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Quel giorno c’era un dolce “Zefiro”, e lo “Zar”, con lo “Zolfanello” in mano, sembrava uno “Zuzzurullone”, invece aveva solo fame e voleva una calda “Zuppa”…Buona lettura!


DIZIONARIO DEGLI ERRORI

ALLA BASE DI UNA COMUNICAZIONE CORRETTA, CIOE’ UTILE E PROFICUA, TESA A VALORIZZARE E MIGLIORARE LE RELAZIONI UMANE, C’E’ LA CONOSCENZA DEI VOCABOLI E DEI TERMINI. DA TALE CONOSCENZA DISCENDE QUELLA FLUIDITA’ NELLE FORME ESPRESSIVE CHE E’ GARANZIA DI CHIAREZZA E DI ARMONIA NEI RISULTATI. QUESTA RUBRICA VUOLE PROPORRE, PER CHI RITIENE CHE L’IMPORTANZA DEL LINGUAGGIO VADA OLTRE UN USO PRAGMATICO E SIA SOPRATTUTTO ESPRESSIONE DEL PENSIERO, UNA SERIE DI INDICAZIONI PER EVITARE GLI ERRORI PIU’ FREQUENTI NELL’USO DEI VARI TERMINI.


  1. Regolarizzàre: E’ meglio usare il verbo “regolare” o altri sinonimi come “sistemare, ordinare, assestare” ecc.

  2. Relativaménte: E’ errata la locuzione “relativamente a” con il significato di “per quel che riguarda, per quel che concerne”. Bisogna attenersi al significato originario: “parzialmente, in modo relativo”.

  3. Relazionàre: Sono da privilegiare i sinonimi “informare, riferire, raccontare” ecc.

  4. Rendicònto: Al di fuori del gergo commerciale, è più corretto usare “relazione, rapporto, resoconto”.

  5. Rètina: Si tratta della membrana del globo oculare. La retìna, invece, è una piccola rete.

  6. Rettìfica: E’ senz’altro preferibile usare questo termine, al posto di “rettificazione”, soprattutto nel linguaggio tecnico e burocratico.

  7. Riceziòne: E’ termine appropriato nell’ambito della telefonia, telegrafia e radio, nonché nel linguaggio commerciale e tecnico.

  8. Rifiutàre: Significa “non accettare una cosa offerta o che ci appartiene”. E’ improprio usare il verbo nel senso di “non voler dare o fare una cosa domandata”. In questo caso si dovrà usare il verbo “negare”. Dunque, per esempio, si rifiuta il denaro che viene offerto; si nega il denaro che viene chiesto in prestito.

  9. Riguàrdo: E’ errata l’espressione “al riguardo”.

  10. Rinunciàre: E’ più corretto dire “rinunziare”.


  1. Rispettivo: Son da evitare gli abusi in frasi come “verremo con i nostri rispettivi figli”; è sufficiente usare l’aggettivo possessivo.
  2. Roboante: Nonostante sia molto comune, la forma corretta è “reboante”.
  3. Rubrìca: E’ senz’altro da evitare la pronuncia “rùbrica”.
  4. Sabotare: Il verbo significa ostacolare sistematicamente con azioni di disturbo lo svolgimento di un’attività. E’ errato usarlo in senso figurato.

  5. Sacramentale: 1) Letteralmente, vuol dire “di sacramento”; 2) In senso figurato, significa “solenne, rituale”. Se ne abusa con il significato di “solito, consueto, abituale”.
  6. Salàce: In origine si usava nel senso di “lussurioso, eccitante, piccante”; oggi, significa anche “pungente, arguto, spiritoso”.
  7. Salcìccia: E’ voce popolare al posto di “salsiccia”.
  8. Saldo: Se si vuole indicare la merce residua in un negozio, è bene usare i termini “svendita, liquidazione”.
  9. Saliènte: E’ il participio presente del verbo salire. In senso letterale, vuol dire “che sale”. Per estensione, si usa nel senso di “che sporge, che risalta” e, quindi, “rilevante, preminente”. Non ha comparativo visto che indica già una posizione di spicco.
  10. Sardegnòlo: E’ aggettivo d’uso popolare e significa “inviso agli stessi sardi”.

