Basta portare delle statistiche al giudice, ed una relazione di un consulente. Ci sono delle situazioni oggettive, economiche, morali, sociali, di immaturità, di pericolosità, che un esperto non può non notare!

Giorgio Marchese – medico psicoterapeuta

 

Si ringrazia l’Avv. Erminia Acri per la collaborazione.