Posted on

Per molti anni, in mancanza di una specifica disposizione legislativa, si è discusso del problema della pignorabilità delle pensioni, fino all’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 506/2002, stabiliva l’assoluta impignorabilità “della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte”, demandando al Legislatore la determinazione, in concreto, di tali esigenze.

Si giungeva così all’introduzione della seguente disposizione (art. 545 cod. proc. Civ., comma VII come inserito dall’art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132): «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge».

Attualmente, la legge 21 settembre 2022, n. 142, di conversione del decreto Aiuti-bis, ha modificato il limite di impignorabilità delle pensioni, portando al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale (che, per il 2023, corrisponde a 503,27 euro mensili), con un minimo di 1.000 euro, il “minimo vitale” sotto il quale non possono essere pignorate le pensioni. La parte eccedente è pignorabile nella misura di 1/5.

Ciò vuol dire che, ad es., una pensione di 1400 euro è pignorabile solo per la parte eccedente la somma corrispondente al doppio dell’assegno sociale: 1400-1000=400 euro, nella misura di 1/5 di € 400; quindi può essere pignorato solo un importo pari ad euro 80.

Erminia Acri-Avvocato