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Riflessioni di un padre, all’indomani dell’ennesima tragedia “annunciata”.

“Spinga, signora, ancora uno sforzo e ci siamo!”

 

Comincia così o, meglio cominci ad accorgertene “veramente” solo ora!

Compare il faccino…gli occhi cercano un volto amico (almeno così credi, in una delle tante illusioni affettive) …veloci i ricordi ti invadono mentre la tensione sale… e la testa gira… e le lacrime solcano il volto, il tuo e quello della tua compagna…

È “fuori”… È fatta!

Deve ancora cominciare, invece…le notti insonni, le incomprensioni con chi ti sta vicino, la tua vita sconvolta, le abitudini stravolte…

“ma… non mi ero preparato?”

E mentre ti balena l’idea che la decisione di avere un figlio, forse, è stata azzardata, mentre ti viene il dubbio che molte delle convinzioni in cui hai creduto appartengono al mondo delle fantasie lette sui libri da bambino…mentre avverti il peso delle tue nuove responsabilità, proprio mentre realizzi che un bambino costituisce una dei pochi eventi “irreversibili” della vita…sta crescendo in te un legame che scombussola il tuo essere, il tuo EGO profondo!

L’attaccamento egoistico nei confronti della tua identità, viene corroso da una nuova certezza: io sono suo padre!


Io sono “suo”…lui dipende da me ma io sono “suo”!

Barlumi di egocentrismo si fanno strada in mezzo a torrenti impetuosi di nuovi elaborati che travolgono “dolcemente” il tuo mondo interno e ti spingono man mano ad avere bisogno di creare un legame sempre più nuovo e sempre migliore…

 

Già…sempre migliore! E con chi, se non con tuo figlio puoi sperare di edificare un legame intenso, corretto da complice intesa e profonda stima reciproca?

Poi guardi la TV e capisci che tutto può finire così…perché qualcuno, al solito, non ha fatto il suo dovere…criminalmente superficiale…come gran parte dello stato sociale, come chi innesca conflitti per vendere mezzo chilo di gas nervino, come chi lucra sulla mala sorte pur di vendere farmaci inutili e dannosi…

 

Un lampo, una sorta di sadico piacere ti pervade mentre ascolti che anche il figlio del sindaco è sotto le macerie, sotto quel monumento di ignavia colpevole e abominevole…è solo un attimo…anche lui soffre… impotente sapendo che, forse, avrebbe potuto evitare tutto ciò; sarebbe bastato ascoltare l’appello del parroco che invocava lo sgombero della “scuola dei bimbi”. Sta lì…occhi rossi nella polvere grigia ad ascoltare, ad osservare quell’estrazione del lotto, quella ruota della fortuna che non porterà milioni nelle tasche degli astanti ma, forse, congiunti sopravvissuti!

Tutti a capire, finalmente, maledettamente, che i soldi non fanno la felicità!

“Siamo noi, siamo noi che vi facciamo arrabbiare con le nostre marachelle, siamo noi che tendiamo le nostre manine quando abbiamo paura del buio, quando abbiamo freddo, quando vogliamo essere abbracciati; non durerà a lungo perché cresceremo e, allora, non troverete più le nostre impronte sui mobili “buoni”, sulle tende del salone. Le cercherete…vi mancheranno?”

Questo è stato il primo componimento di mia figlia, aiutata dalle maestre dell’asilo, che mi ha fatto bruscamente “provare”… lacrime e verità, fra lo stupore di mia moglie che non credeva che avrei potuto singhiozzare per una doppia dichiarazione d’amore: quella di Mariarita nei miei confronti e quella mia nei suoi, nel dirle “…già mi manchi, per ogni attimo che passo lontano, per cercare una realizzazione che mi aiuti a capire meglio che cos’è l’amore verso la vita, verso di te , verso di me…”


Il tema musicale (composto da Ennio Morricone) del film Metello (altro ragazzo sfortunato) interpretato da un giovanissimo Massimo Ranieri poco più che sedicenne, mi fa compagnia questa notte, mentre, al computer, rifletto sul fatto che nulla si può contro il volere dell’inconsapevole: stavo scrivendo un articolo riguardante le idee ossessive e mi ritrovo a pigiare i tasti componendo frasi che sgorgano dal profondo del mio animo, turbato dagli eventi luttuosi del terremoto in Molise…

“…ma come, non ho tremato quando, esattamente un anno fa, molto “delicatamente” dei mie colleghi medici mi hanno sentenziato una diagnosi mortale e piango ora, per un dramma che si consuma fuori da me?”

Probabilmente ciò accade perché, da esperto di psiconeuroimmunoendocrinologia (una brutta parola che identifica una specializzazione medica che studia i rapporti fra la psiche ed il corpo) sapevo che avrei potuto ribaltare una situazione sfuggitami di mano (come in effetti è avvenuto) e che…soprattutto, avrei, eventualmente, pagato di persona per gli errori commessi, a causa di uno stile di vita lavorativa oltre i limiti della sopportabilità stressogena.

Ma come si fa ad accettare l’idea di vederti scivolare via qualcuno che scopri di amare ogni giorno di più, di cui hai “ancora” tanto bisogno, per colpe di altri, vittima dei tanti omicidi di Stato consumati in ogni angolo del mondo, eroe sconosciuto di una guerra oscura che non ha chiesto di combattere?

Sulla tangenziale che, fino ad ora, è stata la mia vita, ho incontrato un padre, mi ha chiesto di imparare ad amare…“sai, all’inizio non ho accettato mio figlio…non ero pronto…tante, troppe cose da fare…poi qualcosa si è svegliata all’interno del mio torpore, ho visto me stesso in nuova dimensione e, con una disponibilità tanto grande quanto inaspettata, sono corso ad abbracciare colui che mi aveva, a distanza, aiutato a crescere. Era troppo tardi…è finita così


…senza potere fare nulla?