  1. Sàrtia: Il termine appartiene al gergo marinaro e indica ciascuno dei canapi che, tesi, tengono ferma la cima dell’albero.
  2. Savoir faire, savoir vivre: Si tratta di espressioni francesi usate in italiano come sostantivi invariabili e indicanti il saperci fare, il saper vivere, tenere un comportamento disinvolto e brillante, dotato anche di tatto e diplomazia.

  3. Saxòfono: E’ lo strumento musicale inventato da Adolphe Sax. Questa grafia è etimologicamente più corretta della forma “sassòfono” che, tuttavia, è quella più comunemente usata.

  4. Sbafàre: E’ voce dialettale che significa “mangiare in abbondanza e scroccare spudoratamente”. E’ accettabile nel gergo familiare.

  5. Sballato: Il termine vuol dire “sconsiderato, avventato, sconclusionato”. La voce è nata da un’alterazione di “spallato” ed è ampiamente in uso.

  6. Sbèrla: L’espressione appartiene al dialetto lombardo ma, ormai, è molto diffusa e significa “schiaffo, ceffone”.
  7. Sbòbba: 1) Il termine indica una “brodaglia” e, per estensione una “bevanda disgustosa”; 2) In senso figurato, si intende “discorso o scrittura lunghi e confusi”. E’ accettabile il suo utilizzo nel gergo parlato e familiare.
  8. Sbollentare: E’ voce dialettale che significa “scottare in acqua bollente”.
  9. Sbrònza: L’espressione, tipica del dialetto romanesco, è largamente diffusa e, perciò, accettabile.
  10. Sbruffòne: Il termine sta per “spaccone, millantatore” il cui uso è relativamente diffuso.


  1. Scaramanzìa: E’ voce di origine popolare, probabilmente costituisce un’alterazione di chiromanzìa ed è sinonimo di scongiuro.
  2. Scemènza: Il termine è diffuso e significa “sciocchezza, stupidaggine”.
  3. Scendere: Può essere verbo transitivo, per es. “scendere le scale”. Non è corretto usarlo con il significato di “far scendere”.

  4. scia: I nomi che terminano in – scia, al plurale presentano la forma -sce, cioè perdono la “i”.
  5. Semplicista: E’ colui che risolve in modo sbrigativo i problemi, peccando di superficialità. Può essere sia sostantivo sia attributo, se riferito a persona; se riferito a cosa è più opportuno usare il termine “semplicistico”.
  6. Sennonchè: E’ sbagliato scrivere “senonchè”, poiché il “se” forma i composti con il rafforzamento della consonante da cui viene seguito.
  7. Servire: Usato nel senso di “essere utile a” va seguito dal complemento di termine e non dal complemento oggetto.
  8. Sfizio: E’ termine da evitare. Meglio usare le voci “capriccio, voglia”.

  9. Sgorgare: Il verbo è entrato nel linguaggio comune anche nel senso transitivo di “liberare tubazioni o lavelli otturati”.

  10. Sillaba: Per sillaba si intende la lettera o l’insieme di lettere pronunciate con una sola emissione di voce. Quando occorre spezzare le parole in fine di riga, le si divide secondo le sillabe. Non si possono mai dividere dittonghi o trittonghi che costituiscono un’unica sillaba, per es. “gua-ri-re”. Lo iato, al contrario, è divisibile, es “re-a-me”.



  1. Similitudine: E’ la figura retorica mediante la quale, al fine di rendere più chiaro un concetto o un ragionamento, lo si confronta con un altro più comune. Es: “Chiaro come il sole”.

  2. Sinèddoche: Questa figura retorica consiste nell’adoperare una parola al posto di un’altra che abbia un significato più ampio o ristretto della prima; si può, cioè, usare un termine che indichi il tutto per la parte, la parte per il tutto, il genere per la specie e così via. Es: “Il mondo è cieco”.
  3. Sinèresi: E’ la contrazione di due sillabe all’interno di una parola, nell’ambito di un verso, e si verifica con i gruppi vocalici -aio, -oio, -oia. Es. “…ed erra l’armonia per questa valle”(Leopardi), dove “armonia”, sostantivo di quattro sillabe, si contrae in tre sillabe.

  4. Soddisfare: Gli errori più comuni, nell’uso di questo termine, derivano dalla dimenticanza che si tratta di un composto del verbo fare. Per esempio, è errato dire “soddisfavo, soddisfando”, al posto di “soddisfacevo, soddisfacendo”.

  5. Sopra: Nelle parole composte, bisogna raddoppiare la consonante che segue. Es: “Sopravvalutare”.

  6. Sòsia: E’ sostantivo maschile che rimane invariato anche se riferito a donna. Es: “Luisa è il sòsia di sua cugina”.

  7. Sotto: Nei suoi composti, non si raddoppia la consonante che segue. Es: “Sottoporre”.

  8. Sta, stai, sta’: Sono forme dell’imperativo del verbo “stare”. Non vanno accentate, al pari delle forme dell’indicativo presente “sto, stai, sta”.

  9. Sta: Se usato con il significato di “questa”, non richiede il raddoppiamento della consonante che segue nelle parole composte. Es: “Stasera”.

  10. Stortàre: E’ verbo errato, creato da “storto” e tipico dei dialetti settentrionali.



  1. Su: Nei composti, la consonante che segue si raddoppia. Per es.: “Suddètto”.

  2. Sùccube: E’ il femminile plurale di “succuba”; le altre voci sono: il maschile “succubo” ed il suo plurale “succubi”.

  3. Sui generis: Si tratta di una locuzione latina che significa “che ha caratteristiche particolari ” ed è usata come aggettivo invariabile.

  4. Suo: E’ aggettivo e pronome possessivo di terza persona che può essere rafforzato con “proprio” e da questo sostituito se si riferisce al soggetto di una frase. Per es.: “Ognuno pensi agli affari propri”.

  5. Supplìre: Il verbo vuol dire “sopperire a mancanze, compensare, integrare” e, usato in tal senso, è intransitivo. Con il significato di “sostituire” una persona nell’attività lavorativa, il verbo è, invece, transitivo. Es: “Supplisco l’insegnante di inglese”.

  6. Tacitare: A seconda dei casi, acquista il significato di “soddisfare, compensare, pagare, adempiere un’obbligazione, accontentare”.
  7. Tagliabòrse: E’ termine sinonimo di “borsaiolo”.
  8. Tale: Se si tronca in “tal”, non bisogna apostrofarlo. Per es.: è corretto scrivere “tal altro” o “talaltro”.
  9. Tangènte: 1) Nel linguaggio matematico, indica un elemento geometrico che tocca in un solo punto un altro elemento; 2) In campo amministrativo, significa “che tocca, che spetta” e quindi “parte spettante, quota, percentuale”.
  10. Tapparella: E’ voce dialettale dell’Italia Settentrionale, che indica la “persiana avvolgibile”.


  1. Tàrma, tarmare: Spesso, tali termini si confondono con “tarlo, tarlare”. Il tarlo è l’insetto o la larva che vive nel legno. La tarma è una farfallina che rode i tessuti, le pellicce ed i frutti.
  2. Tartìna: Si tratta di un francesismo che sta sostituendo quasi completamente l’italiano “crostino”.
  3. Taxi: Sono accettabili anche le voci italianizzate “tassì, tassista, tassametro”.
  4. Tèmpo: Non sono del tutto corrette le forme “da tempo, a far tempo da, fare il suo tempo, di tempo in tempo”. E’ meglio usare, rispettivamente, “da molto tempo, a cominciare da,passar di moda, di tanto in tanto”.
  5. Tenére: E’ da evitare l’uso del verbo con il significato di “avere, possedere”. Ancora, non è corretto considerarlo sinonimo di “stimare, giudicare, reputare”. Le medesime considerazioni valgono anche per la locuzione “tenere il letto”, al posto di “rimanere a letto” e, infine, quando si usa “tenére” nel senso di “importare, volere, desiderare”.
  6. Termìte, tèrmite: Il primo dei due termini indica una miscela di alluminio e ossido di ferro molto infiammabile. Il secondo, è un insetto, simile ad una grossa formica, che vive nei paesi tropicali.
  7. Terrorizzàre: E’ un francesismo, che vuol dire “atterrire, terrificare” e trae origine dal periodo del Terrore.

  8. Tirétto: La voce, tipica del dialetto piemontese – lombardo, significa “cassetto”.
  9. Tombìno: Il termine, di origine dialettale lombarda, è ormai molto diffuso ed usato al posto di “chiusino”.

  10. Tornàdo: E’ voce spagnola, sinonimo di “ciclone, tromba d’aria” ed invariabile. Plur.: “I tornado”.



  1. Tot: E’ voce latina che indica una quantità indeterminata. E’ errato usarla con il significato di “tale”. Es. “Il giorno tot partirò”.
  2. Toto corde: Si tratta di una locuzione latina che significa “con tutto il cuore”.
  3. Tralìce: Si usa nelle locuzioni avverbiali “guardare in tralìce” ed “andare in tralìce”.
  4. Tràmite: L’espressione “per il tramite di” è meglio sostituita da “per mezzo di”.
  5. Trància, tràncio, tranciare: Sono dei francesismi usati al posto di “taglio, fetta, tagliare”.
  6. Transare: Il termine si usa nel gergo burocratico, al posto di “transigere”, nelle forme dell’infinito e del participio passato.

  7. Transìgere: Vuol dire, propriamente, “metter fine ad una lite con reciproche concessioni”. Di solito, si usa con il significato di “mostrarsi tolleranti e cedevoli”.

  8. Traslare: Il termine è usato solo nella forma del participio passato “traslato”.

  9. Trasporto: E’ consigliabile non utilizzare il termine con il significato di “impulso dell’animo”. Sono più appropriate le locuzioni “con fervore, con ardore, con amore”, a seconda dei casi.

  10. Travèt: Si tratta di sostantivo invariabile derivato da nome proprio dialettale e vuol dire “impiegatuccio”.



  1. Troncaménto: Si verifica quando, nel parlare o nello scrivere, si sopprime l’ultima vocale o l’ultima sillaba. Per esempio: “Giorgio è nel fior fiore degli anni”.


  2. Turlupinare: E’ un francesismo sinonimo di “raggirare, ingannare, imbrogliare”.
  3. Ubbidiènte, ubbidienza, ubbidìre: Sono termini corretti al pari di “obbediènte, obbedienza, obbedire”.

  4. Ubicazione: E’ voce del linguaggio commerciale che significa “collocazione, posizione”.

  5. Ulteriore: Si tratta di aggettivo di grado comparativo, che difetta del grado positivo e vuol dire “che è più in là, più oltre”. E’ poco corretto usarlo nel senso di “altro, nuovo, secondo”.
  6. Ultimare: Il termine significa “portare a termine, concludere, finire”, ma si può usare solo con riferimento a cose materiali. E’ errato, dunque, dire: “Quella storia d’amore è ultimata”, invece di “finita”.

  7. Ultimatum: E’ voce del diritto internazionale e significa “ultima ingiunzione irrevocabile”.

  8. Unisono: Il termine vuol dire “di un sol suono”. E’ errato “unissono”, poiché l’elemento “uni-“non richiede il raddoppiamento della consonante.

  9. Urgenzare: E’ sinonimo di “sollecitare” e viene utilizzato nel linguaggio bancario e burocratico.

  10. Uscire pazzo: E’ voce dialettale. Meglio dire “diventare pazzo”.


  1. Usùra: Il termine si usa sia nel senso di “interesse eccessivo sul denaro prestato”, sia nel significato di “consumo per effetto di un uso prolungato”.
  2. Utensile, utènsile: Il primo è sostantivo, il secondo, invece, è aggettivo.
  3. Vademecum: E’ voce latina che vuol dire “vieni con me”, oggi utilizzata per indicare un prontuario di facile consultazione in una determinata materia.

  4. Valére: E’ usato malamente come francesismo con il significato di “meritare, procurare”.

  5. Valorizzare: E’ meglio dire “avvalorare, dar valore”.

  6. Varare: In senso figurato, è meglio dire “rappresentare una commedia”, al posto di “varare una commedia”; così come è più appropriato usare l’espressione “approvare una legge”, invece di “varare una legge”.

  7. Venire: Il verbo si può usare come ausiliare, al posto di “essere”, per formare il passivo nei tempi semplici. Per es.: “Il bambino veniva curato con amore”.

  8. Verifica: E’ forma accorciata e più comune di verificazione. Viene usata nel linguaggio burocratico.

  9. Versamento: Il termine è un francesismo, sinonimo della voce italiana “pagamento”.

  10. Vice: 1) Il prefisso è legato, di solito, a nomi che indicano cariche o gradi, formando con essi un’unica parola. 2) Indica, inoltre, la persona che fa le veci di un’altra o di grado immediatamente inferiore.


  1. Vidimàre: Il termine è un francesismo che significa “mettere il visto, autenticare, convalidare”.
  2. Volenteròso: Vista la derivazione da “volontà”, è più corretto usare la forma “volonteroso”.
  3. Volére: Usato come verbo autonomo richiede l’ausiliare “avere”. Quando, invece, si accompagna ad un altro verbo, prende l’ausiliare di quest’ultimo. Per es., “ho voluto mangiare”. Tuttavia, esiste qualche eccezione. Si dice: “E’ voluto andare”, ma anche “ha voluto andare”. E’ da evitare il francesismo “non volermene”.

  4. Wagon-lit, wagon-restaurant: Sono termini invariabili, indicativi del vagone letto e vagone ristorante. “Wagon” è di origine inglese, “lit” è voce latina e “restaurant” è francese.

  5. Walkie – talkie: Il termine, inglese ed invariabile, indica ciascuno dei due o più apparecchi ricetrasmettitori portatili, sintonizzati tra loro e con una portata massima limitata a pochi chilometri.

  6. Xenofobìa: E’ sinonimo di odio e ostilità per tutto ciò che è straniero. Più rara la grafìa “senofobìa”.
  7. Xilòfono: Si tratta di uno strumento musicale a percussione. Si può anche dire “silòfono”, benchè meno comune. In tal caso si userà l’articolo “il”. Davanti alla “x”, invece, l’articolo “lo”.
  8. Yacht: E’ il panfilo da diporto, ma il termine straniero ha quasi completamente sostituito quello italiano.
  9. Zabagliòne: E’ più corretta la voce “zabaiòne”.

  10. Zaffìro: La parola è piana, per cui è da evitare la pronuncia “zàffiro”.


  1. Zar: E’ il titolo imperiale usato in Russia. Dal termine derivano “Zarìna”, che è la moglie dello Zar e “Zarèvic”, il principe ereditario.

  2. Zèfiro: Indica il vento di ponente, specialmente primaverile. E’ accettabile anche la grafìa “Zèffiro”.

  3. Zerbìno: La voce, appartenente al dialetto lombardo, è sinonimo di “stuoìno”, cioè il tappeto che si mette davanti alla porta di casa.

  4. Zèugma: Si tratta di una figura grammaticale che consiste nel far dipendere più termini da un unico verbo che è appropriato per uno solo di essi. Per es., “sentirai cantare e ballare”.

  5. Zolfanèllo: Il termine indica il fiammifero di legno, diverso dal cerino che è di cera. Più rara la grafìa “solfanèllo”.

  6. Zozzo: E’ voce popolare sinonimo di “sudicio, sporco”.

  7. Zùppa: Il termine deriva dal tedesco “suppe” ed è usata nel linguaggio gastronomico per indicare ogni vivanda brodosa o liquida in cui si mette pane tostato o fritto.

  8. Zuzzurullone: E’ voce da preferire a Zuzzerellone e zuzzurellone. E’ indicativa del ragazzo o adulto che, come un bambino, pensa sempre al gioco ed allo scherzo.